Le principali vittime di “sextortion” sono gli uomini
Sono sempre di più quelli, eterosessuali e gay, che denunciano di aver subito ricatti dopo essere stati adescati online a fini sessuali
di Viola Stefanello

Lo scorso novembre Pietro stava scorrendo Grindr, dating app utilizzatissima dagli uomini attratti da altri uomini, quando ha cominciato a parlare con «un tipo che voleva provarci». Pietro aveva fatto coming out da tempo come uomo gay e frequentava Grindr regolarmente. «Io e questo tipo cominciamo a parlare e a un certo punto ci scambiamo delle foto di nudo: io gliene mando una in cui sto facendo un pompino», racconta. L’uomo incontrato su Grindr gli chiede di spostare la conversazione su Telegram, app di messaggistica molto diffusa, nota anche perché si rifiuta sistematicamente di collaborare con le autorità in eventuali indagini. «È una cosa che mi era successa un milione di volte, quindi lo faccio», dice Pietro.
L’uomo gli fa varie domande, chattano, e a un certo punto l’uomo gli dice di averlo trovato su Instagram grazie alle sue foto, di aver raccolto i nomi di tutte le persone che lo seguono lì – parenti, amici, colleghi – e soprattutto di aver fatto uno screenshot alla foto che gli aveva mandato, quella in cui pratica una fellatio. E gli chiede di inviargli 50mila euro su PayPal se non vuole che mandi quella foto a tutte le persone che conosce. La storia di Pietro è simile a quella di molti altri uomini, gay e eterosessuali: secondo i dati italiani questi casi sono in aumento e le persone che li hanno denunciati sono state più di 1500 solo l’anno scorso. Molti però a denunciare non ci arrivano proprio.

L’interfaccia di Grindr (AP Business Wire)
La pratica di ottenere foto o video a sfondo sessuale da qualcuno e poi utilizzarle per cercare di ricattare la persona con la minaccia di diffondere il materiale si chiama sextortion, dall’unione di “sex” (“sesso”) e “extortion” (“estorsione”). Non va confusa con il cosiddetto “revenge porn”, più propriamente definito “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”, che in Italia è una specifica fattispecie di reato dal 2019 e che solitamente non avviene con l’intenzione di estorcere qualcosa alla vittima. La sextortion, invece, non è un reato specifico nel nostro ordinamento giuridico; ricade, a seconda del caso, sotto i reati di estorsione, diffamazione, minacce o violenza privata.
Tra sextortion e “revenge porn”, poi, c’è anche un’altra differenza notevole. Nella grande maggioranza dei casi, le vittime di “revenge porn” sono donne. I dati che abbiamo sulla sextortion – non solo in Italia – sono più frammentari, e mostrano solo una parte delle vittime, quelle che denunciano. Tutti i dati in circolazione, però, mostrano senza dubbio che la maggior parte delle vittime di sextortion sono uomini: adulti e adolescenti, etero e gay, single, fidanzati o sposati con figli, a qualsiasi livello di istruzione. Quando a essere ricattate sono le donne, di solito non si tratta di richieste di soldi, spiega Sofia Scozzari, CEO dell’azienda di cybersicurezza Hackmanac, ma piuttosto di «campagne mirate alla coercizione per la condivisione di ulteriori contenuti o ad abusi sessuali».
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Da anni la polizia postale sottolinea che i casi di sextortion denunciati sono in aumento: nel 2021 erano 1122, di cui 852 da uomini. Nel 2024 sono stati 1507, di cui 1295 da uomini. Dati simili si trovano in un report pubblicato dall’organizzazione PermessoNegato, che offre assistenza alle persone che subiscono la diffusione non consensuale di materiale intimo di qualsiasi tipo. In questo caso, le autrici hanno raccolto tutti i casi di persone che si sono rivolte a loro per casi di sextortion tra il gennaio del 2020 e il dicembre del 2024: dei 1086 casi presi in esame, 818 erano uomini, di cui 59 minorenni. Anche questo report mostra un aumento graduale dei casi: nel 2020 le persone che si sono rivolte a PermessoNegato sono state 41, di cui sole due donne. Nel 2024 sono state 392: anche in questo caso le donne erano in minoranza: 24.
Nessuno dei due report distingue in base all’orientamento sessuale delle vittime, e sfogliando le pagine dei giornali che raccontano la cronaca locale si trovano tante storie che coinvolgono uomini eterosessuali quante storie di uomini gay vittime di sextortion.
Il caso di Pietro è finito bene, tutto sommato: lui dice di aver «sudato freddo» per i primi dieci minuti, dopodiché gli ha chiesto il contatto di PayPal dicendo di volergli mandare dei soldi e, una volta ottenuto, l’ha portato alla polizia postale, consapevole del fatto che gli account su PayPal sono sempre collegati a un codice fiscale. Ha consegnato alla polizia tutti gli screenshot del caso e nel frattempo ha bloccato l’uomo su Telegram. La sua foto, che lui sappia, non è mai stata mandata a nessuno. Per altri uomini, gay non dichiarati, magari padri di famiglia che hanno divorziato e hanno tutti i loro motivi per tenere nascosta la loro identità sessuale, fare una denuncia e in generale gestire una situazione del genere può essere molto più stressante.
