Che cos’è il test SRY
Quello diventato obbligatorio nell’atletica leggera per decidere quali atlete rientrano nella categoria femminile, tra molti dubbi e critiche

La recente decisione della Federazione internazionale dell’atletica leggera (World Athletics) di introdurre un test genetico universale per le atlete che gareggiano nelle competizioni mondiali, allo scopo di verificarne il sesso biologico, è stata molto discussa non solo per la sua opportunità, ma anche per alcuni aspetti pratici legati all’affidabilità dello stesso test. Diverse associazioni e organizzazioni per la tutela dei diritti delle persone intersessuali (cioè nate con caratteristiche atipiche in quegli aspetti del corpo umano legati al sesso), ma anche della comunità LGBTQIA+, hanno segnalato il rischio di falsi positivi e di condizioni che potrebbero portare a risultati poco affidabili dei test, penalizzando le atlete, con il rischio di creare situazioni di disparità invece di risolverle.
Il test genetico scelto dalla Federazione si chiama SRY (da “Sex-determining region Y protein”) ed è una vecchia conoscenza per chi si occupa di sport agonistico ad alto livello, visto che era stato impiegato negli anni Novanta con scopi simili agli attuali prima di essere abbandonato. Nella pratica prevede il prelievo di saliva tramite un tampone orale o di una piccola quantità di sangue, con una successiva analisi per rilevare la presenza del gene SRY che è coinvolto nelle prime fasi dello sviluppo dell’embrione, cioè l’insieme di cellule che si formano nell’utero dopo che uno spermatozoo ha fecondato una cellula uovo.
Ripasso veloce: X e Y
Il gene SRY è normalmente presente sul cromosoma Y, uno dei due cromosomi che nei mammiferi determinano il sesso, l’altro è il cromosoma X. Nei cromosomi ci sono i geni, che contengono le istruzioni per produrre le proteine, che a loro volta concorrono a formare le cellule e i tessuti degli organi. Il genoma umano, cioè l’insieme delle informazioni che determinano come è fatto ciascuno di noi, è raccolto in 23 paia di cromosomi: queste sono presenti in praticamente tutte le cellule dell’organismo, che contengono quindi ognuna due copie di tutto il materiale genetico.
Negli spermatozoi e nelle cellule uovo le cose funzionano un po’ diversamente: non ci sono coppie di cromosomi, ma una sola copia di ogni cromosoma. In questo modo dalla loro unione nel processo di fecondazione si ottengono cellule che contengono una copia di cromosomi provenienti dalla femmina e una copia dal maschio. Dalla prima si avrà sempre un cromosoma X, mentre dal secondo ci sarà la stessa probabilità di avere un cromosoma X o Y. È quindi il maschio a determinare il sesso.

(Zanichelli)
Gene SRY
Sul braccio corto del cromosoma Y si trova normalmente il gene SRY. La sua funzione principale è quella di fare in modo che le gonadi, non ancora caratterizzate nell’embrione, inizino il loro sviluppo per diventare testicoli. In pratica il gene contiene le informazioni per produrre una proteina che attiva altri processi per indurre questo sviluppo. Quindi, nel caso di un XY (maschio) il gene SRY provvede a fare in modo che si sviluppino le cellule dell’apparato genitale maschile, mentre nel caso di un XX (femmina) il gene non c’è e le gonadi si sviluppano in ovaie.
La funzione primaria del gene SRY è ormai nota da tempo, mentre si sta studiando ancora il suo ruolo nell’età adulta per capire se sia rilevante o marginale. Facendo parte del genoma, continua comunque a essere presente e rilevabile attraverso un test genetico. In generale, la sua presenza viene considerata un indicatore importante per stabilire che biologicamente una persona è XY, cioè che è un maschio, e viceversa: la sua assenza indica che quella persona è XX, cioè una femmina. Il problema è che non è sempre questo il caso.
