Chi ha incubi frequenti vive meno

E invecchia più velocemente di chi li fa ogni tanto, secondo un’ampia ricerca su una delle esperienze umane più raccontate

Il guanto di Freddy Krueger, in primo piano, con una persona di spalle sullo sfondo
Una scena del film del 2010 Nightmare, remake di un horror del 1984 il cui personaggio principale uccide le persone nei loro sogni (Warner Bros/Courtesy Everett Collection/contrasto)
Caricamento player

I sogni ricorrenti sono spesso brutti sogni. Sogniamo di non aver studiato prima di un esame o di un discorso, di arrivare in ritardo da qualche parte, di perdere i denti, o che qualcuno ci stia inseguendo. Altre volte i brutti sogni non hanno un tema ricorrente, ma sono comunque angoscianti, e li chiamiamo incubi. Sia in un caso che nell’altro, farli troppo spesso può essere un segno di problemi che possono influire sull’aspettativa di vita.

Un gruppo di neuroscienziati dell’Imperial College London, guidati dal neurologo Abidemi Otaiku, ha scoperto che chi fa incubi ogni settimana ha più probabilità di morire prematuramente e ha un invecchiamento cellulare più rapido rispetto a chi fa incubi ogni tanto. La ricerca è stata presentata al congresso annuale dell’Accademia europea di neurologia a Helsinki, in Finlandia, ed è la prima a trattare gli incubi come marker (indicatori) di mortalità prematura, cioè prima dei 70 anni.

I neuroscienziati hanno analizzato i dati di oltre 183mila adulti tra 26 e 86 anni e oltre 2.400 bambini tra 8 e 10 anni, studiati per un periodo più o meno lungo (da un minimo di 18 mesi a un massimo di 19 anni). A tutti i partecipanti, o ai loro genitori nel caso dei bambini, era stato chiesto con quale frequenza avessero incubi. Dai risultati è emerso che chi aveva avuto incubi regolarmente, almeno uno a settimana, aveva una probabilità di morire prima dei 70 anni tre volte superiore rispetto a chi aveva avuto incubi raramente o mai. Nel periodo di osservazione ci sono state in tutto 227 morti premature.

Il gruppo di ricerca ha scoperto anche che le persone che avevano riferito di fare almeno un incubo ogni settimana, inclusi i bambini, avevano telomeri più corti: sono piccole porzioni di DNA che si trovano alla fine dei cromosomi e si accorciano a ogni duplicazione della cellula. Si ipotizza abbiano un ruolo fondamentale nell’invecchiamento dei tessuti: telomeri più corti sono associati a un invecchiamento cellulare più rapido. La correlazione tra gli incubi frequenti e l’invecchiamento cellulare più rapido era valida indipendentemente dall’età, dal sesso, dall’origine etnica e dalle condizioni di salute mentale dei partecipanti.

– Leggi anche: Come ricordiamo i sogni?

Un’ipotesi proposta da Otaiku per spiegare la correlazione è che gli incubi interferiscano con gli effetti normali e rigeneranti del sonno. Potrebbero inoltre alterare i livelli di cortisolo, un ormone responsabile di molte attività del metabolismo, il cui aumento è stato associato tra le altre cose all’invecchiamento cellulare. Spesso ci risvegliamo dagli incubi sudati e con il cuore che batte forte, e «questa reazione di stress può essere più intensa di qualsiasi altra cosa proviamo da svegli», ha detto Otaiku in un comunicato.

La ricerca non dimostra che gli incubi siano una causa diretta di morte prematura o di invecchiamento cellulare, ma la correlazione riscontrata dai neuroscienziati era comunque molto chiara. Avere incubi frequenti, dalle loro analisi, è correlato alla morte prematura in modo più forte di quanto lo siano conclamati fattori di rischio come il fumo, l’obesità, la cattiva alimentazione o la mancanza di attività fisica. «È una scoperta interessante e con molte plausibilità biologiche», ha detto alla rivista New Scientist il neurologo Guy Leschziner, ma serviranno altri studi per stabilire se ci sia un nesso causale.

Gli incubi potrebbero essere un effetto indiretto di varie patologie sottostanti o di farmaci assunti per curarle, specialmente tra le persone anziane, ed escludere l’influenza di questi fattori nelle ricerche non è facile. Esiste anche una correlazione nota tra gli incubi e le malattie neurodegenerative. Uno studio del 2023, condotto dallo stesso Otaiku, aveva dimostrato che i bambini che fanno regolarmente brutti sogni tra i 7 e gli 11 anni hanno più probabilità di sviluppare un deterioramento cognitivo e di ricevere una diagnosi di malattia di Parkinson entro i 50 anni.

Secondo Otaiku le correlazioni tra gli incubi e la morte prematura e tra gli incubi e le malattie neurodegenerative non dovrebbero essere considerate scoperte allarmanti, ma segnalare anzi la possibilità e l’opportunità di intervenire per ridurre una serie di rischi. Chi ha incubi molto frequenti ha infatti diversi modi per migliorare la sua condizione e l’aspettativa di vita, come per esempio curare eventuali disturbi del sonno o psichici correlati agli incubi.

Inoltre la larghissima maggioranza delle persone non fa brutti sogni con grande frequenza: farne qualcuno ogni tanto è del tutto normale. Avere almeno un sogno ricorrente è un dato comune per il 75 per cento della popolazione, e in due terzi dei casi i sogni ricorrenti sono incubi. Anche se ricorrenti, sono comunque relativamente rari e variano leggermente di volta in volta, a differenza degli incubi associati al disturbo da stress post-traumatico (PTSD), in cui le persone rivivono nel sonno precisi ricordi traumatici della loro vita, senza sostanziali variazioni.

Casi patologici a parte, la ragione per cui facciamo normalmente brutti sogni e perché quei sogni siano spesso ricorrenti non è del tutto chiara agli scienziati che li studiano. Una delle ipotesi è che i sogni amplifichino sensazioni e drammatizzino eventi e situazioni che viviamo da svegli, anche se il legame con la realtà non è sempre ovvio né diretto.

Potrebbe inoltre avere un ruolo il pregiudizio di negatività (negativity bias), cioè la tendenza umana a prestare più attenzione agli stimoli negativi rispetto a quelli neutri o positivi, in parte per ragioni evolutive. Questa tendenza a concentrarci su situazioni negative che minacciano la sopravvivenza potrebbe essere più attiva nel sonno, per effetto di una concomitante attenuazione delle aree del cervello associate alla logica lineare.

– Leggi anche: Qual è la posizione migliore per dormire?