I controlli quasi immaginari tra Italia e Slovenia
«Da un anno e mezzo questa frontiera, come altre in Europa, è formalmente presidiata. Il Trattato di Schengen sulla libera circolazione delle persone è sospeso. Dovremmo esibire un documento, ma non accade. Nessuno ci degna di uno sguardo»

Nell’ultimo anno ho attraversato il punto di frontiera tra Slovenia e Italia, poco sopra Trieste, un’infinità di volte: la vita in una città di confine è un transito abituale, sia che avvenga per lavoro, per le gite domenicali o per un pieno di benzina dove costa meno. La struttura del valico di Basovizza non esiste più: fu abbattuta dopo un’intera notte di brindisi e abbracci, il 21 dicembre 2007, quando i sindaci e la gente del luogo segarono le sbarre che separavano i due paesi, riuniti dalla comune appartenenza europea e dall’adesione della Slovenia – entrata nell’Unione europea tre anni prima, con altri otto nuovi membri dell’Est – all’area di libera circolazione di Schengen. Era una svolta epocale: i passaggi senza controlli là dove fino a quindici anni prima si allungavano la cortina di ferro, il filo spinato della Guerra fredda, la divisione tra l’Occidente e il blocco del socialismo reale. Era, pure, l’immagine catartica del superamento dei dolori e delle memorie divise del secolo scorso tra italiani, sloveni e croati, il dramma delle foibe e le persecuzioni fasciste che l’avevano preceduto.
Ora la storia ha fatto un passo indietro. Da un anno e mezzo questa frontiera, come altre in Europa, è formalmente presidiata. Fu un colpo mediatico attuato il 21 ottobre 2023, pochi giorni dopo l’attacco di Hamas a Israele. Il governo italiano ripristinò le misure inizialmente per dieci giorni, imitato con svogliatezza ma senza indugi da quelli sloveno e croato, dichiaratamente per fronteggiare le possibili infiltrazioni terroristiche. Poi i dieci giorni diventarono un mese, poi sei, e ora ne sono trascorsi diciotto. Ma fin dal principio s’era palesata la motivazione reale: ostentare il contrasto alle migrazioni irregolari; inizialmente citato come obiettivo collaterale, in realtà decisivo dal primo minuto. Il Trattato di Schengen sulla libera circolazione delle persone è sospeso, dovremmo esibire il documento all’altezza della sbarra che fu e sottoporci all’eventuale ispezione della vettura. Ma nulla di tutto questo accade.
Gli urbanisti del confine, se esistono, non si sono sprecati a ricreare qualcosa di simile a una frontiera di Stato, data la presunta temporaneità dei controlli. Uno sciatto prefabbricato qui, una casupola sgangherata a qualche metro, una sgraziata garitta addossata malamente al ciglio della strada. Solo da qualche giorno è comparso qualche container appena più dignitoso con i simboli della polizia. Rientriamo in Italia, un gruppo di amici e famiglie reduci dalla consueta escursione domenicale oltre confine, qualche automobile in comitiva come fanno migliaia di altri italiani nel corso del fine settimana.
Nessuno ci degna di uno sguardo.

Il valico di Monrupino presso Trieste (foto Roberto Morelli)
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Due poliziotti, le uniche uniformi presenti, chiacchierano distrattamente e per fortuna manifestano più buonsenso delle autorità di Stato, evitando di creare chilometri di code con verifiche minuziose quanto inutili, teoricamente imposte dal ripristino dei controlli alle frontiere. Non è credibile che possibili terroristi internazionali, per fronteggiare i quali s’è asseritamente dato vita a un’esibizione collettiva in mezza Europa, scelgano di passare il valico qui, sventolando i passaporti con le armi stivate nel bagagliaio, anziché lungo cento chilometri di boscaglia, sentieri e stradicciole impossibili da pattugliare accuratamente.