Sindrome del maschio XX
Il meccanismo della riproduzione, con il mescolarsi di migliaia di geni, non è perfetto e si possono verificare errori nel materiale genetico. In alcuni rari casi, per esempio, il gene SRY si può spostare accidentalmente dal cromosoma Y a un cromosoma X durante la formazione dello spermatozoo. Se questo feconda un ovulo (che come abbiamo visto ha sempre un cromosoma X) si sviluppa un XX che ha lo stesso il gene SRY anche se non è stato coinvolto il cromosoma Y.
Il gene interferisce nello sviluppo delle gonadi e innesca, completamente o parzialmente, i meccanismi che portano allo sviluppo dei testicoli che a loro volta sono coinvolti nella produzione degli ormoni che determinano aspetto e funzioni tipicamente maschili. Questa condizione è nota come sindrome del maschio XX e viene diagnosticata in 1 neonato su 20mila, ma si sospetta che l’incidenza possa essere più alta a causa della difficoltà nel diagnosticarla. Alla nascita i segni della sindrome non sono sempre riconoscibili e, se non si sospetta la sua presenza, non si procede con altri test ed esami.
I maschi XX possono avere genitali interni ed esterni come quelli dei maschi XY, oppure possono presentare ambiguità sia nei genitali esterni sia in quelli interni, che magari diventano più evidenti in fasi successive dello sviluppo rispetto alla nascita, rendendo più difficile le diagnosi. Chi ha questa sindrome appare inoltre più basso e magro rispetto a un maschio XY, ha spesso meno peluria e in alcuni casi può avere un aspetto meno mascolino. C’è comunque una grande variabilità dovuta al fatto che la presenza di SRY sul cromosoma X contribuisce a produrre interazioni geniche complesse.
In rari casi si ha uno sviluppo sessuale tipicamente femminile anche se si ha quel gene. Ci possono quindi essere casi di persone con questa sindrome che in mancanza di segni evidenti vengono designate come femmine alla nascita, oppure casi in cui per motivi legati alle proprie inclinazioni e ai contesti in cui si è cresciuti alcune persone si identificano come tali.
AIS
C’è anche il caso in cui il gene SRY è normalmente presente sul cromosoma Y in un individuo XY che però, per altri motivi genetici, non è in grado di rispondere correttamente agli ormoni sessuali maschili (cioè gli androgeni, come il testosterone) e quindi di sviluppare normalmente l’apparato genitale. Chi ha questa sindrome da insensibilità agli androgeni (AIS) (un tempo chiamata anche sindrome di Morris) sviluppa solitamente genitali esterni femminili, ma non ha utero e tube di Falloppio.
Le persone con AIS vengono di solito cresciute come femmine e si identificano come tali. La mezzofondista e velocista sudafricana Caster Semenya, forse la persona intersessuale più famosa al mondo, ha parlato spesso della propria storia, raccontando di essere stata sottoposta a una visita ginecologica per la prima volta a 18 anni, in vista dei suoi primi campionati mondiali, per via del suo aspetto considerato mascolino. Allora non trovarono niente di anomalo ma scoprì dopo, con altri esami, di avere cromosomi XY, alti livelli di testosterone e dei testicoli interni, al posto delle ovaie.
I problemi del test SRY
La sindrome del maschio XX e l’AIS sono solo due esempi della variabilità che si può avere nei processi biologici che determinano il sesso di un individuo. I casi sono rari, o estremamente rari a seconda delle sindromi, ma su una popolazione di decine di migliaia di atleti possono avere una certa rilevanza. In loro presenza il test SRY non può però dare sempre una risposta chiara sul sesso biologico di una persona e, secondo i più critici, non costituisce nemmeno un buon indicatore per capire se alcune persone possano avere un vantaggio fisico evidente rispetto ad altre nelle competizioni agonistiche.
