Sembra impossibile spostare i “veleni di Crotone” da Crotone

L'area industriale dismessa della città inquina il mare, i terreni e le falde acquifere, e i cittadini attendono da 25 anni che sia bonificata

di Angelo Mastrandrea

Una donna vicino a dei cartelli di protesta durante una manifestazione contro le discariche, il 12 aprile a Crotone (Angelo Mastrandrea/il Post)
La manifestazione a Crotone contro l'ordinanza del commissario straordinario per mantenere i rifiuti a Crotone, 12 aprile 2025 (Angelo Mastrandrea/il Post)
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Due discariche separano l’area industriale di Crotone dal mare. Sono delle collinette artificiali larghe poche decine di metri, che si estendono per un chilometro e mezzo tra la spiaggia e la strada costiera. Furono costruite nel 1988 per metterci gli scarti della Fosfotec, che produceva acido fosforico, e della Pertusola, una fabbrica di zinco. Le due fabbriche chiusero negli anni Novanta e i rifiuti rimasero sepolti lì. Secondo Eni Rewind, attuale proprietaria dell’area e responsabile delle bonifiche ambientali per conto del gruppo Eni, c’è seppellito un milione di tonnellate di rifiuti industriali. Di queste, 360mila tonnellate sono considerate pericolose per la salute perché composte soprattutto da metalli pesanti. Altre 150mila contengono materiali radioattivi o amianto.

L’ingresso di una «discarica a mare» a Crotone (Angelo Mastrandrea/il Post)

Una «discarica a mare» a Crotone (Angelo Mastrandrea/il Post)

Il 14 aprile le ruspe dell’Eni avrebbero dovuto cominciare a scavare per tirare fuori i rifiuti e spostarli in un’altra discarica, la Sovreco, che si trova a 5 chilometri di distanza, sempre a Crotone. Lo aveva stabilito nei giorni precedenti un’ordinanza del Commissario straordinario per le bonifiche, il generale della Guardia di Finanza Emilio Errigo.

Il provvedimento ha provocato le proteste di chi vorrebbe che i rifiuti siano portati lontani da Crotone, possibilmente anche fuori dalla Calabria. Sabato 12 aprile, alla vigilia del previsto inizio dei lavori, alcune centinaia di cittadini hanno manifestato davanti al municipio per chiedere il ritiro dell’ordinanza e le dimissioni del commissario. C’erano ex operai delle fabbriche dismesse, familiari di lavoratori morti di tumore, l’associazione dei malati oncologici e diversi ambientalisti. Molti manifestanti portavano cartelli fatti a mano con ritagli di cartone e scritte che chiedevano di portare i “veleni” lontano da Crotone. «Abbiamo già pagato un prezzo troppo alto per l’avvelenamento dei terreni e delle acque, quei rifiuti non possono rimanere qui», ha detto uno di loro parlando alla piazza.

Per rispondere alle critiche, Errigo ha scritto una lettera “ai crotonesi” in cui sostiene che la Sovreco sia «l’unica discarica italiana attrezzata per ricevere rifiuti pericolosi». Le altre disponibili si trovano a Wetro, in Germania, e ad Älvängen e a Kumla, in Svezia, che distano più di 2mila chilometri. L’Eni non ha voluto commentare, ma a febbraio  l’amministratore delegato di Eni Rewind, Paolo Grossi, aveva detto che il trasferimento all’estero è poco praticabile, perché i governi dei paesi di destinazione potrebbero negare l’autorizzazione a prendersi i rifiuti o concederla solo per piccole quantità. Inoltre, un regolamento europeo consente i trasferimenti di rifiuti da uno Stato a un altro solo se in quello di provenienza non ci sono discariche analoghe.

La mattina del 14 aprile però i lavori di scavo non sono cominciati. All’ultimo momento il tribunale amministrativo regionale (TAR) ha sospeso l’ordinanza del commissario su richiesta della Regione Calabria, della provincia e del comune di Crotone, e delle associazioni ARCI e WWF. Le istituzioni locali e le due organizzazioni hanno presentato un ricorso al TAR chiedendo l’annullamento dell’ordinanza, poiché non ha rispettato le prescrizioni della Regione, che ha autorizzato le bonifiche ma solo a patto che i rifiuti di Crotone siano portati fuori dalla Calabria.

Il cancello d’ingresso dell’ex EniChem a Crotone (Angelo Mastrandrea/il Post)

L’ex stabilimento della Pertusola abbandonato, a Crotone (Angelo Mastrandrea/il Post)

L’area industriale di Crotone si estende per quasi mezzo chilometro quadrato, dal porto verso nord. Da 25 anni attende di essere bonificata, e l’accesso al mare in quell’area è interdetto per via delle discariche, che sono recintate. Il primo commissario straordinario fu nominato nel 2000. Da allora ce ne sono stati altri sette, ma nessuno di loro è riuscito a risanare le cosiddette discariche “a mare”.

