Per il vino è meglio il tappo di sughero o quello a vite?

Uno è più comodo, l'altro è quello che abbiamo sempre usato, in mezzo ci sono resistenze culturali e approcci più laici

(Stefano Guidi/Getty Images)
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Nonostante se ne parli da più di vent’anni, capita ancora che le persone si straniscano quando una bottiglia di vino sopra una certa cifra, mettiamo venti euro, arriva al tavolo col tappo a vite: quello in alluminio che non va stappato, ma svitato. «È diventato più raro, ma succede» dice Antonio Crescente, oste e sommelier del Palinuro Bar di Milano. «Capita soprattutto con chi è poco informato sulle tendenze del vino, ma alla fine è normale: siamo cresciuti con la sacralità del tappo di sughero, col mito secondo cui le bottiglie bisogna stapparle in un certo modo, assecondando una certa liturgia».

Per chi non beve vino o lo fa senza porsi troppe domande, il tappo a vite può sembrare insomma una scelta al ribasso rispetto a quello in sughero, che per molti incarna ancora l’idea della bottiglia “seria”, quella delle grandi occasioni. In realtà però la scelta del tipo di chiusura non è necessariamente un indicatore di qualità, ma una scelta produttiva che può influire su vari aspetti: la conservazione del vino, la sostenibilità ambientale della filiera e la prevenzione contro eventuali contaminazioni che potrebbero rovinare il prodotto fino a renderlo imbevibile, per esempio.

I tappi in sughero vengono usati da molti secoli e sono associati a una serie di gesti radicati nell’immaginario collettivo e apprezzati dai consumatori: infilare il cavatappi, farlo roteare, udire il suono caratteristico della stappatura (plòp!), annusare il tappo appena estratto e così via. Ma il sughero è anche l’elemento che può far “sapere di tappo” il vino. Questo accade a causa di una molecola chiamata 2,4,6-tricloroanisolo (TCA) che si sintetizza sotto l’azione di muffe in presenza di clorofenolo, un derivato del cloro che può essere presente sulle cortecce di sughero esposte agli insetticidi o che viene semplicemente portato dall’aria. Trovare un vino che sa di tappo è però sempre più raro, perché tecniche di pulitura, lavorazione e controllo del sughero sempre più sofisticate hanno permesso di diminuire notevolmente il numero di tappi contaminati.

Di contro, i tappi a vite – tappi in alluminio simili a quelli usati, per esempio, per l’aceto in vetro – sono meno gradevoli dal punto di vista estetico, ma vengono apprezzati per via della loro comodità. Oltre a evitare brutte figure a chi ha poca dimestichezza con gli apribottiglie, eliminano il rischio di contaminazione da TCA e consentono di richiudere la bottiglia in modo semplice e sicuro, limitando l’ingresso di ossigeno (e quindi l’ossidazione). Molti consumatori li ritengono inoltre un’alternativa più conveniente, dato che permettono di consumare il vino con più calma e senza che perda rapidamente freschezza o aroma, come invece può accadere con i tappi in sughero.

Anche se alcune cantine li testarono già negli anni Novanta, i tappi a vite diventarono una soluzione diffusa nell’industria del vino soltanto a partire dai primi anni Duemila, quando diversi produttori in Australia e Nuova Zelanda, due tra i mercati vinicoli più importanti al mondo, cominciarono a usarli per evitare di dover importare tappi in sughero dal Portogallo, il principale paese esportatore. Spesso gli addetti ai lavori li chiamano “Stelvin”, dal nome del modello largamente più diffuso, prodotto dalla multinazionale australiana Amcor e diventato un sinonimo di tappo a vite.

Secondo una stima citata dal Financial Times, ogni anno si vendono circa 5,9 miliardi di tappi a vite in alluminio, a fronte di 13,1 miliardi di tappi in sughero: questi ultimi rappresentano quindi la parte largamente maggioritaria del mercato, anche se la diffusione dei tappi a vite continua a crescere rapidamente. Queste sono le alternative più utilizzate, ma ci sono anche altre tipologie di chiusura, come i tappi a stella (cioè quelli che vanno stappati col levacapsule, e che sono molto usati nelle produzioni casalinghe) e quelli in vetro.

