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  • Martedì 15 luglio 2025

Quanto sono davvero efficaci i controlli in aeroporto?

Sicuramente hanno un effetto deterrente, ma che serva levarsi le scarpe è un altro discorso

Un'operatrice della TSA all'aeroporto di Albany, nello stato di New York, Stati Uniti (AP Photo/Mike Groll)
Un'operatrice della TSA all'aeroporto di Albany, nello stato di New York, Stati Uniti (AP Photo/Mike Groll)
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Da qualche giorno chi sta per prendere un aereo negli Stati Uniti non si deve più togliere le scarpe ai controlli di sicurezza in aeroporto, una pratica che era in vigore da quasi vent’anni e che nel corso del tempo aveva ricevuto critiche e fatto sollevare dubbi sull’efficacia in generale della sicurezza aeroportuale. La Transport Security Administration (TSA), l’agenzia federale che si occupa della sicurezza in aeroporto, ha annunciato la novità la scorsa settimana e le nuove regole potranno interessare anche chi vola dall’estero verso gli Stati Uniti, con modifiche ai controlli solitamente più rigidi rispetto a quelli per altre destinazioni. Il cambiamento è stato reso possibile dal miglioramento delle tecnologie per bagagli e scanner e da un migliore sistema di verifica dell’identità dei passeggeri, ma anche da nuove valutazioni sull’efficacia di alcuni tipi di controlli per imbarcarsi.

Prima di raggiungere il loro gate e salire in aereo, ogni giorno milioni di persone passano per le aree della sicurezza aeroportuale, facendo i conti con code e imprevisti che possono trasformarsi in significative perdite di tempo, soprattutto nei giorni di maggiore affluenza come quelli delle ferie estive. La rigidità dei controlli varia da paese a paese, ma ci sono standard comuni definiti dalle principali autorità per il volo a partire dall’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile (ICAO).

È una trafila che conosce chiunque abbia preso almeno una volta un aereo. I bagagli a mano devono essere controllati attraverso speciali scanner che “vedono” al loro interno, segnalando l’eventuale presenza di esplosivi, armi o altri oggetti pericolosi, mentre le persone devono attraversare metal detector o “body scanner” per dimostrare di essere disarmate. L’operazione richiede di vuotare le tasche da qualsiasi oggetto metallico, levarsi la cintura e la giacca se le si indossa, e in alcuni casi togliersi le scarpe, come richiesto fino a pochi giorni fa negli Stati Uniti.

La regola era stata introdotta nel 2006 dopo che la polizia inglese aveva annunciato di avere sventato alcuni attentati, che prevedevano di usare liquidi esplosivi all’interno di normali contenitori per bibite su aerei di linea dal Regno Unito verso il Canada e gli Stati Uniti. Nei giorni dell’annuncio furono adottati controlli estremamente rigidi in buona parte degli aeroporti, poi ridotti col passare delle settimane, ma non eliminati del tutto. Fu deciso il limite del litro di liquidi nel bagaglio a mano (separato in recipienti al massimo da 100 millilitri), in vigore ancora oggi pressoché ovunque, e negli Stati Uniti la TSA rese obbligatorio togliersi le scarpe per farle passare negli scanner in modo da verificare che non avessero al loro interno esplosivi.

Le nuove regole aggiungevano ulteriori limiti dopo quelli introdotti in seguito agli attentati aerei dell’11 settembre 2001 sempre negli Stati Uniti. Fino ad allora i controlli c’erano, ma erano meno severi e derivavano da un periodo di frequenti dirottamenti dei voli statunitensi tra gli anni Sessanta e Settanta, quindi agli albori della massificazione dell’aviazione civile. Prima di quel periodo salire su un aereo era un po’ come prendere il treno oggi, quindi senza particolari controlli, perfino sull’identità dei passeggeri. I cambiamenti introdotti negli Stati Uniti furono imitati da diversi altri paesi, a cominciare da quelli occidentali, portando alle regole in vigore ancora oggi.

