Ci sono culture che in questa immagine vedono prima di tutto dei cerchi

Per gli Himba della Namibia sono evidenti quanto per gli occidentali lo sono i rettangoli

Una delle illusioni ottiche utilizzate nello studio degli psicologi della London School of Economics (Anthony Norcia)
Una delle illusioni ottiche utilizzate nello studio degli psicologi della London School of Economics (Anthony Norcia)
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«Non vediamo le cose come sono; le vediamo come siamo». Questo antico detto, insieme alle sue molte varianti, è citato da oltre un secolo per spiegare la psicologia alla base dei pregiudizi. Preso più alla lettera, però, si adatta bene a descrivere anche come funzionano le nostre stesse percezioni. Tendiamo a pensare che la forma e l’aspetto delle cose che abbiamo intorno non dipendano dall’occhio di chi le osserva: un cerchio è un cerchio, per chiunque e dappertutto. Ma la realtà è un po’ più complessa di così.

Molti studi scientifici hanno utilizzato nel corso dei decenni le illusioni ottiche per provare che vari fattori ambientali e culturali influenzano processi cognitivi che presumiamo essere universali e uguali per ogni persona. Di recente, per esempio, la rivista Science ha presentato uno studio condotto da un gruppo di psicologi della London School of Economics e dell’università di Harvard, che hanno mostrato le stesse illusioni ottiche a persone inglesi e statunitensi, e a membri degli Himba, un gruppo etnico che vive in piccoli insediamenti nel nord della Namibia.

Una delle illusioni ottiche era l’“illusione del forziere” (coffer illusion), un’immagine creata nel 2006 dallo psicologo dell’università di Stanford Anthony Norcia, all’epoca ricercatore dello Smith-Kettlewell Eye Research Institute.

un’immagine composta da un motivo di linee nere, bianche e grigie di varie tonalità che creano l’illusione di rettangoli

(Anthony Norcia/Smith-Kettlewell Eye Research Institute)

È un’immagine ambigua, nel senso che non c’è un modo giusto e uno sbagliato di osservarla e interpretarla. Il 97 per cento del gruppo di partecipanti statunitensi e inglesi ci ha subito visto dei rettangoli. Il 96 per cento del gruppo degli Himba ci ha visto invece prima di tutto dei cerchi. Ce ne sono in totale 16, nell’immagine, riconoscibili se ci si concentra sullo spazio tra un rettangolo e l’altro, dal lato più corto. Ma molti partecipanti del primo gruppo non riuscivano a individuarli nemmeno dopo che gli sperimentatori li avevano informati che oltre ai rettangoli c’erano dei cerchi. Stesso discorso per gli Himba, ma all’inverso: la metà di loro non vedeva i rettangoli nemmeno dopo le spiegazioni.

Una delle ipotesi proposte nello studio per spiegare perché tante persone fatichino a individuare i cerchi (o i rettangoli) è che siano influenzate dalle forme prevalenti nel loro ambiente quotidiano. La premessa è che tendiamo normalmente a individuare oggetti in ciò che vediamo. Se le strutture più comuni nell’ambiente sono rettangolari, come in molti contesti urbani dei paesi industrializzati, allora il cervello favorisce la suddivisione in rettangoli (un’idea nota come ipotesi del “mondo a carpenteria”).

Alcuni edifici nella zona di Porta Nuova, a Milano (AP Photo/Luca Bruno)

Agli Himba viene invece più naturale vedere i cerchi nell’illusione del forziere perché, secondo questa ipotesi, le strutture architettoniche più comuni nei loro insediamenti sono le capanne rotonde in cui vivono e gli spazi circolari recintati per il bestiame. I risultati degli esperimenti con altre tre illusioni ottiche hanno confermato una divergenza meno netta ma comunque chiara tra l’interpretazione che ne davano gli Himba e quella del gruppo di partecipanti dei centri urbani.

– Leggi anche: Cosa ci insegna questa illusione ottica sul nostro cervello

Le illusioni ottiche sono utilizzate da oltre un secolo in antropologia, in psicologia e nelle neuroscienze, ma gli scienziati non hanno un’opinione unanime su come interpretare gli studi. C’è chi si spiega le differenze culturali attribuendole a differenti processi cognitivi di alto livello, come l’attenzione, ma considera comunque universali i processi di percezione, più profondi. E c’è chi invece sostiene che anche questi processi di base, tra cui la visione, siano influenzati dalla cultura e dall’ambiente.

Diversi studi recenti mostrano risultati abbastanza eterogenei. Certe illusioni ottiche “funzionano” allo stesso modo tra popolazioni e persino specie differenti, ma altre sono viste diversamente anche da persone di una stessa cultura, a causa di fattori individuali.

Da una ricerca di due psicologi statunitensi, per esempio, è emersa una conclusione per certi versi opposta rispetto a quella dello studio segnalato da Science. Gli psicologi si sono concentrati sulle interpretazioni di un’illusione ottica famosa, l’illusione di Müller-Lyer: è quella che mostra due linee della stessa lunghezza, ma percepite l’una come più lunga o più corta dell’altra a seconda che ci siano due “frecce” o due “code” ai punti estremi.

L’illusione di Müller-Lyer

Secondo gli autori della ricerca l’efficacia dell’illusione di Müller-Lyer non è l’effetto di un’influenza culturale, perché l’illusione funziona anche su individui che non possono averla subita. In un esperimento, per esempio, la linea che termina con due code era giudicata più lunga anche da bambini con cecità congenita che avevano appena acquisito la vista grazie a un’operazione chirurgica. E persino alcuni animali addestrati in modo da preferire le linee più lunghe (tra cui pesci rossi, piccioni e draghi barbuti) cascavano nell’illusione di Müller-Lyer: sceglievano sempre la linea con le code.

Un altro studio, pubblicato a marzo, ha concluso che l’interpretazione di un’altra famosa illusione ottica può essere invece influenzata da fattori individuali. Ha preso in considerazione l’illusione di Ebbinghaus: è quella in cui due cerchi pieni della stessa grandezza sembrano uno più piccolo dell’altro a seconda che abbiano intorno cerchi più grandi o più piccoli.

L’illusione di Ebbinghaus

Gli autori dello studio hanno sottoposto diverse versioni leggermente modificate dell’illusione a due gruppi diversi: uno formato da 44 radiologi e l’altro formato da un centinaio di studenti di psicologia e medicina. Dai risultati è emerso che il gruppo dei radiologi era molto meno incline dell’altro a essere ingannato dall’illusione, e individuava facilmente se il cerchio al centro era stato modificato rispetto all’altro oppure no. Probabilmente perché nella loro professione i radiologi sono portati a concentrarsi sui particolari: una competenza necessaria per individuare velocemente informazioni importanti nella lettura degli esami diagnostici.

Da studi precedenti è noto peraltro che l’illusione di Ebbinghaus di solito non funziona con gli Himba. E anche particolari condizioni neuroevolutive o psicopatologiche, come l’autismo e la schizofrenia, possono influenzarne la percezione.

Come ha scritto sul Guardian Anil Seth, professore di neuroscienze cognitive e computazionali dell’università del Sussex, è probabile che ci siano differenze sostanziali nella percezione delle illusioni sia all’interno dei gruppi umani che tra gruppi diversi. E questo vale «indipendentemente dalla definizione di questi “gruppi”, che si tratti di culture diverse o di un contrasto tra persone “neurotipiche” e “neurodivergenti”». Prestare più attenzione a queste differenze può servire a «evitare di affidarci a semplici stereotipi culturali come spiegazioni».