Passiamo il confine senza l’ombra di un controllo, solo rallentati dalla gincana imposta alle auto: come ogni giorno, come tutti, come a ogni punto di frontiera da un anno e mezzo a questa parte. L’avrò fatto almeno cento volte, uscendo dall’Italia e rientrandovi, senza che qualsivoglia agente italiano o sloveno mi considerasse degno di attenzione: lo stesso a Basovizza, a Fernetti, a Rabuiese presso Trieste, lo stesso a Sant’Andrea presso Gorizia. Sul versante sloveno, neppure la finzione del valico: non c’è proprio anima viva, né casupola sgangherata che possa ospitarla. E lo stesso è da parte italiana su decine di transiti minori, dove ti accorgi di essere passato dall’altra parte solo perché cambia la lingua dei cartelli. Non credete alla foto sul sito del ministero dell’Interno che accompagna le informazioni sulle nuove misure di sicurezza, ed espone agenti attentissimi in mezzo alla strada con la paletta in mano. Quell’immagine non esiste nella realtà, né sarebbe necessaria.

La foto dei controlli sul sito del ministero dell’Interno
Non è più uno scenario insolito, tra le frontiere comunitarie. Italia, Slovenia e Croazia sono in ottima compagnia. A oggi sono dieci i paesi europei ad aver sospeso il Trattato di Schengen (che ne accomuna 29, di cui quattro extra-Ue, e prevede che solo i confini esterni vengano presidiati), reintroducendo le verifiche dei documenti e delle vetture. Ora che l’ha fatto anche la Germania, subito imitata dai Paesi Bassi, c’è da credere che molti altri seguiranno, minando alle fondamenta – e nella percezione dei cittadini – l’idea in sé dell’Europa. E ovunque è lo stesso. Controlli instaurati e solennizzati in via di principio, ma quasi mai attuati: per assenza di personale, per la volontà di evitare disagi, probabilmente per la muta e condivisa consapevolezza della loro inutilità.
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Che il terrorismo internazionale fosse un pretesto, lo dimostrò il fatto che fin da subito la minaccia palestinese uscì di scena: la presunta efficacia del nuovo corso venne e viene periodicamente sciorinata con i dati sul rintraccio di migranti, e solo con questo.
Nei vertici trilaterali sulla sicurezza nelle zone di confine, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e gli omologhi sloveno e croato, Boštjan Poklukar e Davor Božinović, enfatizzano le numerose centinaia di migliaia di controlli svolti finora – non si sa come censiti – e i cinquemila migranti respinti nel primo anno di attività, insieme con la netta diminuzione dei flussi lungo la rotta balcanica. Ma sono dati mai specifici, poiché sommano i respingimenti ai valichi a quelli che sono frutto dei ben più efficaci pattugliamenti congiunti italo-sloveni lungo boschi e sentieri: che c’erano prima, ci sono oggi e continueranno a esserci in futuro. Anche i controlli al confine funzionavano già: semplicemente collocati cinquanta metri più avanti, in territorio italiano, con qualche pattuglia che li svolgeva regolarmente e senza il bisogno di ostentare la sospensione di un trattato internazionale.
Vi sono due luoghi-simbolo di questo corto circuito della storia.
Il primo è il sentiero numero 3 sull’altipiano carsico, una manciata di chilometri sopra Trieste. Parte dal valico italo-sloveno di Pese e corre lungo la frontiera per una cinquantina di chilometri fino a Iamiano, al bivio per il monte Castellaro, presso Gorizia. Frugo settimanalmente questa fascinosa camminata di frontiera, collinare nelle altitudini e montuosa negli scenari, tra doline, rocce calcaree, lecci e betulle. Con me mia moglie Sandra, la nostra labrador Lucy, gli amici e un festoso piccolo branco di altri cani. Minacciosi moniti d’altri tempi residuano da tabelle rugginose, avvertendo che si è sempre a pochi chilometri da quella che fu la cortina di ferro. Ma lo sconfinamento non è più un rischio, bensì la scelta di ogni escursione, su e giù lungo sentieri battuti da tutti, italiani e sloveni che si dicono buongiorno e dober dan, e familiarizzando con i cani non si guardano più in cagnesco come decenni fa.
Siamo tutti perseguibili?