Attività di imbarco all’aeroporto Fiorello LaGuardia di New York, Stati Uniti, nel 1946 (Office of War Information/PhotoQuest/Getty Images)

I controlli non impedirono comunque i dirottamenti dell’11 settembre 2001, nonostante le autorità statunitensi avessero messo a punto da tempo un sistema di difesa “a strati” che prevedeva attività di intelligence, controlli in aeroporti, verifiche sui passeggeri sospetti e presenza di personale di sicurezza a bordo degli aerei. L’idea era che se uno dei livelli di sicurezza non avesse funzionato ce ne sarebbero stati altri per compensare, mantenendo basso il rischio di un dirottamento o di un attentato. La Commissione d’inchiesta sull’11 settembre concluse che il sistema non era però affidabile a sufficienza e che evidentemente non si era rivelato efficace per prevenire il più grande attentato terroristico della storia.

Le regole furono quindi riviste, introducendo molti più controlli di sicurezza negli aeroporti, che anche questa volta furono imitati dalla maggior parte dei paesi, diventando standard condivisi sotto il coordinamento dell’ICAO. La loro utilità fu però messa quasi da subito in dubbio, e ci si chiese se la spesa di miliardi di euro all’anno per garantire la sicurezza negli aeroporti e sugli aerei portasse concretamente a qualche beneficio.

Nel 2015 poi furono resi pubblici i risultati di una serie di test condotti dal Dipartimento della sicurezza interna degli Stati Uniti, dai quali emerse che gli operatori della TSA in quasi il 96 per cento dei casi non erano stati in grado di identificare armi ed esplosivi ai controlli di sicurezza in vari aeroporti statunitensi. Alcuni agenti del Dipartimento in borghese si erano finti passeggeri e in 67 casi su 70 erano riusciti a portare oggetti pericolosi con sé, senza essere fermati. La vicenda portò all’allontanamento del capo di allora della TSA e a un ulteriore ripensamento delle attività di controllo negli aeroporti.

Test di questo tipo vengono eseguiti anche in Europa da parte della Commissione europea, che ha il compito di verificare l’applicazione dei regolamenti europei sui controlli in aeroporto. Le ispezioni coprono almeno il 15 per cento degli aeroporti dell’Unione Europea ogni 5 anni, con particolare attenzione per gli scali nazionali principali; inoltre, ogni stato viene valutato ogni due anni per assicurarsi che stia rispettando i regolamenti.

Il rapporto più recente, pubblicato nel 2021, dice che nella maggioranza degli stati membri le verifiche erano effettuate secondo le regole, con finanziamenti adeguati e un buon livello di formazione del personale. In buona parte dei paesi dell’Unione i controlli spettano alle autorità di controllo per la sicurezza del volo, come l’ENAC in Italia, che delegano poi il compito a società private che devono rispettare diversi criteri. Negli Stati Uniti prima dell’11 settembre 2001 la responsabilità dei controlli in aeroporto era affidata alle compagnie aeree; dopo gli attentati si decise di istituire la TSA in modo da avere un controllo diretto da parte del governo.

Controlli di sicurezza all’aeroporto internazionale di Beirut, in Libano (AP Photo/Bilal Hussein)

È molto difficile stabilire con certezza se i controlli in aeroporto siano realmente efficaci, semplicemente perché non c’è la controprova. Sappiamo che i dirottamenti e gli attentati sono diventati estremamente rari dopo l’11 settembre 2001, ma non si può dire se si sarebbe potuto ottenere lo stesso risultato con meno controlli o con verifiche fatte diversamente, con un minore impatto economico e minori disagi per chi deve volare. In alcune aree del mondo si fanno meno controlli, per questioni economiche e di inadeguatezze dei sistemi, eppure non si registra una maggiore incidenza di iniziative terroristiche o di episodi violenti a bordo.

Una ricerca pubblicata nel 2016 negli Stati Uniti ha segnalato che l’approccio a più livelli di sicurezza, rivisto negli Stati Uniti dopo il 2001, riduce del 98 per cento il rischio di un attentato terroristico sugli aerei che volano negli Stati Uniti. La marcata riduzione è stata resa possibile soprattutto dall’introduzione da parte della TSA del programma “PreCheck”, che consente ai passeggeri di sottoporsi a un approfondito controllo di sicurezza per definire il loro livello di rischio, in modo da accedere a controlli più rapidi e blandi in aeroporto. Lo scorso anno questo sistema ha raggiunto 20 milioni di partecipanti e ha contribuito a rendere più veloci i controlli negli aeroporti statunitensi, mantenendoli comunque sicuri secondo la TSA.

