Il governo sta rendendo le carceri minorili più simili a quelle per adulti

La giustizia minorile italiana è stata a lungo considerata un'eccellenza: dopo il decreto Caivano le cose stanno cambiando

Il carcere Cesare Beccaria, marzo 2025 (Marco Ottico/LaPresse)
Il carcere Cesare Beccaria, marzo 2025 (Marco Ottico/LaPresse)
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Dal 2022 a oggi, cioè da quando si è insediato il governo di Giorgia Meloni, il numero di giovani detenuti nelle carceri minorili in Italia è aumentato del 50 per cento: secondo dati aggiornati al 15 giugno dell’associazione Antigone, che si occupa di diritti delle persone detenute, sono 586 (quasi tutti uomini: solo 23 sono donne). Prima dell’insediamento del governo di Meloni erano 392. Anche se tecnicamente si chiamano “Istituti penali per minorenni” (IPM), nelle carceri minorili italiane non ci sono solo minorenni: al momento quelli che hanno meno di 18 anni sono 355, circa il 60 per cento del totale.

Negli IPM vengono detenute in custodia cautelare (cioè prima di aver subìto una condanna) o per scontare una pena le persone minorenni, oppure quelle fino a 25 anni che hanno commesso un reato prima di compierne 18. Secondo i dati di Antigone, attualmente in 8 dei 17 IPM italiani ci sono condizioni critiche di sovraffollamento. È un dato rilevante, mai registrato in passato secondo l’associazione: fino a prima dell’insediamento di questo governo il sovraffollamento era un problema soprattutto delle carceri per adulti. I dati di Antigone sono contenuti in un rapporto di metà anno sulle carceri diffuso il 28 luglio, realizzato anche grazie a 86 visite nelle carceri fatte dall’associazione nell’ultimo anno.

Tra le molte questioni analizzate, il rapporto di Antigone descrive un grave deterioramento della giustizia minorile in Italia. È una situazione che desta più preoccupazioni di altre – pur molto problematiche – perché in Italia la giustizia minorile è stata a lungo considerata da molti giuristi un’eccellenza europea, per il modo in cui per anni si è riusciti ad applicare le pene con una funzione rieducativa e non punitiva.

La rieducazione dei detenuti per favorire il loro reinserimento nella società libera sarebbe lo scopo anche delle carceri per adulti ed è un principio costituzionale (art. 27), ma la sua importanza è ancora più accentuata nelle norme che regolano la giustizia minorile.

Il rapporto di Antigone certifica invece che negli ultimi anni le carceri minorili stanno venendo trasformate in qualcosa di sempre più simile a quelle per adulti, che sono a loro volta in condizioni quasi disperate.

Su questa trasformazione ha avuto un impatto molto evidente il cosiddetto “decreto Caivano”, con cui nel settembre del 2023 il governo introdusse nuove misure per contrastare la criminalità minorile: prese il nome da un comune a nord di Napoli di cui in quel periodo si parlò moltissimo, per un caso di stupro ai danni di due ragazzine di 10 e 12 anni di cui erano accusati alcuni adolescenti. Il decreto Caivano ha aumentato le pene per le persone minorenni e ha reso più facile che finiscano in carcere.

– Leggi anche: Ora in Italia anche le carceri minorili sono sovraffollate

Tra i provvedimenti più significativi del decreto Caivano c’è infatti la riduzione delle possibilità fino a quel momento previste, per i giovani detenuti, di scontare la pena fuori dal carcere. Sono cambiate innanzitutto le regole per la custodia cautelare, cioè la detenzione ordinata dal giudice prima del processo o prima della fine delle indagini, se si ritiene che la persona indagata possa commettere altri reati, scappare o “inquinare” le prove: il decreto ha abbassato la soglia dalla quale è possibile applicare la custodia cautelare in carcere per i minori, e permette di ordinare il carcere preventivo anche per reati che prevedono pene di almeno 6 anni (prima erano 9 anni).

Secondo il ministero dell’Interno, comunque, negli ultimi anni è anche aumentato il numero di segnalazioni di reati violenti commessi da minorenni, ma i problemi del decreto Caivano sono in ogni caso indipendenti da questi dati.

Il rapporto di Antigone dice che il 63,5 per cento delle presenze negli IPM italiani, quindi quasi due su tre, riguarda persone prive di una sentenza definitiva, e dunque persone al momento innocenti. La percentuale sale all’80 per cento se si considerano solo i detenuti che non hanno ancora compiuto 18 anni.

