Il ministero della Giustizia sta limitando il lavoro di “Ristretti Orizzonti”
Cioè la storica rivista del carcere di Padova, danneggiando le persone detenute con argomenti discutibili

Da qualche settimana nella redazione di Ristretti Orizzonti, storica rivista del carcere di Padova scritta da persone detenute, lavorano otto detenuti in meno, su una quarantina in totale. Sono quelli provenienti dall’Alta Sicurezza, la sezione del carcere riservata a persone condannate per alcuni tipi di reati associativi in cui si è normalmente sottoposti a una sorveglianza più stretta: non lavorano più in redazione per via di una recente circolare sulla gestione di questa categoria di detenuti diffusa dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP), l’ufficio del ministero della Giustizia che si occupa di carceri.
La circolare, molto contestata da giuristi e associazioni che si occupano di carcere, ha di fatto tolto alle singole carceri il margine di discrezionalità di cui finora avevano goduto sulla gestione dei detenuti dell’Alta Sicurezza: ha imposto criteri più rigidi sul numero di ore che possono trascorrere all’esterno dalle celle, e quindi anche in attività culturali, come nel caso della redazione di Ristretti Orizzonti (ma non solo). La decisione è stata motivata principalmente con la necessità di isolare i detenuti dell’Alta Sicurezza e limitare i contatti coi detenuti comuni, per prevenire quelle che il DAP ha definito «forme pericolosissime di reclutamento», e il mantenimento dei contatti con la propria comunità criminale (grazie ai maggiori contatti con l’esterno che hanno i detenuti comuni).
Ristretti Orizzonti esiste da quasi trent’anni ed è considerata un’eccellenza nel sistema carcerario italiano: è gestita dall’associazione “Granello di Senape”, che da anni si occupa di diritti dei detenuti, ha cadenza bimestrale, e impegna quotidianamente decine di detenuti in attività che nel corso degli anni, in molti casi, hanno contribuito al loro reinserimento nella società una volta terminata la pena. È inoltre un’iniziativa inserita in un sistema, il carcere italiano, le cui condizioni molto critiche – tra sovraffollamento, tensioni e frequenti suicidi – compromettono la funzione rieducativa della pena stabilita dalla Costituzione.
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Ornella Favero, la direttrice di Ristretti Orizzonti, dice che in redazione lavorano tra i 40 e i 50 detenuti: circa 30 lo fanno tutti i giorni per scrivere articoli e fare il lavoro quotidiano di redazione; gli altri partecipano ad attività complementari, con gruppi di discussione e riunioni che comunque hanno una cadenza di due volte a settimana. Degli otto detenuti che non possono più lavorare alla rivista, quattro lavoravano in redazione tutti i giorni e quattro partecipavano solo ai gruppi di discussione: «Il lavoro di redazione includeva anche incontri con le scuole, e in generale con ospiti esterni: un tipo di attività che finora ha dimostrato la sua efficacia nel reinserimento dei detenuti», dice Favero.
Elton Kalica, ex detenuto del carcere di Padova che ha lavorato molti anni a Ristretti Orizzonti, e che oggi è un ricercatore al dipartimento di Sociologia dell’università di Padova, racconta che per lui il lavoro di redazione è stato «una risorsa fondamentale» per indirizzare la propria vita. Aggiunge che gli incontri con le scuole avevano un valore particolare: «Ti ritrovi a spiegare a un gruppo di ragazzi e ragazze giovani, liberi e che ti ascoltano con grande curiosità e senza particolari idee prestabilite perché sei finito in carcere, che percorso di vita hai avuto».
«Inevitabilmente questo ti serve a riflettere su quello che hai fatto, su come hai gestito la tua vita per finire lì dentro», dice Kalica.
Favero ha detto che l’esclusione degli otto detenuti provenienti dall’Alta Sicurezza è stata decisa poco dopo la diffusione della circolare del DAP, con una seconda circolare inviata direttamente al carcere di Padova: citando la prima circolare, il DAP ha ordinato alla direzione del carcere di vietare ai detenuti dell’Alta Sicurezza di partecipare al lavoro di redazione.
