Perché per gli ebrei ultraortodossi è così importante evitare il servizio militare
È un tema centrale nella politica israeliana, e tornato d'attualità per un voto che rischia di far cadere il governo di Netanyahu

Mercoledì la Knesset, il parlamento israeliano, voterà una mozione di sfiducia contro il governo di destra guidato da Benjamin Netanyahu. Alcuni partiti che fanno parte della maggioranza hanno minacciato di votare anche loro la mozione di sfiducia – e quindi far cadere il governo – nel caso in cui Netanyahu non promuova una legge che permetta definitivamente alle comunità di ebrei ultraortodossi di evitare il servizio militare obbligatorio. Cioè una cosa che viene permessa loro fin dalla fondazione dello Stato di Israele.
È un tema di cui in Israele si parla da tempo, ma negli ultimi due anni è diventato più urgente per due ragioni: l’invasione israeliana della Striscia di Gaza, che sta impegnando a fondo le risorse dell’esercito, comprese decine di migliaia di soldati riservisti che nella vita quotidiana fanno lavori civili; e una sentenza della Corte Suprema del giugno del 2024 che obbliga, di fatto, i maschi ultraortodossi a prestare servizio nell’esercito. La sentenza è stata temporaneamente sospesa da una legge del governo, che però nel frattempo è scaduta: il governo Netanyahu, insomma, deve prendere una decisione definitiva.
Non sarà una decisione facile: il tema riguarda un dibattito più ampio che in Israele è in corso da tempo sulla natura sia democratica sia ebraica, cioè etnico-religiosa, dello Stato.
In Israele i cittadini che hanno compiuto i 18 anni sono obbligati a fare il servizio militare. Il servizio dura circa tre anni per gli uomini e due per le donne, e una volta terminato, a meno di ricevere esenzioni speciali (per ragioni di lavoro, di salute, o per le donne con figli, per esempio), le persone sono iscritte nelle liste dei riservisti, e possono essere richiamate per esercitazioni periodiche o per affiancare i militari di carriera in caso di conflitti, come sta succedendo in questi mesi.

(AP Photo/Nasser Nasser)
L’obbligo di leva però non vale per la stragrande maggioranza degli ebrei ultraortodossi, cioè le persone che seguono l’interpretazione più rigida e conservatrice della religione ebraica. Alcuni di loro fanno parte dell’esercito, ma soltanto perché si sono arruolati volontari: tutti gli altri sono esentati. Secondo il Times of Israel ci sono circa 80mila uomini ultraortodossi fra i 18 e i 24 anni, quindi in età da leva, che non stanno prestando servizio militare. Per avere un termine di paragone: l’esercito israeliano sostiene di essere a corto di circa 12mila soldati per funzionare a regime.
L’esenzione militare per gli ebrei ultraortodossi nacque assieme allo Stato di Israele: nel 1948 David Ben Gurion, il primo primo ministro di Israele, convinto socialista, accordò a un piccolo gruppo di uomini ultraortodossi che studiavano la Bibbia nelle yeshiva, cioè le scuole religiose ebraiche, la possibilità di evitare il servizio militare finché continuavano il loro studio dei testi sacri ebraici. Le yeshiva e i loro studenti, peraltro, iniziarono a ricevere fondi statali per sostenersi economicamente.
All’epoca fu un compromesso ritenuto poco doloroso: le comunità ultraortodosse contavano poche centinaia di persone. Il Partito Laburista di Ben Gurion, però, non poteva permettersi di scontentarle, dato che la loro presenza era una traccia concreta del carattere religioso dello Stato di Israele (e quindi una garanzia, per altri ebrei praticanti, che le loro credenze sarebbero state rispettate dal neonato Stato).
L’avversione al servizio militare da parte degli ultraortodossi, una definizione che comprende diverse comunità, è parte di un loro scetticismo più ampio di queste comunità nei confronti dello Stato israeliano contemporaneo. Gli ultraortodossi sono convinti che il vero Israele nascerà quando arriverà sulla Terra il cosiddetto Messia: un discendente della prima famiglia di stirpe ebraica, inviato da Dio, che permetterà loro di conquistare e governare la Terra Promessa, cioè la regione che oggi comprende diversi paesi del Medio Oriente fra cui soprattutto la Palestina.
Gli ultraortodossi ritengono insomma che l’attuale Stato di Israele non abbia una totale legittimità nel regolare le loro vite: sia gli uomini sia le donne ultraortodosse non frequentano le scuole pubbliche ma istituti religiosi come le yeshiva – il loro tasso di alfabetizzazione è decisamente più basso della media – pagano poche tasse, sopravvivono grazie ai sussidi statali garantiti a chi studia la Bibbia, e ovviamente non ritengono di dover prestare servizio nell’esercito di uno Stato a cui non sentono di appartenere davvero.

Un gruppo di ragazzi ultraortodossi durante una manifestazione nei pressi del Muro del Pianto, a Gerusalemme (AP Photo/Ariel Schalit)
Negli anni la loro comunità si è molto allargata, anche perché i loro leader religiosi prescrivono ai fedeli di fare molti figli. Le donne, poi, sono considerate realizzate soltanto in quanto madri. Oggi sono circa 1,4 milioni, il 14 per cento della popolazione totale israeliana.
Molti israeliani non vedono più di buon occhio il fatto che gli ebrei ultraortodossi vivano di fatto a spese dello Stato e siano esentati dal servizio militare obbligatorio. Un sondaggio realizzato a novembre scorso ha stimato che l’84,5 per cento degli israeliani è favorevole a introdurre una forma di leva obbligatoria, anche graduale, per gli uomini ultraortodossi.
A opporsi sono rimasti quasi soltanto gli israeliani più religiosi, oltre ovviamente ai leader delle comunità ultraortodosse. Per loro, fra l’altro, è anche una questione di potere. «I capi religiosi delle comunità ultraortodosse sono molto, molto spaventati di vedere migliaia di ragazzi in uniforme da soldato», spiegò qualche tempo fa a CNN Yanki Farber, giornalista e membro di una comunità di ebrei israeliani ultraortodossi: «Se ti unisci all’esercito potresti essere esposto a idee diverse, aprirti ad altre opinioni: e magari smettere di ascoltare quello che dicono i rabbini», sintetizza Farber.