Una persona con AIS risulta positiva al test perché ha sicuramente il gene SRY, ma da un punto di vista delle capacità fisiche non si ritiene che abbia sempre un vantaggio rispetto alle altre atlete. La sindrome fa sì che il suo organismo non sia in grado di rispondere correttamente agli androgeni, che hanno un ruolo importante nello sviluppo della muscolatura e di altri aspetti fisici che possono dare un vantaggio atletico. Inoltre, l’AIS può essere lieve, parziale o completa e ciò influisce sullo sviluppo di alcune caratteristiche fisiche.
Le istituzioni sportive si sono confrontate spesso con le difficoltà legate alla verifica del sesso. Già negli anni Trenta del secolo scorso erano previsti esami fisici nel caso di dubbi nelle gare olimpiche. All’epoca i controlli erano orientati soprattutto a scoprire eventuali “impostori” maschi, che gareggiando contro le femmine avrebbero potuto avere un vantaggio. Nei decenni successivi, anche grazie alle scoperte sulle numerose eccezioni al classico concetto binario maschio/femmina, furono introdotti test di altro tipo. Tra la fine degli anni Sessanta e i primi Novanta fu usato spesso il test della cromatina X che permetteva di identificare la presenza di due cromosomi X. Il test non era però molto affidabile e anche in seguito ad alcune esclusioni errate di atlete fu via via abbandonato.
In occasione delle Olimpiadi invernali di Albertville (Francia) del 1992 il Comitato olimpico internazionale (CIO) introdusse il test basato sul gene SRY. Quattro anni dopo alle Olimpiadi di Atlanta (Stati Uniti) tutte le atlete furono sottoposte al test e risultarono positive 8 su quasi 3.400. Furono svolti ulteriori accertamenti e si scoprì che tutte avevano una forma parziale o completa di AIS e furono quindi autorizzate a competere. Negli anni seguenti l’uso universale del test fu abbandonato dal CIO perché ritenuto poco affidabile e per non esporre le atlete a situazioni non sempre facili da gestire professionalmente, emotivamente e psicologicamente.
Come alternativa furono adottati test soprattutto sui livelli di testosterone, con un approccio indirizzato a intervenire su casi specifici più che con controlli universali. Anche in questo caso furono espressi dubbi e perplessità, perché non sempre i livelli di testosterone sono particolarmente indicativi di qualcosa. Negli ultimi anni la World Athletics aveva avviato una revisione delle regole, arrivando infine alla reintroduzione del test SRY per tutte le atlete quest’anno, ritenendolo adeguato per identificare chi può accedere alla categoria femminile nelle competizioni mondiali.
Nuove regole
La regola avrà un impatto sulle persone intersessuali, cioè quelle che come abbiamo visto nascono con caratteristiche sessuali che non sono facilmente riconducibili alla classica definizione di maschio o femmina. Essere intersex non implica che si sia poi avviato un trattamento di qualche tipo, come quelli ormonali solitamente utilizzati per la transizione di genere. È importante ricordare che da un paio di anni le donne transgender che hanno attraversato la pubertà maschile (quindi persone nate con corpo maschile, XY) sono comunque escluse dalle competizioni femminili che fanno parte delle classifiche mondiali di atletica.
OII Europe, l’iniziativa che tiene insieme le principali organizzazioni per i diritti delle persone intersessuali, ha criticato la reintroduzione del test SRY e ha segnalato altri problemi con le nuove regole: «World Athletics richiede ora alle atlete intersessuali il cui corpo produce alti livelli di testosterone di abbassarli, in modo da essere idonee. Per quanto riguarda i test per il testosterone, la decisione è stata presa nonostante non ci sia un consenso scientifico sul fatto se maggiori livelli di testosterone nelle donne trans e intersessuali costituisca un vantaggio fisico, o se ci sia qualche vantaggio derivante dall’aver passato la pubertà maschile per le donne trans». Attivisti e associazioni hanno anche segnalato che le nuove regole potrebbero disincentivare bambini e adolescenti a fare sport, se sanno già che per loro ci sarà un ostacolo nella possibilità di partecipare ad alto livello agonistico.



