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  • Mercoledì 25 giugno 2025

Nelle proteste in Kenya sono state uccise sedici persone

Sono le più ampie dalle enormi rivolte antigovernative del 2024, e da allora nel paese non è cambiato quasi niente

Un manifestante in mezzo al gas lacrimogeno sparato dalla polizia, a Nairobi il 25 giugno
Un manifestante in mezzo al gas lacrimogeno sparato dalla polizia, a Nairobi il 25 giugno (AP Photo/Brian Inganga)
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Nelle ampie proteste antigovernative di mercoledì in Kenya sono state uccise sedici persone, ha detto a Reuters il capo della sezione di Amnesty International nel paese, e oltre 400 sono state ferite. Le ragioni di chi manifesta oggi sono le stesse delle enormi proteste di un anno fa, partite per contestare una legge sull’aumento delle tasse, poi ritirata, proseguite con la richiesta delle dimissioni del presidente William Ruto e concluse con 60 manifestanti uccisi. Anche la reazione del governo è rimasta la stessa: reprimere le proteste e vietare ai media di parlarne.

Le proteste si sono tenute in almeno 20 dei 47 distretti del Kenya, incluse le città principali del paese, e hanno partecipato migliaia di persone. Sia a Mombasa che in città come Kitengela, Kisii, Matuu e Nyeri ci sono stati scontri e la polizia ha provato a disperdere i manifestanti sparando lacrimogeni. A Nairobi, la capitale, il centro è stato chiuso con posti di blocco e la polizia ha circondato col filo spinato i palazzi delle istituzioni, tra cui il parlamento e la residenza del presidente.

Irungu Houghton, il capo di Amnesty Kenya, ha detto che la maggior parte delle persone morte è stata uccisa dalla polizia. Secondo un comunicato congiunto dell’Associazione dei medici del Kenya, dell’Unione degli avvocati del paese e del Police Reforms Working Group, un’organizzazione che si batte per riformare la polizia, almeno otto sono state ferite da colpi di armi da fuoco. Un dirigente dell’ospedale Kenyatta di Nairobi ha detto a Reuters che nella struttura sono stati ricoverati 107 manifestanti, la maggior parte dei quali colpiti da proiettili sia veri che di gomma.

Diversi canali televisivi sono stati temporaneamente oscurati per aver violato l’ordine di interrompere le dirette sulle proteste, che era stato imposto dall’autorità nazionale per le comunicazioni. L’ordine è poi stato annullato da un tribunale.

L’obiettivo dei manifestanti era commemorare le persone uccise un anno fa e ribadire le critiche verso il governo.

Le proteste del giugno del 2024 ebbero un impatto impossibile da ignorare per Ruto. La legge sull’aumento delle tasse era coerente con il suo programma volto a ridurre il debito pubblico, ma a causa delle contestazioni non la firmò e quindi non entrò mai in vigore. Poco dopo Ruto licenziò tutti i ministri tranne quello degli Esteri: la mossa, nella sua narrazione, serviva a espandere la base di consenso del governo. Secondo i suoi critici, fu soprattutto una cosa di facciata.

La polizia circonda un manifestante a Nairobi, il 25 giugno

La polizia circonda un manifestante a Nairobi, il 25 giugno (AP Photo/Brian Inganga)

Nonostante Ruto avesse promesso di iniziare un dialogo coi giovani, che avevano animato le proteste e le animano tuttora, da allora non ci sono state riforme significative.

A marzo il presidente ha fatto un accordo con il leader dell’opposizione parlamentare Raila Odinga: sulla carta dovrebbe garantire consultazioni periodiche, ma è la quarta volta che Odinga fa un patto con un presidente in carica in cambio di concessioni. Secondo i manifestanti, la cosa indebolisce la legittimità dell’opposizione, che in parlamento non esiste più, e fa il gioco del governo, consentendogli di silenziare quella extraparlamentare, che si è dimostrata preponderante.

I problemi che portarono all’allargamento delle proteste un anno fa persistono: i molti casi di corruzione, la disoccupazione e l’aumento del costo della vita, la politicizzazione dei servizi di sicurezza e appunto la brutalità della polizia.

Un manifestante sotto il getto di un cannone ad acqua a Nairobi, il 25 giugno

Un manifestante sotto il getto di un cannone ad acqua a Nairobi, il 25 giugno (AP Photo/Brian Inganga)

Proprio contro la violenza sistematica della polizia, la settimana scorsa c’erano state grosse proteste a Nairobi. Le aveva causate la morte del blogger politico Albert Ojwang, critico verso il governo, avvenuta in circostanze poco chiare mentre era in custodia della polizia. Inizialmente la polizia aveva cercato di sviare le indagini con ricostruzioni false (sostenendo che fosse morto «sbattendo la testa contro il muro della cella») ma una successiva autopsia aveva stabilito che era stato ucciso in un pestaggio. Martedì sei persone, tra cui tre ufficiali di polizia, sono state incriminate per l’omicidio di Ojwang.

Secondo gli organizzatori delle proteste, che si coordinano online, sia in quelle della settimana scorsa che in quelle di mercoledì si sono poi infiltrati sabotatori del governo. Questi sabotatori, dicono gli organizzatori, collaborano con la polizia e attaccano i manifestanti, derubandoli e picchiandoli.

Nei giorni scorsi, in previsione delle nuove contestazioni, 12 ambasciate tra cui quelle del Regno Unito e degli Stati Uniti avevano chiesto al governo keniano di consentire le proteste. Il governo aveva risposto in modo molto ostile, in sostanza accusando i manifestanti di essere diretti dall’estero e i paesi che avevano fatto l’appello di voler screditare l’immagine del Kenya.

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