Le modalità cambiano leggermente da caso a caso, anche se lo schema resta riconoscibile. La criminologa Edel Beckman, una delle autrici del report di PermessoNegato, spiega che le persone vengono adescate tanto sulle app di appuntamenti quanto su piattaforme come Facebook, Instagram e, nel caso dei più giovani, Discord. Il caso più comune, per gli uomini etero, è quello in cui un’avvenente sconosciuta comincia a dimostrare interesse per loro in chat su un social network e, dopo averci parlato un po’ creando confidenza, li invita a fare sesso via messaggi o a masturbarsi insieme a lei in videochiamata. A volte, come è successo a Pietro, l’estorsore chiede di spostarsi su Telegram perché, rispetto alle altre piattaforme, è molto meno regolamentata, e quindi è più difficile investigare sull’estorsione in un secondo momento. Poi, dopo aver salvato i contenuti potenzialmente compromettenti sul proprio dispositivo, minaccia di diffonderli.
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È una cosa che succede da anni: già nel 2017 il giornalista Manuel Peruzzo aveva raccontato di aver risposto a uno di questi tentativi di adescamento su Facebook, per capirne le modalità. In quel caso la truffa era particolarmente evidente, dato che la finta interlocutrice scriveva in un italiano particolarmente meccanico, simile a quello che si ottiene con un traduttore automatico scarso: Peruzzo aveva comunque deciso di assecondarla e aveva finito per masturbarsi con la telecamera accesa, in chiamata con la persona che voleva adescarlo. Subito dopo l’altra persona aveva spento la propria videocamera e aveva cominciato a chiedere soldi, se non voleva che il video fosse caricato sulla sua bacheca di Facebook.
«Al centro di tutta la vicenda c’è l’imbarazzo per quel che si è fatto. Sono truffe che fanno leva sulla vergogna che la gente prova nei confronti dei familiari, degli amici e così via», spiega. Per anni uomini a cui era successa la stessa cosa l’hanno contattato per chiedergli consigli sul da farsi, spesso disperati: «Io consigliavo loro di smettere di rispondere, segnalarli subito e bloccarli e basta, perché non stanno a inseguirti. Non devi pagare mai nulla, mostrarti preoccupato, debole o ricattabile». Spesso, infatti, gli estorsori colpiscono varie vittime contemporaneamente, contando sul fatto che qualcuno li pagherà, ma finiscono per concentrarsi sulle persone che sembrano più prone a cedere. Sono molto simili i consigli offerti dalla polizia postale, che sottolinea l’importanza di non cedere mai al ricatto e di non cancellare i messaggi scambiati con gli estorsori, ma invece di conservare ogni eventuale prova, e di chiedere aiuto alle autorità.
Mantenere il sangue freddo, però, non è così semplice: come sottolinea il report di PermessoNegato, «è importante notare come i carnefici, durante la fase di ricatto, adottino una strategia di minaccia estremamente aggressiva. Essi inviano continuamente screenshot contenenti collage di foto di amici e familiari della vittima, minacciando di pubblicare le immagini se il pagamento non avviene immediatamente. In molti casi, i carnefici impostano un conto alla rovescia per accentuare il senso di urgenza». Nel 2023 un cinquantenne della provincia di Modena si suicidò dopo che per mesi era stato ricattato da una coppia di estorsori che avevano ottenuto un video in cui lui si masturbava, convincendolo a pagare cifre sempre più alte.
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In altri casi, soprattutto quelli che coinvolgono le dating app, truffatore e vittima si danno appuntamento offline. In questa eventualità, spesso l’estorsione avviene dopo il sesso: l’estorsore riprende l’incontro e minaccia di diffonderlo online, oppure minaccia la vittima sul momento. A luglio, per esempio, a Bergamo è stato condannato un 29enne che aveva adescato almeno quattro uomini gay su Grindr: secondo le accuse, durante gli incontri sessuali l’uomo diventava improvvisamente molto minaccioso, dicendo che avrebbe accoltellato la vittima o l’avrebbe diffamata sul luogo di lavoro se non avesse ottenuto subito dei soldi. In alcuni casi in cui l’incontro si era consumato in macchina, aveva anche strappato le chiavi dal cruscotto dell’auto della vittima, rifiutandosi di restituirle finché non fosse stato pagato.
«Lui ha scommesso tutto sul fatto che le persone si vergognassero troppo per denunciare», dice Dominguel Radesca, attivista bergamasco per i diritti LGBTQ+ che ha lavorato per mesi per identificare quante più vittime possibili e convincerle e a sporgere denuncia insieme. «Alcuni però non possono permettersi di farlo pubblicamente o di apparire davanti a un giudice, non solo perché magari si sentono un po’ scemi, ma anche perché hanno moglie e figli».
In vari casi che coinvolgono uomini gay o bisessuali, infatti, oltre alla vergogna all’idea che i propri cari vedano foto o video intimi si aggiunge anche la preoccupazione che il proprio orientamento sessuale venga rivelato. «Uno spazio che conoscevamo e frequentavamo solo noi oggi è diventato anche un posto dove possiamo venire adescati», dice Vincenzo Branà, portavoce dell’associazione nazionale Arcigay parlando di Grindr. «Anche perché sono spazi usati in larga parte da persone omosessuali non visibili, che davanti all’ipotesi di essere resi visibili capitolano più facilmente».
Pietro, dal canto suo, da quel momento ha principalmente deciso di prendere molte più precauzioni. «Ora mando foto con la mia faccia soltanto a persone di cui so nome, cognome, indirizzo e codice fiscale: a tutti gli altri arrivano foto di nudi in cui la mia faccia non c’è», dice.
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