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  • Domenica 13 luglio 2025

L’Europa non sa bene come rispondere ai dazi minacciati da Trump

Deve negoziare per conto di tutti gli Stati membri, ma Francia, Germania e Italia sono divise sulle contromisure

Ursula von der Leyen e Donald Trump nel 2020 (AP Photo/ Evan Vucci)
Ursula von der Leyen e Donald Trump nel 2020 (AP Photo/ Evan Vucci)
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Sabato il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha comunicato all’Unione Europea che dal primo agosto intende sottoporre le merci europee a dazi del 30 per cento. In precedenza ne aveva minacciati altri al 50, ma anche il 30 causerebbe grossi problemi all’economia europea. Trump ha cambiato idea diverse volte e i dazi altissimi con cui minaccia l’Europa e il resto del mondo da aprile sono stati rimandati più volte: sono più una tattica negoziale per fare accordi con i singoli paesi. In ogni caso l’Unione non ha ancora deciso una linea comune con cui rispondere e i negoziati, che andranno avanti fino ad agosto, hanno fatto progressi limitati.

La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha risposto in pochi minuti all’annuncio di Trump di sabato, dicendo che i dazi creerebbero problemi nelle filiere produttive europee e americane, danneggiando produttori e consumatori da entrambe le parti, che l’Unione Europea rimane aperta ai negoziati e anche che è pronta a prendere contromisure. Domenica, in una conferenza stampa, von der Leyen ha detto che prorogherà l’entrata in vigore delle contromisure a inizio agosto, e che confida di trovare una soluzione negoziale prima di quel termine.

Ma il problema è che l’Unione deve negoziare le questioni doganali per conto di tutti gli Stati membri, che in molti casi hanno interessi divergenti. Sono soprattutto i due paesi più importanti e con l’economia maggiore a essere divisi: il governo francese ha ribadito la posizione secondo cui bisogna arrivare ai negoziati con una proposta seria di contromisure, inclusi l’aumento dei dazi e le limitazioni agli investimenti. La pensano diversamente in Germania, dove le esportazioni verso gli Stati Uniti contano molto di più che in Francia per l’economia nazionale. Il governo tedesco ha chiesto una linea più cauta e di continuare i negoziati.

Il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Friedrich Merz il 24 giugno (AP Photo/Kin Cheung)

Anche il governo italiano tiene una linea piuttosto cauta: in un comunicato ha scritto di sostenere le decisioni della Commissione Europea, di confidare nella «buona volontà» delle parti a trovare un accordo vantaggioso per tutti, e di voler evitare di polarizzare il dibattito. E tuttavia fin qui la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha provato una tattica ancora diversa: usare il suo buon rapporto personale con Trump per provare a trattare un abbassamento dei dazi. Il tentativo per ora si sta dimostrando ampiamente fallimentare.

Nei prossimi giorni sono previste le riunioni di vari organi dell’Unione per provare a capire che risposta dare alla minaccia di Trump, e che obiettivo cercare di raggiungere entro la scadenza del primo agosto.

All’inizio di quest’anno il valore dei dazi statunitensi sulle merci provenienti dall’Europa era del 2,5 per cento, ora è del 10, ma da aprile la situazione si è fatta molto caotica, a causa dell’approccio spregiudicato di Trump. Inizialmente il presidente statunitense aveva minacciato dazi del 20 per cento contro l’Unione Europea, la cui entrata i vigore era stata rimandata al 9 luglio. Poi visti quelli che considerava progressi scarsi nei negoziati aveva aumentato la percentuale fino al 50 per cento. Infine negli ultimi giorni sembrava che le trattative potessero portare a un accordo entro il 9 luglio per limitarli al 10 per cento, ma invece no: e sabato è arrivato l’annuncio del 30 per cento.

Queste oscillazioni dimostrano che Trump non ha mai davvero avuto una linea definita sui dazi: le percentuali che annuncia di volta in volta sono più che altro minacce per mettere sotto pressione i negoziatori degli altri paesi. Probabilmente l’obiettivo di Trump è arrivare a un nuovo trattato commerciale che oltre a un nuovo valore dei dazi preveda anche una serie più ampia di concessioni commerciali, fra cui cambiamenti nei regolamenti internazionali, per esempio quelli che devono seguire le aziende statunitensi che esportano beni in Europa o investono nel continente.

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