È morto Brian Wilson

Fu uno dei musicisti più influenti della musica pop dello scorso secolo, come solista e con i Beach Boys: aveva 82 anni

Brian Wilson nel 2022 (Scott Dudelson/Getty Images)
Brian Wilson nel 2022 (Scott Dudelson/Getty Images)

Brian Wilson, cantante e fondatore dei Beach Boys e principale artefice di alcuni degli album più originali e apprezzati del pop e del rock dello scorso secolo, è morto a 82 anni. L’annuncio della morte è stato dato dai figli. Nel maggio dello scorso anno era stato posto sotto tutela legale a causa dell’aggravarsi dei suoi problemi di salute mentale, che aveva, in varie forme, sin dagli anni Sessanta.

Considerato uno dei più importanti musicisti del Novecento, Wilson è ricordato non soltanto per il suo gusto per le melodie e le composizioni, ma anche per le innovazioni che ha apportato nelle tecniche di registrazione: ispirato dal lavoro del leggendario produttore discografico Phil Spector, con dischi apprezzatissimi come Pet Sounds e l’ambizioso progetto incompiuto Smile sperimentò con sovraincisioni, arrangiamenti orchestrali, armonie vocali complesse e suoni inconsueti nel mondo della musica rock e pop.

La sua capacità di fondere accessibilità melodica e sofisticazione sonora è stata molto influente: negli anni musicisti anche lontanissimi tra loro per età e genere musicale di riferimento lo hanno citato come fonte d’ispirazione. Tra questi ci sono Paul McCartney, Thom Yorke, Sufjan Stevens, Brian Eno e i Flaming Lips, solo per citarne alcuni.

L’esempio più emblematico del talento di Wilson, quello che conoscono un po’ tutti, è proprio Pet Sounds, l’undicesimo disco dei Beach Boys uscito nel 1966. Fu ideato, arrangiato e prodotto quasi interamente da lui, che realizzò un’opera orchestrale e orecchiabile insieme, unendo melodie molto pop a una complessità armonica allora quasi impensabile per una band nata nel contesto spensierato del surf rock, la musica che andava per la maggiore nella California degli anni Sessanta. A partire dalla fine degli anni Ottanta, Wilson affiancò al lavoro con i Beach Boys la carriera da solista.

Nell’ultimo anno Wilson aveva trascorso gran parte del tempo nella sua casa di Beverly Hills, in California: poteva muoversi soltanto con l’aiuto di un deambulatore, e non era in grado di provvedere alla sua salute né a esigenze di base come mangiare o vestirsi. Non era sempre in grado di capire e rispondere alle domande e riconosceva solo le due figlie che vivevano con lui, Carnie e Wendy (aveva in totale sette figli).

Nonostante l’aggravarsi dei suoi problemi fisici e mentali, Wilson aveva continuato a suonare dal vivo fino a un paio d’anni fa, seppure in condizioni di grande fragilità. Ai suoi ultimi concerti c’era un pubblico intergenerazionale, composto da cultori e fan di vecchia data dei Beach Boys, ma anche da molti giovani che avevano scoperto la sua musica attraverso ascolti casuali, vinili dei genitori o playlist.

Nato il 20 giugno 1942 a Inglewood, in California, Wilson si interessò alla musica fin da piccolissimo, facilitato dal fatto che era una passione comune a tutta la sua famiglia: cominciò a strimpellare il pianoforte quando aveva 5 anni, mostrando un talento precoce per le composizioni e per il canto.

Fondò i Beach Boys nel 1961 insieme ai fratelli Dennis e Carl, al cugino Mike Love e all’amico Al Jardine. Dietro l’estetica allegra delle spiagge di Malibu, delle automobili decappottabili, delle tavole da surf e degli altri simboli associati all’immaginario californiano, c’era l’ambizione di costruire un suono raffinato, basato su armonie vocali elaborate e arrangiamenti curati nei dettagli.

Una delle sue prime intuizioni, che contribuì a distinguere fin da subito la musica dei Beach Boys, fu l’attenzione alle parti vocali. Wilson lavorava con una certa meticolosità su questo aspetto, facendo registrare e sovraincidere più volte le parti corali del gruppo fino a ottenere l’esatto effetto armonico che aveva in mente. Questo zelo è alla base dei più grandi successi del gruppo, come “In My Room”, “Don’t Worry Baby”, “God Only Knows” e “Wouldn’t It Be Nice”.

Insieme ai Beach Boys pubblicò 29 album: oltre a Pet Sounds e ad altri dischi celebrati come Sunflower e Surf’s Up, la mitologia del gruppo e dello stesso Wilson è legata soprattutto a Smile, un disco a cui cominciò a lavorare nel 1966 e che riuscì a completare soltanto decenni dopo. Scritto con il poeta e musicista Van Dyke Parks, avrebbe dovuto essere il disco più ambizioso e ricercato dei Beach Boys, ma la sua produzione fu interrotta per tensioni interne, pressioni della casa discografica e crescenti difficoltà personali.

Per anni ne circolarono solo frammenti: fu pubblicato molti anni dopo, prima in versione solista (Brian Wilson Presents Smile, 2004) e poi con The Smile Sessions (2011), un disco che raccoglieva registrazioni, provini scartati e altri materiali. Dopo l’uscita la rivista Pitchfork lo definì «un album grandioso, sebbene più spensierato di quanto il suo mito potrebbe suggerire».

Da solista, oltre a Brian Wilson Presents Smile, i suoi dischi più famosi furono Brian Wilson (1988), che segnò il suo ritorno alla musica dopo anni difficili, e That Lucky Old Sun (2008), un poetico omaggio alla California.

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