Il complesso e delicato “caso Juana Rivas”, dall’inizio
Riguarda l'affido di un minore conteso tra Italia e Spagna, ma da anni ha assunto implicazioni più grandi, anche sul ruolo dei media

Martedì scorso Juana Rivas, spagnola di Granada, avrebbe dovuto riconsegnare il figlio Daniel, di 11 anni, al padre Francesco Arcuri, italiano residente in Sardegna. I due genitori sono separati e da circa dieci anni si contendono l’affidamento dei figli in un complesso caso giudiziario tra Italia e Spagna. Sul luogo dove era previsto lo scambio però sono arrivati decine di giornalisti e curiosi e c’è stato un discreto caos. Daniel è scoppiato a piangere e la madre ha avuto un attacco d’ansia, tanto che hanno dovuto portarla in ospedale. La situazione ha indotto il giudice a rimandare lo scambio, che poi è avvenuto venerdì in un luogo tenuto riservato. Ora Daniel si trova in Sardegna con il padre, nonostante fino a martedì avesse sempre chiesto di non andare. Gabriel, il fratello maggiore, è maggiorenne ed è rimasto con la madre.
La vicenda è seguitissima in Spagna, in Italia meno, e dopo il trambusto della scorsa settimana ha occupato di nuovo le prime pagine dei giornali spagnoli, provocando ampi dibattiti. Si discute soprattutto dell’eccessiva interferenza dei media stessi e del peso che dovrebbe avere la volontà dei minori nei casi di affidamento dopo la separazione dei genitori, soprattutto quando ci sono accuse di abusi. Il motivo per cui il caso è così lungo e sofferto, infatti, è che Juana Rivas e i figli hanno accusato più volte Arcuri di violenze; lui in Spagna è stato condannato per violenza domestica, mentre in Italia è indagato per presunti maltrattamenti. Arcuri dall’altra parte nega le accuse e sostiene che Rivas voglia trattenere Daniel contro la legge, e che lo abbia influenzato. È un’accusa frequente nei casi di separazione, basata sulla cosiddetta sindrome da “alienazione parentale”, che in realtà non è riconosciuta scientificamente ed è stata giudicata infondata anche dalla Cassazione. Nonostante questo viene ancora usata in molte sentenze, più spesso strumentalizzata a sfavore delle madri.

Il luogo in cui è avvenuto lo scambio, nonostante dovesse essere riservato, con vari giornalisti e agenti delle forze dell’ordine sul posto, 25 luglio 2025 (Arsenio Zurita/Contacto via ZUMA Press)
Per ricostruire il “caso Juana Rivas”, come lo chiamano in Spagna, bisogna partire dal 2009, l’anno della prima sentenza. All’epoca Rivas e Arcuri avevano un solo figlio, Gabriel. Rivas denunciò Arcuri in Spagna per violenza domestica, e l’uomo fu condannato a tre mesi di carcere e 15 mesi di allontanamento da Rivas. Arcuri ammise le violenze, ma anni dopo disse di averlo fatto solo per evitare una lunga battaglia legale. I due si lasciarono per un periodo, poi tornarono a vivere insieme a Carloforte, sull’isola di San Pietro, in Sardegna. Nel 2014 ebbero il loro secondo figlio, Daniel.
Poi nella primavera del 2016 Rivas rientrò con Gabriel e Daniel a Maracena, la città in provincia di Granada di cui è originaria, e ci rimase. Lo fece di sua iniziativa. Nel frattempo aveva presentato un’altra denuncia per maltrattamenti in Spagna, ma il caso venne rallentato dal fatto che i giudici spagnoli ritennero competenti quelli italiani, quindi la causa dovette spostarsi in Italia, accumulando ritardi e chiudendosi infine con un’archiviazione.
Nonostante la condanna del 2009 e l’ulteriore denuncia di Rivas, nel dicembre del 2016 un giudice di Granada le ordinò di affidare i figli al padre. Lei però non lo fece, continuando a sostenere che tenerli con sé fosse l’unico modo per proteggerli, e nell’estate del 2017 si rese irreperibile per alcune settimane. Quello fu il momento in cui la loro storia privata divenne un caso pubblico. Arcuri ottenne l’affidamento temporaneo, e Rivas gli riconsegnò i figli ad agosto. All’epoca avevano 3 e 11 anni.
La breve scomparsa di Rivas ebbe conseguenze. Nel 2018 venne condannata in Spagna a cinque anni di carcere per essersi allontanata con i figli senza il consenso del padre, e per aver ignorato alcuni ordini di comparizione. Le venne anche revocata la responsabilità genitoriale per sei anni, e le venne imposto un risarcimento ad Arcuri di 30mila euro.
La sentenza venne contestata da penalisti e associazioni che si occupano di relazioni abusanti, per la sua impostazione ideologica e per il fatto che il giudice, nel decidere sull’opportunità dell’allontanamento di Rivas, non avesse tenuto in considerazione la condanna per violenza domestica di Arcuri del 2009 né la successiva denuncia della donna (su cui la giustizia italiana all’epoca non si era ancora espressa).

