L’Universo potrebbe spegnersi prima del previsto
Ma comunque moooolto dopo che il Sole avrà distrutto la Terra: a quello invece mancano solo 8 miliardi di anni, anno più anno meno

Tre scienziati dell’Università Radboud di Nimega, nei Paesi Bassi, hanno fatto una nuova stima su quando l’Universo potrebbe finire – o più correttamente, su quando potrebbero spegnersi le ultime stelle – e hanno concluso che potrebbe essere molto prima di quanto ritenuto finora. Non c’è comunque da preoccuparsi, perché si parla di tempi lontanissimi: secondo il calcolo del gruppo nederlandese, pubblicato sul Journal of Cosmology and Astroparticle Physics, succederà tra un numero di anni pari a 1 seguito da 78 zeri (1078). Sono moltissimi in meno rispetto all’1 seguito da 1.100 zeri (101100) ipotizzati in precedenza, ma comunque moltissimi in più rispetto agli 8 miliardi di anni tra cui il Sole si espanderà al punto da inglobare la Terra, distruggendola.
Quest’ipotesi sulla fine dell’Universo è basata su stime riguardo alla durata massima delle nane bianche, cioè l’ultimo stadio evolutivo delle stelle con dimensioni paragonabili al Sole o più piccole che costituiscono quasi la totalità delle stelle rilevate.
Per farla sono state necessarie grandi semplificazioni, dato che non è possibile valutare molti altri aspetti – per esempio il ruolo dell’energia oscura, su cui di recente sono stati diffusi nuovi dati ancora da interpretare in una teoria condivisa. Per questo lo studio dell’Università Radboud, che contiene anche qualche dettaglio scherzoso, va preso seriamente solo fino a un certo punto: non è una nuova grande teoria sul futuro dell’Universo, è più un calcolo per dire tra quanti miliardi di miliardi di anni al più tardi si spegneranno tutte le luci.
In pratica i tre studiosi di Nimega, l’esperto di buchi neri Heino Falcke, il fisico quantistico Michael Wondrak e il matematico Walter van Suijlekom, hanno stimato che ci vorranno 1078 anni perché le ultime nane bianche smettano di esistere. La previsione tiene in considerazione solo l’effetto della radiazione di Hawking, cioè della radiazione termica che secondo una teoria di Stephen Hawking del 1974 viene emessa dai buchi neri e che nel corso del tempo ne causa il decadimento. Tale radiazione non è mai stata osservata sperimentalmente ma si deriva a partire dai principi della meccanica quantistica.
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Ipotizzando che il processo legato alla radiazione di Hawking riguardi anche tutti gli altri oggetti dell’Universo che hanno una massa, Falcke, Wondrak e van Suijlekom hanno calcolato che le stelle di neutroni – cioè l’ultimo stadio evolutivo delle stelle più grandi – e i buchi neri decadano in 1067 anni e che invece per le nane bianche servirebbe più tempo, 1078 anni appunto, per via della loro densità.
I tre studiosi si sono divertiti a fare un calcolo analogo anche per un corpo umano, trovando che in base alla sola radiazione di Hawking – quindi escludendo tutti gli altri comuni fenomeni di “decadimento” – si disintegrerebbe in 1090 anni. Non serve essere astrofisici per sapere che purtroppo, o per fortuna, il nostro corpo decade molto prima per fenomeni noti a tutti.
«Prendendo in considerazione questi casi estremi, vogliamo capire meglio la teoria e magari un giorno scoprire il mistero della radiazione di Hawking», ha spiegato van Suijlekom.
Per quanto riguarda la Terra comunque, anche molto prima del momento in cui il Sole la distruggerà la vita sul pianeta per come la conosciamo ora sarà diventata impossibile: si stima che l’evoluzione della nostra stella renderà il pianeta invivibile tra un miliardo di anni, e chissà se ci sarà qualcuno a verificare anche questo calcolo.
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