In maniera simile, in altre carceri è stato vietato ai detenuti dell’Alta Sicurezza di frequentare i corsi universitari organizzati per chi sta in carcere: i corsi normalmente sono organizzati all’interno del carcere, ma in aule dedicate collocate all’esterno della sezione Alta Sicurezza, da cui quindi i detenuti devono fisicamente uscire, pur restando dentro il carcere.
«Abbiamo la certezza che in molti istituti non si stanno più facendo uscire i detenuti dell’Alta Sicurezza per seguire le lezioni, dato che potrebbero sedersi vicino ad altri tipi di detenuti: è una grave limitazione del loro diritto allo studio, che come altre attività ha documentati effetti positivi», dice Davide Galliani, professore associato di Diritto costituzionale e pubblico all’università statale di Milano, e promotore di una lettera aperta inviata al DAP da 35 docenti universitari contro la circolare di fine febbraio.

La copertina dell’ultimo numero di Ristretti Orizzonti
Formalmente la circolare ribadisce la necessità di rispettare alcune regole già esistenti; nella pratica, però, ha l’effetto di rendere queste regole più rigide e stringenti: per capire perché bisogna fare un passo indietro.
La gestione della vita quotidiana dei detenuti nell’Alta Sicurezza non è regolamentata da una legge, ma da una serie di note e circolari diffuse dal DAP nel corso degli anni, in cui volta per volta sono state date indicazioni sul da farsi. «Queste circolari non hanno un valore di legge: sono indicazioni che le singole direzioni hanno finora gestito con discrezionalità e autonomia, valutando volta per volta se e come potessero venire applicate alla singola struttura o al singolo percorso rieducativo del detenuto», dice Galliani.
Le varie circolari, l’ultima delle quali del 2015, stabiliscono in linea generale che la custodia dei detenuti dell’Alta Sicurezza debba essere “chiusa”: è una definizione precisa, che prevede un massimo di 8 ore fuori dalla propria cella (nella custodia cosiddetta “aperta” possono essere fino a 14), e che esclude la possibilità di lavorare in carcere se il luogo di lavoro è collocato all’esterno della propria sezione. Permette di studiare solo in alcuni casi, e comunque dopo una serie di colloqui e valutazioni, e la circolazione all’interno del carcere deve avvenire sempre con un accompagnamento.
La circolare del DAP diffusa a febbraio cita e riprende i contenuti di queste circolari per dire che tutte le carceri devono rispettare queste regole quando gestiscono i detenuti in Alta Sicurezza: «In carceri come quello di Padova, in cui ci sono attività innovative e impegnative come Ristretti Orizzonti, l’imposizione di limiti orari rigidi e l’esclusione di qualsiasi contatto con i detenuti comuni significa escludere i detenuti dell’Alta Sicurezza da quelle stesse attività, esattamente come è successo», dice Galliani.
Come detto, il DAP ha motivato queste indicazioni con la necessità di isolare i detenuti condannati per reati associativi gravi e prevenire eventuali continuazioni delle loro attività: secondo Galliani questo tipo di indicazione avrebbe senso soprattutto per i detenuti arrivati all’Alta Sicurezza dal “41-bis”, regime detentivo che prevede un livello ancora più estremo di isolamento per alcuni tipi di reati associativi: «Ma i detenuti che erano al 41-bis sono una minima parte di quelli in Alta Sicurezza, che sono oltre 9mila e che stanno subendo le conseguenze di questa decisione».
Elton Kalica spiega anche che gran parte dei detenuti esclusi dalla redazione di Ristretti Orizzonti ha tra i 60 e i 70 anni: «La redazione è anche un modo per fargli trascorrere il tempo, farli lavorare e mantenerli attivi, con possibilità che non potrebbero trovare altrove».