Francesco Arcuri arriva allo Spazio neutro di Granada, 22 luglio 2025 (Antonio Juárez/Contacto via ZUMA Press)
Rivas fece ricorso, ma nell’aprile del 2021 la condanna venne confermata in ultimo grado di giudizio (anche se la pena fu ridotta a due anni e mezzo e il risarcimento a 12mila euro). A giugno Rivas entrò in un istituto penitenziario.
La sua storia, che nel frattempo era diventata anche un caso politico, arrivò di fronte al Consiglio dei ministri spagnolo: a novembre del 2021 il governo di Pedro Sánchez decise di concedere a Rivas una grazia parziale, riducendo ulteriormente la sua pena a un anno e tre mesi ed eliminando la privazione della responsabilità genitoriale. A marzo del 2022 Rivas venne liberata (dopo un periodo ai domiciliari) a condizione che partecipasse a un percorso sulla genitorialità e che non commettesse alcun reato per i successivi tre anni.
Tra il 2018 e il 2019 Rivas fece causa per dodici volte in Italia contro Arcuri in sede civile. A parte nel periodo di detenzione, Rivas restò a lungo in Italia per seguire le cause e vedere i figli, che erano affidati al padre. Dovette ricorrere al sostegno dei centri antiviolenza e a una campagna di raccolta fondi per sostenersi.
Nel marzo del 2019 il tribunale di Cagliari concesse l’affidamento esclusivo dei due fratelli ad Arcuri. I giudici scrissero che Rivas aveva «una grande capacità di manipolazione» nei confronti dei bambini e giudicarono la madre non idonea soprattutto per l’allontanamento del 2016. Stabilirono per lei dei tempi per le visite, e i due fratelli rimasero affidati al padre fino al marzo del 2023, quando una sentenza della Corte d’Appello di Cagliari stabilì di separarli.
A Gabriel, che aveva ormai 17 anni, venne concesso di rimanere con la madre, com’era suo desiderio. Daniel, all’epoca di nove anni, venne affidato al padre. La sentenza della Corte d’Appello stabilì che Rivas potesse vedere Daniel nei fine settimana, durante le vacanze estive e quelle di Natale.
La Corte d’Appello di Cagliari ignorò le denunce di Rivas e il fatto che i figli avessero ripetutamente chiesto di stare con la madre. Basò invece la decisione su una perizia del consulente del tribunale di giugno del 2022, in cui Daniel aveva detto di essere stato convinto dalla madre ad accusare ingiustamente il padre di maltrattamenti.