Un tappo a vite (Wikimedia Commons)

«È una questione di prestigio percepito: i tappi in sughero hanno un aspetto più elegante e raffinato, e sono la prima scelta quando si vuole fare un regalo» spiega Filippo Trombetta, sommelier e tecnico di cantina presso l’azienda vinicola Castell’in Villa. «Trasmettono l’idea di avere tra le mani una bottiglia “importante”, mentre i tappi a vite sono spesso erroneamente associati a prodotti a buon mercato, anche se poi la qualità non dipende dal tipo di chiusura».

Trombetta sottolinea come la preferenza per i tappi in sughero sia particolarmente radicata nei paesi con una lunga tradizione vinicola, come l’Italia, il Portogallo e la Francia. Al contrario, paesi come l’Australia e la Nuova Zelanda – che esportano principalmente vino sfuso – tendono a preferire i tappi a vite, più pratici e funzionali. Ci sono però cantine italiane che hanno fatto dei tappi a vite un vero e proprio tratto distintivo: tra le pioniere in questo senso c’è la bolzanina Franz Haas, una delle prime a sdoganare questo tipo di chiusura in Italia.

Un’altra questione molto rilevante e dibattuta riguarda la sostenibilità ambientale di questi due tipi di tappi. Il sughero rappresenta un’opzione particolarmente ecologica: viene estratto dalla corteccia della Quercus suber, un albero tipico del bacino del Mediterraneo occidentale, coltivato soprattutto in Portogallo. La sua raccolta non richiede l’abbattimento della pianta, che può così rigenerare naturalmente la corteccia tra un ciclo e l’altro, e i tappi sono biodegradabili, e quindi in teoria possono essere buttati ovunque senza inquinare.

Tuttavia, sebbene il loro riciclo sia possibile, è ancora poco praticato e avviene principalmente in Portogallo, dove ci sono gli impianti più avanzati. In alcuni paesi, come l’Italia o la Francia, sono stati creati dei programmi di raccolta che spediscono i tappi usati proprio in Portogallo, dove vengono riciclati e trasformati in nuovi prodotti.

Al contrario, l’alluminio – il materiale di cui sono fatti i tappi a vite – ha un impatto ambientale iniziale più elevato, ma è molto più facile da riciclare, grazie a un sistema molto efficiente: può essere recuperato e riutilizzato praticamente all’infinito senza perdere le sue proprietà, e il riciclo può avvenire quasi ovunque.

(Unsplash)

«I metodi di riciclo del sughero sono ancora piuttosto antiquati in molti paesi» dice Carlos dos Santos, amministratore delegato della filiale italiana di Amorim Cork, la più grande produttrice di tappi in sughero al mondo. In Italia, per esempio, «la raccolta funziona a macchia di leopardo», nel senso che varia moltissimo in base alle normative decise da ciascun comune.

In quanto materiale biodegradabile, il sughero dovrebbe finire tra i rifiuti organici, ovvero nell’umido. Molti comuni decidono però di destinarlo all’indifferenziata, ossia tra i rifiuti che non possono essere riciclati né compostati, e che quindi vengono portati in discarica o inceneriti: questo perché ha un tempo di degradazione piuttosto lungo, e a volte contiene colle sintetiche.

Fino a quando il ciclo di raccolta non sarà uniformato, spiega Santos, l’alluminio manterrà un vantaggio competitivo in tema di riciclabilità, nonostante le emissioni legate alla sua produzione e al suo smaltimento. «È un peccato, anche perché il sughero è un materiale straordinario, riciclabile al cento per cento e con molteplici possibilità di riutilizzo: può essere impiegato per realizzare pannelli isolanti, oggetti di design, pavimentazioni o suole per calzature, solo per citare alcuni esempi» aggiunge Santos.

Santos sottolinea anche che, grazie «agli enormi miglioramenti nella produzione e nei controlli di qualità», oggi i principali difetti associati ai tappi in sughero sono stati superati: per esempio, «la formazione di TCA è ormai un caso rarissimo, nonostante i produttori di tappi in vite cerchino di farla risaltare come un argomento in favore dei loro prodotti». Infine, ci sono casi in cui il tappo di sughero è una parte del processo produttivo, perché influisce direttamente sugli aromi e permette di ottenere determinate sfumature di gusto.

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