Quanto conta davvero il turismo per l’economia italiana
Meno di quanto si pensi, ma è fondamentale per i comuni più piccoli
di Antonio Lasagna

Questo e gli altri articoli della sezione Capire il turismo di oggi sono un progetto del workshop di giornalismo 2025 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.
Anche nella crisi economica e produttiva in cui si trova l’Italia da qualche decennio, il turismo è sempre stato considerato da molti il punto di forza e una delle poche certezze dell’economia italiana. Questa convinzione deriva in gran parte dalla consapevolezza che l’Italia è un paese ricco di musei, aree archeologiche, riserve naturali, ed è quello con il maggior numero di siti patrimoni dell’UNESCO al mondo, 60. È un paese in cui passano ogni anno milioni di turisti, e questo porta molti a credere che dal turismo derivino grossi benefici anche per la sua crescita economica. Ma non è proprio così.
A livello nazionale, infatti, il turismo è meno indispensabile di quanto possa apparire. A trarre in inganno è una percezione distorta piuttosto generalizzata, che ha diverse ragioni ed è alimentata da stime un po’ esagerate e non sempre corrette, per esempio quelle su quanto pesa nel PIL italiano, il Prodotto interno lordo (cioè l’indicatore che misura il valore di beni e servizi di un paese, e quindi la sua ricchezza). La stessa ministra del Turismo Daniela Santanchè arrivò a dire che il turismo vale il 18 per cento del PIL italiano: una stima molto esagerata, da qualunque parte la si prenda.
I dati più recenti di Eurostat, l’istituto di statistica dell’Unione Europea, dicono che in Italia il turismo vale il 6,2 per cento del PIL: più della media dei paesi dell’Unione Europea (4,5 per cento), e meno di paesi come Spagna (6,9), Portogallo (8,1) e Croazia (11,3). Non è poco, ma è decisamente meno del contributo di diversi altri settori, per esempio quello manifatturiero che vale il triplo.
La ragione principale per cui per l’Italia è poco conveniente puntare così tanto sul turismo è che è un settore a basso “valore aggiunto”: è il valore che misura la differenza tra quanto vale un bene realizzato da un’azienda e quanto l’azienda spende per realizzare quel bene.
Il manifatturiero è un classico esempio di settore con un alto valore aggiunto, perché a partire dalla trasformazione di materie prime riesce a creare prodotti che valgono tanto.
Con il turismo ottenere un risultato del genere è molto più difficile perché le attività su cui si regge, come gli alberghi, i ristoranti e le spiagge non possono crescere più di una certa soglia: i ristoranti possono fare solo un certo numero di coperti; c’è un limite alle stanze che un albergo può avere, così come ai lettini di uno stabilimento balneare.
L’alternativa che rimane è aumentare i prezzi, ma alla lunga è un metodo controproducente, perché naturalmente piace poco ai clienti.
Il turismo fa crescere poco l’economia italiana anche perché la struttura del suo mercato del lavoro ha molti problemi. In Italia moltissime persone lavorano nel turismo: circa 1.6 milioni, cioè il 7 per cento degli occupati italiani. L’impiego di così tante persone è una delle ragioni per cui il turismo influisce comunque in modo considerevole sul PIL italiano.
Queste persone però sono pagate molto poco, e spesso in nero: il problema è che i lavori turistici si fanno solo per pochi mesi all’anno, come in estate nei posti di mare o per poche settimane in inverno nei posti di montagna; per tutto il resto dell’anno i lavoratori vengono impiegati molto poco. Nelle attività di alloggio e ristorazione, per esempio, la retribuzione media di un lavoratore è di circa 10 euro l’ora: facendo quel lavoro solo per pochi mesi, però, annualmente quello stesso lavoratore finisce per percepire solamente poco più di 10mila euro.
Se a livello nazionale l’impatto del turismo sull’economia non è significativo come si pensa, le cose cambiano quando ci si concentra sui piccoli borghi, cioè quei piccoli comuni con un numero di abitanti che va dalle poche centinaia ad alcune migliaia, che senza le entrate derivanti dal turismo rischierebbero di spopolarsi fino a sparire.
Negli ultimi anni il turismo nei piccoli centri si è diffuso sempre di più, sia tra le persone italiane che tra quelle straniere, che cercano mete più economiche e percepite come più autentiche, anche in risposta agli effetti negativi del turismo di massa che sono generalmente più visibili nelle grandi città italiane, caotiche e costose.
L’effetto economico positivo del turismo, insomma, si riscontra più a livello locale che nazionale. Secondo uno studio della multinazionale inglese Deloitte, i borghi italiani ricavano circa 5 miliardi di euro dal turismo.
L’87 per cento dei comuni italiani ha meno di 10mila abitanti, e una persona su tre abita in uno di questi comuni: anche questo può contribuire a creare una sopravvalutazione dell’impatto del turismo sull’economia nazionale, visto che per i posti più piccoli quelle entrate sono ancora fondamentali. Un’altra entrata importante per i comuni più piccoli è la tassa di soggiorno, l’imposta che deve pagare chi soggiorna in una città diversa da quella di residenza. Nel 2024 i comuni hanno ricavato dalla tassa di soggiorno più di un miliardo di euro. Gli introiti sono aumentati costantemente nel corso degli anni perché i comuni hanno progressivamente alzato i prezzi.
Normalmente il gettito andrebbe poi reinvestito nel turismo, ma i comuni lo utilizzano anche per altri scopi con il fine di chiudere il bilancio in pareggio, perché a differenza delle grandi città hanno molti meno settori su cui puntare.




