La tesi di laurea andrebbe ripensata?
In Italia è quasi sempre un momento frustrante per chi la fa e chi la rivede: e anche in questo caso l'AI sta rimettendo in discussione un po' tutto

Nelle università italiane la tesi di laurea è quasi per tutti l’ultima prova intellettuale e burocratica da superare prima di poter concludere il proprio percorso. Sulla carta dovrebbe essere un momento formativo e gratificante, ma nella pratica non va sempre così, anzi.
Molti studenti e professori la vivono come un problema: in molti casi le modalità e le regole che la normano sono più o meno le stesse da decenni, e raramente durante il resto del percorso universitario si viene abituati a fare lavori di ricerca. A questo si aggiunge la cronica mancanza di personale nelle università, che impedisce di seguire da vicino il lavoro di molti tesisti. Sono tutti problemi noti da tempo, ma che nel frattempo sono diventati ancora più evidenti dopo l’arrivo dell’intelligenza artificiale.
In realtà la dicitura “tesi di laurea” è usata per indicare una categoria vasta ed eterogenea che al suo interno può includere formati e contenuti di ricerca anche molto diversi fra loro. Giusto per fare qualche esempio, le tesi possono includere esperimenti in laboratorio, tirocini, sondaggi statistici, e insomma il tipo di lavoro da svolgere varia molto in base al tipo di disciplina. Le tesi di laurea triennale e magistrale hanno poi lunghezza, profondità e ambizione diverse. Per questo motivo ogni discorso che tende a generalizzare su questo tema andrebbe fatto con attenzione.
Anche se può sembrare strano, in realtà, il sistema universitario italiano non prevede che i corsi di laurea si concludano obbligatoriamente con una tesi nel formato classico, nemmeno quelli di magistrale. La legge richiede che alla fine di ogni corso gli studenti debbano superare semplicemente una “prova finale”. Le caratteristiche della prova possono essere liberamente decise dal singolo collegio didattico, cioè l’organo accademico che organizza lo studio di un corso di laurea. «Non c’è un formato obbligatorio da seguire, ma nella quasi totalità dei casi i collegi decidono di declinare la prova finale in una tesi», spiega Lucia Baldi, professoressa di statistica alla Statale di Milano, che insegna la materia in corsi di laurea anche molto diversi fra loro.
In gran parte dei casi la tesi consiste nella redazione di un testo scritto secondo gli standard editoriali moderni del trattato scientifico: deve avere un frontespizio, un indice, un’introduzione e una conclusione, le note a piè di pagina, essere divisa in capitoli e contenere una bibliografia dei testi consultati. Al suo interno bisogna argomentare una tesi. Molto spesso, seguendo una regola non scritta, agli studenti viene chiesto di scrivere la tesi entro un numero minimo di pagine, che può variare in base alle richieste del relatore. I punti di contatto fra le varie tesi finiscono qui.
«Tra le tesi triennali e quelle magistrali per esempio c’è una grossa differenza», spiega Baldi: «la tesi vera e propria è quella che si fa alla fine di un corso di laurea magistrale», almeno dal suo punto di vista. Quando venne introdotta la cosiddetta riforma del “3+2”, che spezzava i corsi di laurea in percorsi divisi in due lauree su cinque anni (una triennale e una magistrale da due anni, appunto), le tesi di triennale venivano ancora prese molto sul serio.
Col passare degli anni però molti docenti hanno iniziato a percepire le tesi di triennale come una perdita di tempo e un impegno burocratico inutile: per questo in molte lauree triennali la tesi è stata ridimensionata, mentre in alcuni è stata addirittura rimossa o sostituita con prove finali di altro genere, come ad esempio piccoli esami o tirocini. Spesso, anche per le discipline scientifiche, la tesi di triennale finisce per essere un lavoro compilativo e di raccolta bibliografica, in cui gli studenti vengono seguiti poco e male: il risultato è che chi si ferma alla triennale non lavora quasi mai davvero a una tesi vera e propria.
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Per molti corsi di laurea magistrale, invece, la tesi di laurea è ancora considerata un passaggio fondamentale per il raggiungimento del titolo, e secondo diverse fonti sentite dal Post è un’opinione largamente condivisa all’interno delle università italiane. «È un passaggio molto importante, direi fondamentale; un momento individuale in cui lo studente deve riuscire a mettere insieme diverse capacità che ha accumulato nel tempo», dice Alessandro Balducci, professore del Politecnico di Milano di cui per anni è stato prorettore vicario.
La tesi della magistrale può essere strutturata e valutata in modi molto diversi. «Ogni disciplina ha un suo metodo e una sua impostazione della tesi, e le ricerche che si fanno possono essere molto diverse. La caratteristica più trasversale è il fatto che la tesi viene scritta», dice Martina Benvenuti, ricercatrice in psicologia dello sviluppo e dell’educazione all’Università di Bologna. Anche secondo Benvenuti, la tesi di magistrale può potenzialmente diventare un momento molto formativo, specie se il tesista fa un progetto che permette di apprendere con la pratica ciò che ha studiato sui libri, o prepararsi a un lavoro che farà più avanti (che quasi sempre non avviene dentro l’università o l’ambito della ricerca).
Questo, però, presupponendo che le università abbiano risorse sufficienti per seguire come si deve gli studenti durante la preparazione delle tesi e per aiutarli a orientarsi anche prima dell’inizio della stesura.
