Viaggiare con i bambini piccoli è un’esperienza diversa
Può essere appagante per i genitori e utile per la crescita del bambino, nonostante qualche fatica e solo ad alcune condizioni
di Paolo Bevilacqua

Questo e gli altri articoli della sezione Capire il turismo di oggi sono un progetto del workshop di giornalismo 2025 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.
Viaggiare assieme ai bambini piccoli è sicuramente un desiderio di molte madri e molti padri, ma è anche una fonte di grandi incertezze rispetto alle difficoltà e alle opportunità che ne possono derivare. I motivi principali per viaggiare con figli piccoli, nonostante le fatiche che questo comporta, sono due: assecondare un desiderio dei genitori, oppure offrire ai propri figli un’esperienza che si pensa possa essere utile per la loro crescita.
«Se il motivo è che ti piace viaggiare e non vuoi rinunciarci, non ci trovo niente di drammatico o di colpevole: fare qualcosa per il nostro benessere è importante per tutta la famiglia», dice la psicoterapeuta Silvana Quadrino. «Se invece vuoi offrire qualcosa al bambino, allora bisogna pensarci bene. […] Devi trovare dei luoghi adatti, delle situazioni che siano interessanti anche per lui».
Secondo Quadrino in ogni caso è importante ricordarsi che non si può pensare di viaggiare come lo si faceva prima di diventare genitori: alcune attività proprio non si possono fare. La cosa migliore sarebbe pianificare molto attentamente gli spostamenti e consultare un pediatra prima di partire. C’è poi da considerare un altro elemento, cioè la disponibilità economica della famiglia. Viaggiare con i bambini può essere molto costoso, e non solo perché bisogna aggiungere i costi di una persona in più, ma anche per le esigenze particolari che può avere il bambino.
I bambini hanno bisogni specifici a seconda della loro età. Psicologhe e psicoterapeute specializzate sentite dal Post concordano sul fatto che ritmi regolari e tranquillità siano sempre importanti per loro, ma crescendo i bambini diventano sempre più adattabili e in grado di gestire anche piccole dosi di stress e stanchezza. Nei primi tre anni di vita hanno bisogno di una routine consolidata e, per quanto possibile, di tanto comfort sia per loro stessi che per le persone che li circondano. A quell’età è meglio non cambiare il ritmo delle giornate troppo bruscamente o troppo spesso.
Ci sono pareri diversi su quanto sia opportuno fare viaggi insieme a bambini così piccoli. Alcuni esperti ipotizzano che spostarsi rapidamente per distanze molto lunghe possa essere una fonte di grande stress, al punto da costituire un piccolo trauma, mentre altri sono meno categorici.
A partire dal secondo o terzo anno di età, a seconda dello sviluppo, i bambini cominciano ad essere più consapevoli e più indipendenti. Iniziano anche a memorizzare le cose in maniera conscia. Dai cinque-sei anni sono in grado di affrontare un viaggio anche lungo, che può diventare un’occasione molto formativa. «A quell’età si può iniziare a coinvolgerli nella pianificazione delle attività, mettendoli davanti a piccole scelte e cominciando a responsabilizzarli […] È molto meglio rispetto a spostarli semplicemente da un punto all’altro», sostiene Chiara Borgia, che è pedagogista e direttrice di Uppa, una casa editrice specializzata sui temi dell’infanzia e della genitorialità.
Gli esperti fanno anche notare che una persona adulta e un bambino concepiscono il mondo in maniera diversa: se un adulto si trova davanti l’Everest, gran parte del suo stupore deriverà dal fatto di non avere mai visto una montagna così alta. Un bambino che si trovi nella stessa situazione sarà probabilmente molto ammirato, ma tanto quanto lo sarebbe da altre montagne meno remote. «Ai bambini basta pochissimo, anche una gita nel bosco dietro casa può essere un viaggio avventuroso. L’importante è farli sentire coinvolti», dice sempre Borgia. Ogni esperienza, che venga o meno ricordata consapevolmente, entra a far parte del loro bagaglio personale, che poi useranno per comprendere il mondo.
Oltre al filtro delle esperienze accumulate, la percezione della realtà dipende anche da altri elementi: «Ci sono i sensi e ci sono le emozioni, e sono cose che nella maggior parte dei bambini funzionano perfettamente», dice Quadrino. «In particolare per loro le emozioni funzionano “di rimbalzo”: magari non riescono a comprendere logicamente perché una cosa sia così entusiasmante, ma se i genitori sono entusiasti lo saranno anche loro […] Molto dipende anche dalla narrazione che gli dai di quello che sta succedendo».
«Le emozioni hanno un ruolo molto importante nel come vengono percepite le cose. Tu li puoi anche portare nel posto più bello del mondo, ma se in quel momento sei affaticato e nervoso sarà quello che noteranno», aggiunge Borgia. Le emozioni hanno anche un effetto molto potente su come ricordiamo il passato, perché gran parte dei ricordi si fissa grazie a quello che proviamo in un certo momento, noi e le persone intorno a noi. Dice Borgia: «I ricordi poi bisogna coltivarli, prendersi cura sia della memoria individuale che di quella familiare […] Raccontare tanto ai bambini e farli raccontare a loro volta, anche solo ripercorrendo la giornata prima di addormentarsi».




