In montagna ci sono un sacco di case che non vuole nessuno
Venderle a buon prezzo è quasi impossibile e ristrutturarle non conviene: c'entrano il cambiamento climatico e il modo in cui è cambiato il turismo

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In breve:
- Migliaia di comuni di montagna italiani sono pieni di case sottoutilizzate o abbandonate dove mancano servizi essenziali come negozi, scuole, farmacie e trasporti pubblici: la popolazione rimasta è quasi tutta anziana.
- Dopo il boom della villeggiatura degli anni Settanta, quando le famiglie passavano tre mesi in montagna, oggi si preferiscono vacanze brevi e frammentate in posti diversi: molte case sono quindi sottoutilizzate.
- Il cambiamento climatico ha reso lo sci meno attraente facendo crollare i prezzi: a Montecampione per esempio le case sono scese da oltre 2.000 a meno di 900 euro al metro quadro.
La Valvarrone è una piccola e ripida valle alpina in provincia di Lecco, avvolta dai pendii delle Alpi Orobie, stretta fra la Valsassina e la Valtellina. Tutte e tre le valli terminano sulla sponda nord-orientale del lago di Como.
Nonostante la relativa vicinanza al lago (celebre e assai frequentata meta turistica), i paesi della Valvarrone sono dei luoghi piuttosto isolati e senza molta vita. Un buon esempio è quello di Pagnona: 309 abitanti, 790 metri di altezza. Da Lecco, il primo autobus diretto per arrivare al paese parte a mezzogiorno, ci impiega quasi un’ora e mezza e non arriva esattamente a destinazione; se si è sprovvisti di un passaggio in macchina bisogna prendere la coincidenza con un’altra linea oppure farsi un chilometro e mezzo a piedi lungo i tornanti di un’angusta strada provinciale.

Un uomo nel centro di Pagnona (il Post)
Oltre ai trasporti pubblici, a Pagnona mancano anche molti altri servizi: non ci sono quasi più negozi, non ci sono scuole, il parroco è condiviso con un comune vicino, non c’è una banca e nemmeno una farmacia, nonostante i pochi abitanti rimasti a vivere in queste condizioni siano quasi tutti anziani. L’ex vicesindaco Giancarlo Scuri dice che il medico di base passa solo una volta al mese.
Non c’è praticamente neanche più turismo: la colonia estiva ha smesso di funzionare da tempo, l’unico albergo che c’era ha chiuso più di vent’anni fa. Le seconde case sono quasi sempre vuote, con le persiane abbassate e le porte che sembrano sigillate. Parecchi edifici sono stati abbandonati, altri sono diroccati.

Balconi di residenze dell’Eurovillaggio di Casargo, in Valsassina (il Post)
La situazione immobiliare da queste parti, anche tenendo in considerazione le grosse differenze che ci sono da paese a paese, da valle a valle e da regione a regione, può essere usata come esempio per raccontare una storia che bene o male è la stessa. I paesi come Pagnona, pieni di case sottoutilizzate o abbandonate in cui non vive nessuno, sono migliaia. È un problema opposto a quello che affrontano le principali città italiane, in cui le case mancano da anni o costano troppo.
In montagna invece, spiega il direttore della rivista Dislivelli Maurizio Dematteis, «c’è un patrimonio edilizio pazzesco, e non si sa bene che fine farà».
Da decenni e un po’ ovunque in montagna si verificano processi che prima o dopo portano al progressivo sottoutilizzo o abbandono di molti edifici. Oltre al graduale spopolamento a favore della pianura urbana (che prosegue da più di un secolo), tanti edifici sono stati costruiti e poi abbandonati anche per effetto dei cambiamenti nelle abitudini del turismo di massa, che si sono susseguiti a partire dalla seconda metà del secolo scorso.
Tantissimi appartamenti e seconde case in montagna sono stati costruiti da chi, durante il boom economico, poteva finalmente permettersi di andare in villeggiatura per passare l’estate fuori città. «Negli anni Settanta la villeggiatura andava fortissimo, d’estate c’erano famiglie torinesi che si trasferivano nelle valli vicine, come in Val di Lanzo, e ci restavano anche tre mesi», spiega Dematteis. Lo stesso valeva per molti milanesi, che tra le altre sceglievano anche la Valsassina e la Valvarrone; o per i romani, che spesso andavano in Abruzzo.
Fino agli anni Novanta d’estate molti paesi di montagna italiani si riempivano di gente e, come racconta Scuri, anche a Pagnona come in tanti altri paesi quel periodo – oltre a favorire una notevole espansione edilizia – riuscì momentaneamente a fermare il circolo vizioso dello spopolamento e della riduzione dei servizi.