Il decreto Caivano ha inoltre ridotto i casi in cui si può ricorrere alla cosiddetta “messa alla prova”, un istituto che per certi reati di minore «allarme sociale» permette alla persona accusata di evitare il processo, se accetta di svolgere lavori di pubblica utilità e iniziare un percorso per eliminare le conseguenze pericolose che derivano dal reato in questione. La messa alla prova esiste sia per i minorenni che per gli adulti e vi si può accedere una sola volta. È una possibilità ritenuta particolarmente importante nella giustizia minorile, perché si addice meglio all’obiettivo di far riflettere la persona minorenne sul reato commesso e favorire la sua rieducazione.

Prima dell’entrata in vigore del decreto Caivano i giudici potevano valutare caso per caso se un minorenne si dimostrava realmente pentito, e dunque recuperabile, e potevano applicare la messa alla prova e affidarlo ai servizi della giustizia minorile per un percorso rieducativo. In caso contrario il minore veniva punito con la detenzione.

Ora la messa alla prova è esclusa per vari reati, anche molto diversi tra loro per gravità. Inizialmente il governo l’aveva esclusa in maniera indiscriminata sia per reati come la violenza sessuale di gruppo aggravata sia per reati meno gravi, come lo spaccio di lieve entità, ma su questa parte del decreto Caivano dal 2023 a oggi sono state sollevate varie questioni di costituzionalità. Finora la Corte ha respinto quelle sui reati più gravi, ma a inizio luglio di quest’anno ha dichiarato incostituzionale l’esclusione della messa alla prova per lo spaccio di lieve entità.

Gli effetti del decreto in ogni caso si sono concretizzati in dati molto evidenti: il rapporto di Antigone dice che si è invertito il rapporto tra percentuale di giovani adulti e minorenni detenuti: oggi, come detto, i minorenni sono oltre il 60 per cento dei detenuti negli IPM italiani, e il rapporto di Antigone dice che in molti casi sono accusati di reati per cui prima dell’entrata in vigore del decreto si sarebbero potute trovare soluzioni alternative alla detenzione.

Sempre secondo Antigone, nella prima metà del 2025 91 giovani detenuti sono stati trasferiti dagli IPM alle carceri per adulti, quasi il doppio di quanto avveniva mediamente prima dell’approvazione decreto Caivano.

Come detto negli IPM si può restare fino al compimento dei 25 anni: è ancora così, ma il decreto Caivano ha facilitato la possibilità di trasferire i neodiciottenni nelle carceri per adulti. Basta che il comportamento dei detenuto in questione sia considerato problematico o minaccioso per la sicurezza: un criterio estremamente suscettibile di interpretazioni e in ogni caso discutibile, perché i comportamenti problematici possono essere proprio quelli che necessitano di maggiore accompagnamento.

A questo proposito bisogna anche tener conto di chi sono e che storie hanno i giovani detenuti nelle carceri italiane: il rapporto di Antigone dice che il 46,9 per cento sono stranieri, per tre quarti provenienti dal Nordafrica e in gran parte minori stranieri non accompagnati, quindi persone migranti arrivate in Italia da sole, senza adulti di riferimento.

Il fatto che detenuti di questo tipo vengano trasferiti nelle carceri per adulti è un problema: negli IPM esistono generalmente percorsi educativi personalizzati, volti a promuovere la socializzazione, la crescita personale, l’apprendimento e lo sviluppo di competenze. Spostare un 18enne in un carcere per adulti significa interrompere questo percorso, verosimilmente poco dopo il suo inizio (secondo i dati di Antigone, dei 586 giovani detenuti, 302 hanno tra i 16 e i 17 anni di età) e in un momento critico per la sua riuscita. Secondo Antigone, tra il 2024 e il 2025 nelle carceri per adulti si sono suicidati quattro ragazzi di 20 anni.

La commistione delle carceri minorili con quelle per adulti si vede anche in alcuni fatti concreti successi di recente: quest’anno per esempio al carcere “Dozza” di Bologna, un carcere per adulti, una sezione è stata trasformata in un’area dedicata ad accogliere circa 50 diciottenni trasferiti da minorili sovraffollati. Il provvedimento, approvato dal ministero della Giustizia, aveva in teoria l’intento di continuare a cercare di dividere giovani e adulti in carcere: nella pratica la misura è molto contestata proprio perché infrange il principio della distinzione tra la risposta penale rivolta agli adulti e quella rivolta ai ragazzi, «in maniera mai accaduta prima», scrive Antigone.

Più in generale, il rapporto di Antigone descrive una situazione per cui anche negli IPM, e anche per via del sovraffollamento, le risorse prima a disposizione dei giovani detenuti sono sempre meno, con un generale peggioramento delle loro condizioni: è molto elevato l’utilizzo degli psicofarmaci, le condizioni igieniche sono spesso pessime, in vari istituti sono stati allestiti dei materassi a terra perché non bastavano i posti letto, mancano sufficienti attività formative e scolastiche per tutti e spesso non vengono garantite le ore d’aria previste dalla legge.