In generale c’è un certo consenso sul fatto che i controlli in aeroporto siano efficaci soprattutto per l’effetto di deterrenza che producono. L’esistenza dei controlli, più o meno approfonditi a seconda dei casi, è di per sé sufficiente per disincentivare i tentativi di portare a bordo armi, esplosivi o altri oggetti pericolosi. Il ruolo della deterrenza è reso evidente dalle ricerche che hanno ipotizzato vari scenari, alcuni con controlli sistematici su tutti i passeggeri e altri con controlli a campione. I primi sono percepiti come molto più efficaci dei secondi e fanno più da deterrente rispetto ai secondi, nonostante ci possano essere casi in cui la loro capacità di ridurre il rischio sia comparabile.

Non ci sono molti dati sulla percentuale di oggetti pericolosi che superano i controlli e vengono portati a bordo, sia perché è raro che questi vengano scoperti una volta che si è sull’aereo o a destinazione (dove normalmente non ci sono altri controlli) sia per la mancanza di trasparenza sui test che vengono svolti per dare una dimensione al problema.

La difficoltà di misurare l’efficacia dei controlli aeroportuali rende anche molto difficile fare stime sui costi e sui benefici di queste pratiche. Si stima che nel 2024 l’intero settore della sicurezza aeroportuale abbia comportato una spesa di circa 16 miliardi di dollari a livello globale, affrontata dai governi, dalle compagnie aeree e dalle società che gestiscono gli aeroporti, con ricadute per gli utenti finali, cioè per i passeggeri. I controlli a campione al posto di quelli sistematici potrebbero portare a una riduzione del personale e dei macchinari necessari, ma sulla base delle valutazioni del rischio potrebbero portare a un aumento del materiale pericoloso portato a bordo, con le conseguenze del caso.

Un’area dei controlli di sicurezza dell’aeroporto di Los Angeles, California, Stati Uniti (AaronP/Bauer-Griffin/GC Images)

Gli sviluppi tecnologici nel settore sono visti come un’importante opportunità per aumentare l’efficienza dei controlli, velocizzarli e ridurne i costi. Gli scanner di nuova generazione per i bagagli, per esempio, permettono di identificare una maggiore quantità di sostanze sospette in borse e valigie, senza la necessità per i passeggeri di estrarre i liquidi che conservano al loro interno. Scanner di questo tipo sono già disponibili in molti aeroporti, compresi alcuni in Italia, e rendono possibili analisi più accurate dei contenuti dei bagagli in tempi più rapidi.

Numerosi aeroporti hanno inoltre iniziato a sostituire i classici metal detector con “body scanner” di nuova generazione, che consentono di rilevare più nel dettaglio la presenza di oggetti nelle tasche o nascosti sotto i vestiti. Nell’Unione Europea possono essere utilizzati a patto che rispettino la privacy dei passeggeri e la loro salute, cosa che non sempre era possibile con i modelli utilizzati fino a qualche anno fa. I tempi per ogni passaggio nello scanner si sono inoltre ridotti, rendendoli un’alternativa più vantaggiosa rispetto ai metal detector.

Un altro settore in cui si è iniziato a investire di più è la formazione degli operatori che si occupano materialmente dei controlli, sia per usare al meglio i nuovi scanner, sia per affinare le loro capacità di riconoscere comportamenti sospetti e procedere a controlli aggiuntivi e più approfonditi. Da tempo gli scanner per i bagagli utilizzano inoltre sistemi per creare falsi positivi, segnalando saltuariamente la presenza di oggetti pericolosi nei bagagli anche se in realtà non ci sono. In questo modo si verifica il livello di attenzione da parte degli operatori, che devono poi procedere a una verifica fisica aprendo la borsa o la valigia. È il motivo per cui ogni tanto vi ispezionano il bagaglio, anche se non c’è nulla di sospetto al suo interno.