Me lo chiedo ogni tanto passando come tutti il confine una, due, cinque volte durante un saliscendi di tre ore, e forse infrangendo tutti noi – decine, centinaia, migliaia di persone – le nuove norme sui passaggi di frontiera. Percorriamo sentieri che la frontiera l’hanno vanificata, permeata, gioiosamente smantellata anche nella percezione dell’escursionista. Stradine curate con le indicazioni e i cartelli e le informazioni bilingui, attrezzate grazie ai fondi comunitari: tutte tracce d’Europa, analoghe di qua e di là, senza saper bene su che versante si è, perdendosi in una statualità ignota che trasforma in ossimoro i container dei controlli di polizia. Ogni tanto qualcuno si dimentica la carta d’identità o il documento del cane: un problema serio, all’estero. Incrociamo sguardi interrogativi e lo risolviamo con un’alzata di spalle: ma cosa vuoi che succeda?
Che siano anche zone di transito notturno di migranti, lo dice il mesto florilegio d’indumenti stazzonati abbandonati lungo i boschi, qualche cartone d’acqua e ogni tanto una lattina di birra, a sconciare la purezza del luogo ma pure la nostra coscienza. Oggi questi simboli di un’umanità braccata dalla vita sono diminuiti lungo il cammino. È l’indicazione materiale che le migrazioni attraverso la rotta balcanica si sono drasticamente ridotte – del 78% nel 2024, secondo l’Agenzia europea Frontex. Il contesto internazionale lo spiega con i più difficili flussi dalla Turchia (che da sempre usa i confini come un “rubinetto” puntato contro l’Europa, da aprire e chiudere secondo convenienza) e il funzionamento degli accordi governativi; i fautori delle frontiere chiuse, con il fatto che terroristi e migranti si sono spaventati per le casupole di polizia appostate su quattro valichi di numero.
Ci trasferiamo nel secondo luogo-simbolo, ch’è un contesto urbano poco distante: Gorizia, piazza della Transalpina, la piccola Berlino del dopoguerra. Una città tagliata a metà dal confine che taglia pure la piazza, fra l’italiano capoluogo isontino e la jugoslava e poi slovena Nova Gorica, la stessa città segata in due, l’agorà con la frontiera che l’attraversa. La rete del confine di Stato non c’è più, la piazza aperta è oggi simbolo della riunificazione europea, e proponendola come tale Gorizia e Nova Gorica si sono guadagnate il ruolo di Capitale europea della cultura 2025, con i due sindaci a esultare insieme e un team di progetto italo-sloveno. La sospensione del Trattato di Schengen ha trasformato “GO! 2025” – questo il logo dell’evento e dell’anno della cultura inaugurato a febbraio – in un altro spinoso ossimoro.
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Il messaggio ufficiale, ciò che ha fruttato la vittoria nella gara internazionale, è borderless, il superamento dei confini, «due città e un solo obiettivo» di capitale transfrontaliera. Ma il contesto, normativo e fattuale, è che i confini sono stati ripristinati: in linea teorica uno stuolo di agenti dovrebbe oggi presidiare la piazza divisa tra Italia e Slovenia, e i turisti e visitatori esibire i documenti ogni volta che l’attraversano per recarsi a questo o quell’evento. Ovviamente nessuno presidia alcunché. Passeggiamo liberamente di qua e di là come tutti, e ciondolando ignari passiamo e ripassiamo la frontiera cinquanta volte, chiacchierando al sole.
Ma è pericoloso cedere alla tentazione di liquidare la frontiera inesistente con un sorriso. Il confine è nell’animo, non nella sbarra. Le garitte improvvisate al valico, il sentiero numero 3 con i giacconi frusti abbandonati tra gli alberi, la piazza della Transalpina non più spazio aperto; tutto ciò scardina insidiosamente il concetto d’Europa nelle coscienze, ne distorce la percezione, ricrea la barriera nel vissuto comune.
Ed è chiaro fin d’ora che quando le libertà di Schengen saranno ripristinate e le baracche di frontiera smantellate (prima o poi in teoria accadrà), si alzerà più di qualcuno a dire preoccupato che i confini presidiati sono più sicuri e che l’Europa che sognavamo non c’è più, se mai c’è stata. Quell’idea, o sogno che sia, dovremo ricostruirla daccapo.
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L’ufficio stampa della Polizia di Stato ha replicato all’articolo pubblicato dal Post per contestarne il contenuto.