Per esempio, capita spesso che i professori si ritrovino a seguire un numero eccessivo di tesisti, con poco tempo a disposizione e difficoltà a volte perfino a correggere e a revisionare i loro lavori: raramente si crea un contesto che permette un vero scambio intellettuale tra studenti e professori. Al di là dell’aneddotica sul tema, il Post ha sentito studenti ed ex studenti che in alcuni casi parlano di attese di settimane per riuscire a organizzare anche un semplice incontro col proprio relatore, che magari ha altri 10 o 12 tesisti da seguire contemporaneamente.
Per far fronte alla mancanza di risorse può anche capitare che un tesista venga fatto seguire interamente da ricercatori o ricercatrici che collaborano col relatore, che in questi casi diventano i relatori di fatto – senza che spesso compaiano come tali.
Inoltre, per come sono organizzati gli insegnamenti nei corsi di laurea, molti studenti arrivano a dover scrivere una tesi senza che nessuno abbia spiegato loro come scrivere un testo del genere, o scegliere consapevolmente fra le fonti da consultare. Nel caso dei corsi di lettere, per esempio, gli esami nei tre anni sono quasi sempre orali, e quindi totalmente scollegati dalla preparazione di un testo scritto.
Nelle lauree umanistiche i problemi legati alla tesi sono molto più accentuati, anche a causa del fatto che in un corso come lettere moderne difficilmente ci si può appoggiare, per esempio, a una sperimentazione in laboratorio, o a un tirocinio formativo. «Tra gli studenti delle materie umanistiche c’è un po’ questa cosa del fantasma della tesi. Ci sono un sacco di persone che tardano a laurearsi per questo motivo, una cosa che per esempio in Francia non succede, perché sin dal primo anno tutto è finalizzato a insegnarti come produrre un lavoro tuo», racconta una studente di lettere all’Università di Bologna che sta facendo il secondo anno di magistrale in Francia.
Anche per questi motivi molti studenti vivono la tesi come una fase spiacevole e per molti aspetti frustrante del proprio percorso accademico. Non è così raro che alcuni decidano di affrontarla in modo sbrigativo, talvolta ricorrendo a consulenze a pagamento.
Le critiche al modello tradizionale della tesi di laurea umanistica non sono una novità. Già nel 1977, in un editoriale sul Corriere della Sera, Giorgio Manganelli, tra i più importanti scrittori e critici letterari italiani del Novecento, definiva con sarcasmo la tesi nelle materie umanistiche come «un puro e semplice fatto allucinatorio … un finto libro su un argomento piuttosto irreale che spesso non viene scritto e di rado viene letto».
Recentemente, però, il timore che la tesi di laurea diventi una perdita di tempo e di risorse si è ulteriormente rafforzato dopo l’arrivo dei chatbot basati sull’intelligenza artificiale (in particolare ChatGPT, che nelle università viene usato da molti, inclusi professori e ricercatori). Se utilizzati massicciamente e senza pensarci troppo rischiano di sostituire una buona parte degli sforzi di ricerca, ragionamento e scrittura richiesti agli studenti per riuscire a produrre una tesi (o ai professori per rivederla).
I professori hanno pochi strumenti per impedire l’uso dei chatbot da parte dei tesisti o per farglieli usare in modo da non sostituire del tutto il loro lavoro: «sappiamo tutti che ci sono moltissimi modi per eludere i software antiplagio e di riconoscimento dell’AI», dice Baldi, secondo cui al momento seguire i tesisti significa innanzitutto fare uno sforzo per riuscire ad assegnare dei lavori dove il contributo del ragionamento umano è necessario, e non ancora totalmente sostituibile dall’AI.
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Il problema inizia a riguardare in parte anche le tesi di laurea delle materie scientifiche: ci sono software basati sull’AI che possono fare la ricerca e i calcoli al posto delle persone, oppure progettare gli esperimenti, anche se la parte più concreta di raccolta dati al momento non può essere delegata a nessun software.
Le soluzioni per gestire questo cambiamento non mancano, anche se in alcuni casi implicano di ripensare il modo in cui vengono fatte le prove finali, il formato scritto del prodotto finale e le modalità di verifica e valutazione del lavoro degli studenti. Secondo Baldi, una soluzione potrebbe essere quella di valorizzare meglio la discussione della tesi di laurea, in modo da renderla un momento in cui gli studenti devono effettivamente difendere, spiegare e giustificare le scelte fatte durante il loro lavoro di ricerca. Intanto in molte università si sta iniziando a insegnare agli studenti a usare i software basati sull’AI in maniera più matura, spiegando loro i rischi di un abuso.
Va da sé che alla velocità con cui procede il progresso tecnologico diventerà sempre più difficile immaginare delle tesi che non sia possibile far scrivere totalmente all’AI.
Per questo, secondo diversi pareri, andrebbe ripensato il modo in cui quasi ovunque oggi si fa didattica, molto incentrato sul trasferimento di nozioni, voti numerici e passaggi obbligati forse un po’ anacronistici.
«Dovremmo aiutare gli studenti a trovare un senso in ciò che fanno. E questo dipende molto anche dai docenti e dal modo in cui insegnano le loro materie», dice Baldi. «Se cambiassero gli incentivi su cui si basa la carriera universitaria le cose potrebbero essere fatte in modo diverso. Lo stesso vale per le tesi: l’obiettivo è far fare agli studenti un lavoro formativo che li metta alla prova, il risultato finale dovrebbe essere secondario».



