93 euro per un chilo di zucchero, a Gaza
Per via dei blocchi imposti da Israele il cibo non si trova, e il poco che c’è è venduto a prezzi proibitivi

Nella Striscia di Gaza attualmente ci sono due modi per procurarsi cibo. Il primo è andare in uno dei quattro centri di distribuzione della Gaza Humanitarian Foundation, l’organizzazione voluta da Israele per controllare le consegne di cibo nella Striscia. Ma il cibo distribuito è poco, e a causa delle condizioni create da Israele raggiungere i centri è estremamente pericoloso, perché l’esercito spara sui civili in fila. Il secondo modo è comprarlo nei mercati, se e quando lo si trova: il problema è che i prezzi sono inarrivabili per la maggior parte delle persone.
Israele controlla tutti i confini della Striscia e impone strettissime limitazioni (se non blocchi totali) all’entrata di cibo e altri beni essenziali. Per questo durante la guerra, iniziata a ottobre del 2023, i prezzi dei beni primari a Gaza sono cresciuti enormemente: i commercianti fanno fatica a trovare scorte, e il poco che trovano lo mettono sul mercato a prezzi esorbitanti, che sono aumentati ancora negli ultimi mesi.
Il New York Times ha compilato una lista dei prezzi del cibo usando i dati della Camera di Commercio di Gaza, un ente locale che monitora i mercati nelle città di Gaza, Deir al Balah e Khan Yunis, rispettivamente nel nord, centro e sud della Striscia. Se prima della guerra un sacco da 25 chili di farina costava in media l’equivalente di 9 euro, a fine luglio ne costava 267. Un chilo di zucchero è passato da meno di 1 euro a 93. Un chilo di patate o uno di cipolle da 0,50 a più di 20 euro, e così via.

Un mercato a Jabalia, 27 aprile 2025 (EPA/HAITHAM IMAD)
Anche i prezzi di altri generi di prima necessità sono saliti. Una saponetta è passata da 0,5 a 9 euro. Un pacco da 20 pannolini da 9 a 130 euro. Un litro di diesel (necessario per alimentare i generatori, per esempio) da meno di 2 a 31 euro.
I prezzi poi fluttuano moltissimo, a seconda delle disponibilità del momento. Il 20 luglio un sacco da 25 chili di farina costava 779 euro; il 27 luglio è sceso a 195 euro per poi risalire a 292 euro il 30 luglio.
I commercianti riescono a ottenere cibo e altri beni da vendere nei mercati grazie a espedienti non sempre leciti. Nella Striscia di Gaza sono attivi gruppi criminali che assaltano i convogli umanitari rubando il cibo. Questo cibo poi arriva, tramite intermediari, ai commercianti di Gaza, che lo pagano cifre altissime già prima di venderlo. Non è chiaro quanto questi gruppi criminali siano legati a Hamas. Alcuni commercianti, poi, coltivano direttamente alcuni prodotti, o li comprano dai pochi agricoltori locali ancora attivi, e li vendono al mercato.
Esiste anche un sistema di contrabbando che è ancora attivo, nonostante la guerra e i blocchi imposti da Israele. Lo dimostra il fatto che nella Striscia siano ancora disponibili le sigarette, un bene di cui Israele ha vietato l’ingresso, ma che arriva da fuori appunto tramite contrabbando. Giorgio Monti, il responsabile medico di Emergency che ha lavorato nella Striscia di Gaza fino alla fine di giugno, ha raccontato al podcast Globo che «c’è stato un momento in cui le sigarette costavano fino a 40 dollari (35 euro) l’una» e che in alcuni casi venivano vendute «al centimetro». In Italia un pacchetto da 20 sigarette costa in media 5-6 euro.

Un mercato a Jabalia, 27 aprile 2025 (EPA/HAITHAM IMAD)
Al problema dei prezzi esorbitanti si aggiunge il fatto che il contante (l’unico mezzo di pagamento accettato dai commercianti) scarseggia. La stragrande maggioranza degli sportelli automatici non funziona più e le persone devono rivolgersi a intermediari e contrabbandieri, che possono fornire contante in cambio di commissioni che ormai superano il 40 per cento. Per avere contanti bisogna bonificare digitalmente la cifra desiderata sul conto in banca di un intermediario, che poi li consegna di persona dopo aver trattenuto la commissione. Basheer al Farra, un palestinese sfollato nel sud di Gaza, ha detto ad Associated Press: «Se ho bisogno di 60 dollari, ne devo bonificare 100» all’intermediario.
A Gaza la valuta più utilizzata è lo shekel israeliano, ma dall’inizio della guerra Israele non ha più fatto entrare nella Striscia nuove banconote. Le banconote esistenti, quindi, hanno finito per consumarsi, e molte non sono più accettate dai commercianti e dai loro fornitori. Per questo può capitare che, anche dopo aver ottenuto contanti, le persone non riescano ugualmente a comprare il cibo.