Primaluna, in Valsassina (il Post)
Da allora il modo di andare in ferie è molto cambiato. Le persone fanno vacanze più brevi e frammentate, vogliono vedere tanti posti diversi, e fatta eccezione per i pensionati i pochi che ora passano l’estate in montagna tendono a starci al massimo per qualche settimana. Di conseguenza molte case sono sottoutilizzate. Anche perché affittarle o venderle non è facile né conveniente.
Nei centri storici di alcuni paesi come per esempio quelli di Premana e Primaluna (dove comunque ci sono zone industriali con un’economia ben funzionante), molte case sono state abbandonate e alcune sono già crollate. In molti invece che ristrutturare hanno preferito costruire delle nuove abitazioni e hanno abbandonato le vecchie case: «non c’è convenienza economica a metterci mano», spiega Federico Oriani, esperto di storia locale della Valsassina. Gli agenti immobiliari della zona spiegano che per ristrutturarle infatti serve spesso una spesa superiore a 1.000 euro al metro quadro: solo che case già ristrutturate e arredate si vendono al di sotto di 1.000 euro al metro quadro.
Centri storici e paesini semi-abbandonati fanno calare ulteriormente i prezzi, in un circolo che conduce quasi inevitabilmente a una stagnazione del mercato. «I cartelli “vendesi” spesso li tolgono perché tanto qui non compra nessuno», dice Scuri.

Cartelli vendesi a Taceno, in Valsassina (il Post)
Una cosa simile è successa a molte ex località sciistiche, che spesso erano anche zone di villeggiatura estiva. Come documentato nel libro Assalto alle Alpi di Marco Albino Ferrari, nel corso dei decenni assieme a funivie e seggiovie sono state costruite schiere di villette, palazzine piene di appartamenti minuscoli (i cosiddetti “alveari”), ma anche alberghi e grosse stazioni sciistiche, che al loro interno potevano contenere vari tipi di servizi come palestre, piscine, centri estetici, discoteche, e ovviamente ristoranti e negozi. Si costruì tantissimo, e in certi casi si continuò a costruire (si fa tuttora) anche quando era ormai chiaro che il cambiamento climatico avrebbe compromesso in poco tempo il turismo di massa basato sullo sci.
– Leggi anche: Il futuro dei paesi di montagna passa ancora dallo sci?
Di recente l’aumento delle temperature in alta quota ha reso un po’ ovunque la stagione sciistica più breve, meno profittevole per chi la gestisce, molto più costosa per chi ne fruisce e dunque molto meno popolare. In Italia gli impianti sciistici ormai dismessi sono centinaia e nei prossimi anni altri continueranno a chiudere, alimentando lo spopolamento di questi paesi. «Gli impianti che non vengono più usati col tempo si rompono, il patrimonio edilizio perde valore e alcuni posti vengono gradualmente abbandonati», spiega Dematteis.
La crisi dello sci è tuttora in corso, e dunque la situazione varia molto in base alla località: «Ci sono posti come Cortina, con un record di valore immobiliare di 25mila euro al metro quadro», spiega Antonio De Rossi, professore di architettura al Politecnico di Torino. A Barzio, in Valsassina, la località sciistica dei Piani di Bobbio funziona ancora, e il prezzo delle case è ancora al di sopra dei 1000 euro al metro quadro, sebbene non di molto.

Il Centro di Formazione Professionale Alberghiero (CFPA) di Casargo (il Post)
Le località più di successo infatti sono quelle più grandi (come Courmayeur o il sistema Dolomiti Superski, di cui fa parte Cortina) e sono sempre meno, mentre sono molti di più gli esempi di posti in cui i servizi iniziano a scarseggiare e gli immobili si sono pesantemente svalutati.
Uno è quello della località sciistica di Montecampione, in provincia di Brescia, dove all’inizio degli anni Duemila le case venivano vendute a oltre 2mila euro al metro quadro, mentre dopo la parziale chiusura degli impianti nel 2023 il prezzo è sceso sotto i 900 euro al metro quadro. Finito lo sci, le case e gli appartamenti nei villaggi turistici non sono più richiesti perché «chi va comunque in montagna d’estate ora cerca i borghi e le case in pietra, non gli “alveari”», dice Dematteis.
In Appennino il turismo di massa invernale ha iniziato ad andare in crisi a partire dagli anni Ottanta, ancora prima che sulle Alpi, per via delle altitudini minori. Sull’appennino abruzzese, per esempio, negli ultimi decenni hanno chiuso 31 impianti sciistici. In Abruzzo le tendenze sono simili a quelle del resto degli Appennini e delle montagne italiane: le località montane continuano a spopolarsi e il sottoutilizzo degli immobili cresce a dismisura.
Ci sono comunque alcune valli e località che fanno eccezione, dove il turismo di massa non ha portato eccessive oscillazioni nel valore degli immobili, dove esistono comunità funzionanti o addirittura in ripresa, per varie ragioni, e dove di conseguenza il tasso di sottoutilizzo e abbandono delle case è inferiore alla media. «Ci sono processi di rigenerazione sia sulle Alpi che sugli Appennini», dice De Rossi, che fa l’esempio di Ostana, un piccolissimo paese nella valle del Po, in provincia di Cuneo, dove la reintroduzione di alcuni servizi essenziali come la scuola ha aumentato la richiesta di case.
De Rossi fa anche l’esempio di posti sugli Appennini come Gagliano Aterno in Abruzzo e Castel Del Giudice in Molise, in cui alcuni progetti di ripopolamento stanno dando qualche risultato. Sono paesi in cui si sta cercando di costruire economie basate su una produzione culturale legata al territorio, oltre che su agricoltura e allevamento. E, per arrotondare, «anche un po’ sul turismo», dice De Rossi, «ma solo in modo omeopatico».