Nel 2001 il governo Berlusconi inserì la zona industriale nella lista dei Siti di interesse nazionale (SIN) da bonificare, fu perimetrata un’area di quasi mezzo chilometro quadrato di terreni e di 15 chilometri quadrati in mare, ma i rifiuti non sono mai stati rimossi. Nel 2012 il tribunale di Milano condannò l’Eni a presentare un piano di bonifica. L’Eni aveva ereditato i terreni dall’EniChem, azienda del gruppo che chiuse nel 2000 e che era proprietaria della fabbrica Fosfotec. Nelle motivazioni della sentenza i giudici scrissero che «i livelli di contaminazione sono stati accertati nel terreno fino a 3 metri per tutti i metalli e fino a 10 metri per il cadmio», e che erano state inquinate anche le acque di falda.

L’Eni dice di aver speso finora 200 milioni di euro per ripulire le aree inquinate. È stata costruita una barriera di contenimento per evitare che le sostanze tossiche finissero in mare, e sono stati ripuliti i piazzali delle fabbriche. I rifiuti interrati hanno però continuato a inquinare. A febbraio, in un’audizione alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, il direttore dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale (Arpacal) Michelangelo Iannone ha spiegato che, nonostante la barriera funzioni, «continuiamo a trovare diversi inquinanti, tra cui fluoruri, solfati, antimonio e arsenico».

I costi delle bonifiche già nel 2001 furono stimati in quasi due miliardi di euro, ma oggi sono di sicuro più alti. Per il presidente di ARCI Crotone Filippo Sestito, questa è la ragione principale delle continue dilazioni. «Quando si parla di bonifica a Crotone ci si riferisce solo alle discariche a mare, ma l’area inquinata è molto più vasta», spiega. L’arsenico, il cadmio, il fosforo, il piombo e lo zinco delle fabbriche per sessant’anni sono finiti nei terreni. Il conglomerato idraulico catalizzato (CIC), una sorta di terriccio nero prodotto durante le lavorazioni siderurgiche, accatastato nel piazzale della ex Pertusola, dopo la chiusura dello stabilimento fu ceduto a due imprese edili che lo utilizzarono come riempitivo sotto le strade e nelle fondamenta di case popolari e villette a schiera, piazzali, di tre scuole e della questura.

Lavori di bonifica in una scuola costruita con le scorie industriali, a Crotone (Angelo Mastrandrea/il Post)

Nel rione del Gesù e in quello di San Francesco, a poche centinaia di metri dalle fabbriche, gli operai che ci vivevano con le loro famiglie hanno respirato per decenni i fumi tossici dei forni. Molti sono morti o si sono ammalati anche molti anni dopo la chiusura. «Abitavamo proprio di fronte alla canna fumaria della Pertusola, appena aprivamo le finestre ci trovavamo la casa piena di fumo», raccontano Vittoria Livadiotti e la figlia Barbara Palmieri. Entrambe sono malate oncologiche. «Mio padre invece morì d’infarto, i medici dissero che aveva il sangue pieno di piombo», ricorda Palmieri. «All’inizio nessuno credeva alle persone che si ammalavano, dicevano che volevamo far fallire l’azienda, ora in ogni famiglia c’è almeno un morto e molti hanno sviluppato malattie croniche», continua Livadiotti.

Luigia Clerici si trasferì con il marito da Milano per venire a lavorare alla Montedison. «Quando arrivammo era una città molto vivace, dopo i fuochi è come se si fosse bruciata tutta», dice. Si riferisce alle dure proteste contro la chiusura dell’EniChem, avvenute il 6 settembre del 1993, durante le quali alcuni operai bruciarono anche bidoni di fosforo. Suo marito è morto di tumore.

Il rione del Gesù a Crotone (Angelo Mastrandrea/il Post)

«Qui non è mai stato fatto nulla per affrontare l’inquinamento e prevenire le malattie, nessuno ha pensato alla salute della popolazione», dice Francesco Rocca, un medico che per 21 anni ha diretto il dipartimento di prevenzione dell’Azienda sanitaria provinciale (ASP) di Crotone. Stabilire un nesso causale tra la malattia e l’area industriale è comunque complicato, perché il registro regionale dei tumori non è aggiornato dal 2013. «Non sono stati fatti test sulle persone e non sono state analizzate neppure le acque dei pozzi utilizzate dai contadini per verificare se fossero inquinate», dice ancora Rocca.

L’unico studio epidemiologico, finanziato dal ministero della Salute e coordinato dall’Istituto superiore di sanità tra il 2013 e il 2017, ha mostrato che a Crotone c’è «un eccesso di rischio» per la mortalità generale e per tutti i tumori maligni, in particolare quelli allo stomaco e il linfoma non Hodgkin, che colpisce il sistema linfatico.