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  • Venerdì 2 maggio 2025

Sottovalutando Beckham

Tutte le attenzioni che aveva intorno hanno spesso messo in secondo piano la sua eccezionalità da calciatore

(Phil Cole/Allsport/Getty Images)
(Phil Cole/Allsport/Getty Images)
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Tra la fine degli anni Novanta e l’inizio dei Duemila David Beckham era forse la persona più famosa d’Inghilterra dopo la regina Elisabetta e assieme a sua moglie, la cantante delle Spice Girls Victoria Adams, la più chiacchierata su giornali e televisioni. Fu un calciatore la cui notorietà come icona di stile superò, e in parte oscurò, ciò che faceva in campo. Forse per questo motivo il suo talento e il suo livello di gioco sono stati a volte sottostimati, almeno da una parte di pubblico e addetti ai lavori.

L’esperto giornalista sportivo Jonathan Wilson riassunse bene questa contraddizione in un articolo uscito su Sports Illustrated nei giorni precedenti la sua ultima partita, nel maggio del 2013: «Beckham occupa un posto singolare nell’immaginario calcistico inglese, un giocatore dalle doti uniche che, poiché il suo talento non ha mai raggiunto il livello della sua celebrità, sembra destinato a essere perennemente sottovalutato da una certa parte del pubblico amante del calcio».

Eppure Beckham, che oggi compie cinquant’anni, fu per anni un calciatore d’élite, decisivo in particolare nei tanti successi del Manchester United di Alex Ferguson. Fu soprattutto, più di quanto un certo pregiudizio basato sull’immagine esteriore lasciasse intendere, un atleta serio e motivato, capace di superare infortuni anche gravi e di adattarsi a diversi contesti e campionati. Giocò anche per il Preston North End, il Real Madrid, i Los Angeles Galaxy, il Milan e il Paris Saint-Germain, e fece 115 partite con la Nazionale inglese, segnando 17 gol, tra i quali la famosa punizione che qualificò l’Inghilterra ai Mondiali del 2002. Vinse parecchi trofei, che sarebbero potuti essere di più, se nella seconda parte di carriera avesse avuto un po’ più di fortuna e avesse fatto scelte diverse.

Il talento di David Beckham fu evidente sin dai suoi esordi e divenne noto a tutti quando, il 17 agosto del 1996, segnò contro il Wimbledon il celebre gol calciando in porta da dietro alla linea di centrocampo. Già nella stagione precedente, comunque, si era affermato come esterno destro titolare nel 4-4-2 del Manchester United che aveva vinto il campionato inglese (e lo avrebbe rivinto per altre cinque volte nei successivi sette anni). La cosa per cui fu subito apprezzato, e che gli riconosce anche chi è più critico nei suoi confronti, è la capacità quasi unica nel calciare il pallone, soprattutto con il piede destro.

I suoi cross e passaggi erano sempre precisi e insidiosi; i suoi tiri in porta, anche dalla lunga distanza, altrettanto. Fu in particolare il suo modo di calciare le punizioni, tanto efficace quanto stilisticamente appagante, a diventare inconfondibile. In 394 partite giocate in tutte le competizioni con il Manchester segnò 85 gol e fece più di 100 assist, contribuendo alla vittoria di sei Premier League, due FA Cup (la principale Coppa d’Inghilterra), due Community Shield (la Supercoppa) e la Champions League del 1998-1999, la stagione dello storico treble (“tripletta”), in cui lo United vinse anche campionato e coppa nazionale.

In quella Champions League Beckham fece 2 gol e 8 assist in 10 partite, e i due gol con cui il Manchester rimontò il Bayern Monaco negli ultimi minuti della finale nacquero da due suoi calci d’angolo. A dicembre arrivò secondo nella classifica del Pallone d’oro, il premio assegnato al miglior calciatore dell’anno, dietro al brasiliano Rivaldo.

«Il miglior piede destro al mondo» secondo Sven-Göran Eriksson, che lo allenò nell’Inghilterra

L’efficienza e la bellezza del suo modo di calciare, oltre a una popolarità sempre più ingombrante, fecero passare in secondo piano tanti altri aspetti del gioco in cui eccelleva. Diversi approfondimenti usciti di recente hanno evidenziato quanto Beckham fosse non solo un eccellente passatore e tiratore, ma un calciatore completo. Qualche anno fa il sito specializzato Analysis iD lo definiva «un atleta immenso», raccontando come, a riguardare alcune partite del Manchester United, si notano soprattutto la sua forma fisica e il suo lavoro senza palla. «Beckham sembra avere le capacità atletiche per giocare in un sistema moderno, con un pressing alto, come quello che potremmo vedere impiegato da Pep Guardiola o da Jürgen Klopp».