L’articolo pubblicato il 23 aprile 2025 sul giornale “Il Post” presenta delle inesattezze in ordine alle modalità di attuazione del ripristino dei controlli alla frontiera con la Slovenia a decorrere dal 21 ottobre 2023.Risulta doveroso precisare che, benché l’Italia si sia avvalsa dello strumento della reintroduzione dei controlli nello spazio di libera circolazione, tale decisione ha sempre assunto il carattere della proporzionalità adattandola all’evoluzione della minaccia e calibrandola in modo da causare il minore impatto possibile sulla circolazione transfrontaliera e sul traffico delle merci.Sulla base di tale assunto i controlli non sono mai stati realizzati in maniera sistematica nei confronti di qualunque persona proveniente dalla Slovenia, ma in maniera mirata nei confronti di chi, sulla base delle circostanze di luogo e di fatto nonché dell’analisi del rischio desta sospetti negli operatori di polizia sotto il profilo della sicurezza interna o la cui posizione di regolarità nello spazio Schengen possa apparire dubbia. E’ pertanto del tutto plausibile che l’autore dell’articolo, sebbene abbia attraversato in più occasioni il confine italo-sloveno, non sia mai stato sottoposto ad un controllo di polizia.Tale approccio flessibile è inoltre pienamente conforme con l’acquis di Schengen che, nell’ipotesi del ripristino dei controlli, invita gli Stati membri a limitare le verifiche sistematiche alle situazioni eccezionali e privilegiare, al contrario, le verifiche mobili, mitigando le ripercussioni sulla fluidità del traffico e gli spostamenti delle persone (Raccomandazione della Commissione del 23.11.2023 C/2023) 8139 final).A tal fine il personale di polizia ha ricevuto precise indicazioni circa gli obiettivi di sicurezza interna da perseguire e le modalità operative per ottenerli, primo fra tutto il controllo attento e mirato dei veicoli, concentrando le attenzioni su quelli che per tipologia, per targa, per il numero e gli atteggiamenti degli occupanti possano destare sospetti sugli operatori di polizia in base alla loro esperienza e professionalità.Il dispositivo deputato al ripristino ha portato a significativi risultati operativi bilanciando i controlli con la libera movimentazione dei viaggiatori in buona fede. Dal 21 ottobre 2023 al 21 aprile 2025 lungo l’intera fascia confinaria italo-slovena i controlli hanno avuto i seguenti esiti: 899.798 persone e 445.984 veicoli controllati in ingresso sul territorio nazionale – 7.006 stranieri irregolari rintracciati di cui 3.563 respinti in Slovenia – 374 persone tratte in arresto di cui 184 per favoreggiamento dell’immigrazione irregolare – 2.601 persone denunciate a piede libero – 233 persone identificate con a carico segnalazioni in ambito europeo per sospetta appartenenza ad ambienti del terrorismo/eversione o radicalizzati, a riprova che anche le infiltrazioni terroristiche, contestate dall’articolo, sono assolutamente presenti.Parallelamente alla reintroduzione non è mai venuta meno la cooperazione con le Autorità slovene continuando a svolgere servizi di pattugliamento congiunto che hanno portato, da ottobre 2023 ad aprile 2025, ad oltre 1.200 inibiti ingressi in Italia di stranieri irregolari.Peraltro proprio dall’efficacia dei controlli mirati nel senso prima indicato derivano le numerose operazioni di polizia giudiziaria svolte dalla Polizia di Frontiera. Si citano in particolare le operazioni “Chinese Shuttles” conclusa nel giugno 2024 e “Turkish Shuttles” risalente a pochi giorni orsono, contro organizzazioni rispettivamente cinesi e turche dedite al favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, che nascono proprio dalla singola verifica mirata, dal successivo approfondimento degli elementi che durante tale controllo vengono raccolti e dai successivi sviluppi investigativi che trovano riscontro proprio nel corso dei successivi controlli in frontiera.Circa infine la problematica sollevata sugli aspetti logistici, giova evidenziare che presso i valichi che vedono una presenza continuativa del personale di polizia sono stati allocati efficienti moduli abitativi a supporto del lavoro degli operatori.DIPARTIMENTO DI P.S.UFFICIO IV COMUNICAZIONE ISTITUZIONALEUfficio Stampa