La conferenza stampa in cui venne annunciata l’approvazione della grazia parziale per Juana Rivas da parte del Consiglio dei ministri spagnolo, 16 novembre 2021, Madrid (Europa Press/Contacto via ZUMA Press)
Nell’aprile del 2024 la Corte di Cassazione, cioè l’ultimo grado di giudizio italiano, ordinò di rifare quel processo, sostenendo che la storia dovesse essere considerata come un caso di violenza su minori e non come un semplice conflitto tra genitori. Stabilì anche che il tribunale di Cagliari non aveva fatto gli adeguati approfondimenti per provare che la madre non fosse adatta a prendersi cura di Daniel, e che non aveva giustificato adeguatamente la separazione dei due fratelli.
Nel 2022 Rivas aveva denunciato Arcuri alla procura di Cagliari, che indagò e rinviò poi a giudizio Arcuri per maltrattamenti familiari e lesioni personali a danno dei figli: è il primo processo in cui l’uomo è imputato in Italia. Tra gli atti depositati dai pubblici ministeri, c’è anche un audio che Gabriel inviò alla madre nel 2020, mentre si trovava a Carloforte col padre: nel messaggio il bambino dice chiaramente di aver paura, di essere stato picchiato e insultato dal padre.
Nel momento in cui Arcuri venne rinviato a giudizio, Daniel si trovava in Spagna con la madre per le vacanze di Natale. Rivas chiese ai giudici italiani di permettere che il figlio rimanesse con lei, vista la decisione della procura e il «grave rischio» che secondo lei avrebbe corso tornando in Italia. I giudici respinsero la sua istanza e ordinarono che il bambino venisse riconsegnato al padre entro l’8 gennaio scorso.

Una manifestazione femminista in sostegno a Juana Rivas; il cartello dice «Sono anche Juana… mio figlio Daniel e io non parliamo da 7 mesi mentre al padre condannato per violenza di genere non hanno sospeso le visite», 14 gennaio 2025 (Lex Cámara/Contacto via ZUMA Press)
Poche ore prima della partenza però un giudice di Granada (a cui i legali di Rivas si erano rivolti parallelamente per chiedere che Daniel potesse restare in Spagna) decise di ascoltare per la prima volta il bambino, e sulla base del suo stato emotivo decise di sospendere il rientro in Italia. In quell’occasione i giudici spagnoli ribadirono comunque che si trattava di una scelta temporanea, e che «ogni decisione definitiva spetta alle autorità italiane». In varie città spagnole ci furono manifestazioni a favore di Rivas.
Nel frattempo, Rivas e Gabriel (ormai maggiorenne) denunciarono Arcuri in Spagna, accusandolo di aver minacciato Daniel affinché testimoniasse a suo favore nel processo per maltrattamenti. Rivas lo denunciò anche per violenza di genere, segnalando di aver ricevuto numerose chiamate e messaggi minacciosi mentre il figlio era con lei: il ministero dell’Interno spagnolo attivò inizialmente il massimo livello d’allerta per violenza di genere, poi i giudici archiviarono la denuncia.
A febbraio di quest’anno la Corte d’Appello di Cagliari ha rifatto il processo come chiesto dalla Cassazione, ma ha di fatto confermato l’affidamento ad Arcuri: ha stabilito che Daniel debba tornare in Sardegna dal padre, perché lì risiede abitualmente e lì va a scuola. Ha inoltre accusato Rivas di aver «allontanato arbitrariamente [il figlio] per la seconda volta», nonostante la denuncia e il fatto che la donna avesse ottenuto di tenerlo con sé su decisione – seppur temporanea – dei giudici spagnoli. Secondo i giudici quella decisione «è probabilmente basata su una ricostruzione unilaterale e manipolata dei fatti presentata da Rivas».
A luglio un tribunale di Granada ha ricalcato la sentenza di Cagliari con la motivazione che la competenza è dei giudici italiani perché il bambino risiede in Italia. Ha quindi ordinato a Juana Rivas di riconsegnare Daniel al padre. Così si arriva allo scorso 22 luglio, il giorno in cui ci sarebbe dovuta essere la riconsegna poi posticipata a venerdì 25 nel trambusto mediatico. Nel frattempo i fratelli hanno continuato a sostenere di voler stare con la madre, di essere spaventati dal padre, e hanno scritto numerose lettere a vari esponenti politici spagnoli chiedendo il loro aiuto.
Ora Daniel si trova in Italia col padre. Sulla base della sentenza della Corte d’Appello di Cagliari, Rivas potrà vederlo esclusivamente in Sardegna, a weekend alterni, e durante le vacanze scolastiche. Non potrà quindi più portarlo con sé in Spagna, «non certo a fini punitivi», hanno scritto i giudici, «ma per garantire al minore stabilità e serenità». I legali di Rivas hanno già presentato ricorso in Cassazione e hanno detto di essere pronti a proseguire la battaglia legale anche presso altri tribunali, se necessario.