Diversi suoi ex compagni e allenatori hanno sottolineato la grande condizione fisica di Beckham, che lo portava a essere determinante in varie zone del campo, non solo sulla fascia destra (dalla quale non di rado si accentrava). Molti di loro attribuivano questa sua preparazione alla grande attenzione e all’impegno che dedicava all’allenamento: Ferguson, che fu il suo allenatore più importante nonostante un rapporto a volte complesso, lodò varie volte la determinazione, l’energia e l’applicazione di Beckham.

«David Beckham è il più forte britannico nel calciare il pallone non perché gli sia stato donato un talento naturale, ma perché si allena con un impegno instancabile che la maggior parte dei giocatori meno dotati non prenderebbe neanche in considerazione»

Proprio il complicarsi del rapporto con Ferguson, e con il suo nuovo vice allenatore, Carlos Queiroz, portò Beckham a decidere, a 28 anni, di lasciare il Manchester United dodici anni dopo essere entrato nelle giovanili del club. Nell’estate del 2003 il Real Madrid lo acquistò per 35 milioni di euro, dopo che negli anni precedenti aveva comprato altri fuoriclasse come Luís Figo, Zinédine Zidane e Ronaldo. Era il Real Madrid dei cosiddetti Galácticos, una squadra fatta di giocatori celebri, forti e molto offensivi. Il presidente Florentino Pérez li aveva comprati con l’obiettivo di farli giocare più o meno tutti assieme, anche a costo di avere una squadra squilibrata e poco organizzata.

L’arrivo di David Beckham al Real Madrid fu giudicato dai più critici come un’operazione più che altro di marketing, l’aggiunta del calciatore più mediatico al mondo alla squadra più popolare del mondo. Questa convinzione fu rafforzata dal sostanziale fallimento, da quel momento in poi, del progetto dei Galácticos, che dopo aver vinto la Supercoppa di Spagna (con un gol e un assist di Beckham) nei successivi tre anni non vinsero nemmeno un campionato e furono eliminati ai quarti o agli ottavi di finale in Champions League. In realtà Beckham non fu la ragione dell’insuccesso, e anzi tentò di sopperire alla mancanza cronica di equilibrio di quel Real Madrid giocando molte partite da centrocampista centrale, un ruolo che enfatizzò la sua visione di gioco e il suo istinto a stare sempre al centro dell’azione.

Nella sua ultima stagione con il Real Madrid, 2006-2007, il nuovo allenatore Fabio Capello lo escluse dalla squadra a gennaio, dopo che aveva firmato un contratto per la successiva stagione con la squadra statunitense dei Los Angeles Galaxy. Il modo in cui Beckham continuò ad allenarsi e le pressioni dei suoi compagni di squadra convinsero però Capello a ripensarci e, nelle ultime partite, Beckham diede un importante apporto alla vittoria del trentesimo campionato nella storia del Real Madrid, che arrivò primo a pari punti con il Barcellona e ottenne il titolo grazie ai risultati favorevoli negli scontri diretti.

Alla fine della stagione Capello ammise che metterlo fuori squadra era stato un errore e provò a convincerlo a rimanere al Real Madrid, ma Beckham ormai si era accordato con i Los Angeles Galaxy, in un trasferimento quello sì dal valore molto più mediatico che sportivo, che lo estromise dai massimi livelli del calcio a 32 anni appena compiuti.

Beckham al Real Madrid ha fatto anche (parecchie) cose buone

Tornò comunque a giocare in una squadra europea, il Milan, che lo prese in prestito da gennaio a maggio del 2009, quando il campionato statunitense era in pausa. Fu sorprendente come Beckham, che aveva ormai quasi 34 anni e aveva trascorso più di un anno in un contesto all’epoca di livello molto basso, riuscì da subito ad affermarsi come titolare in una squadra piena di calciatori formidabili, per quanto molti fossero nella fase finale delle loro carriere.

Molti calciatori del Milan hanno raccontato in seguito di aver accolto il suo arrivo con un certo scetticismo, ma di essersi subito ricreduti. Nemmeno un mese dopo, Gennaro Gattuso descrisse Beckham come «un ragazzo di un’umiltà incredibile, un grande professionista, un gran calciatore» e ancora «uno che non tira mai indietro la gamba [che è cioè coraggioso nei contrasti], fa gol, si mette a disposizione dei compagni». Non a caso anche l’anno dopo, nell’inverno del 2010, il Milan scelse di prenderlo in prestito una seconda volta dai Los Angeles Galaxy. Come in ogni squadra in cui giocò dopo il Manchester United, il suo impatto fu considerevole dal punto di vista economico e dell’attenzione mediatica, ma anche a livello di qualità tecnica, carisma ed esperienza che portò.