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  • Martedì 15 aprile 2025

Due anni di guerra civile in Sudan

Il 15 aprile del 2023 un gruppo paramilitare provò a prendere il potere a Khartum, ma fallì: oggi in Sudan c'è la peggiore crisi umanitaria al mondo

Membri delle Forze armate del Sudan camminano nella capitale Khartoum dopo una battaglia con le Forze di Supporto Rapido (RSF), 25 marzo 2025
(REUTERS/Stringer)
Membri delle Forze armate del Sudan camminano nella capitale Khartoum dopo una battaglia con le Forze di Supporto Rapido (RSF), 25 marzo 2025 (REUTERS/Stringer)
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Il 15 aprile del 2023, due anni esatti fa, gli sforzi dei sudanesi per trovare un accordo fra le due grandi fazioni armate che controllavano il paese fallirono. Cominciò una guerra che va avanti ancora adesso, e che ha conseguenze orrende per la popolazione civile. 

Da una parte ci sono le Forze armate del Sudan guidate dal generale Abdel Fattah al Burhan, che ambisce a diventare il leader supremo del paese. Dall’altra ci sono le cosiddette Forze di supporto rapido, spesso indicate sui media con la sigla RSF (Rapid Support Forces) in inglese, che è una delle due lingue ufficiali assieme all’arabo. Il nome Forze di supporto rapido è un tentativo di rebranding, perché la maggior parte dei loro combattenti viene dai janjawid, la famigerata milizia che tra il 2003 e il 2005 massacrò centinaia di migliaia di sudanesi in Darfur. 

Una cosa è farsi chiamare con il nome neutro e militareggiante Forze di supporto rapido, un’altra cosa sarebbe farsi chiamare ancora con il termine dialettale arabo janjawid che, secondo interpretazioni diverse, potrebbe voler dire «i demoni a cavallo» oppure «i delinquenti». Sono comandate da Mohamed Hamdan Dagalo, un generale che è conosciuto con il soprannome Hemedti e vorrebbe anche lui diventare il leader supremo del paese. 

In due anni la guerra tra le due fazioni per il controllo del Sudan potrebbe avere ucciso 150mila persone. Si dice potrebbe perché questa cifra è una stima calcolata dalle Nazioni Unite. Non ci sono dati precisi perché alcune aree del paese sono inaccessibili e inoltre al conto totale sarebbero da aggiungere anche le vittime indirette, quindi i sudanesi che sono morti per la fame o per la mancanza di cure provocate dalla guerra. 

Le fazioni armate hanno commesso atrocità continue contro i civili, con alcuni picchi di violenza di massa nel Darfur, nell’ovest del paese: secondo un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato nel gennaio del 2024, nella città di el Geneina le Forze di supporto rapido hanno fucilato tra i 10mila e i 15mila civili. I video che arrivano dal Sudan mostrano esecuzioni di massa e anche episodi di cannibalismo rituale.

La guerra civile ha prodotto 13 milioni di sfollati su una popolazione totale di 50 milioni e non c’è abbastanza cibo per tutti. Al momento è la più grave crisi umanitaria al mondo, ma non riceve le stesse attenzioni internazionali di altre aree di crisi. 

Non c’è una linea del fronte chiara a separare i combattenti, come per esempio in Ucraina. Il controllo di una e dell’altra fazione è a macchia di leopardo, dipende da città a città. In generale però le forze armate sudanesi sono più forti verso la costa sul mar Rosso, a est, e al confine con l’Etiopia a sud, e le Forze di supporto rapido sono più forti a ovest. Questo fa pensare che prima o poi ci potrebbe essere una spartizione territoriale di fatto.

A complicare la situazione ci sono odio fra etnie e razzismo: i sudanesi che si considerano arabizzati, con la pelle più chiara, disprezzano la minoranza sudanese con la pelle più scura. 

Di recente c’è stata una svolta. A marzo le Forze armate sudanesi hanno riconquistato il controllo totale della capitale Khartum, che per due anni era rimasta in stato d’assedio e divisa tra le due fazioni. In alcuni casi passare da quartiere a quartiere era diventato impossibile e la vita era complicata ancora di più dal fatto che la capitale si trova alla confluenza tra Nilo Bianco e Nilo Azzurro, due grandi fiumi africani che in quella zona sono diventati anche linee del fronte tra le due fazioni.

Ora molte strade sono state riaperte. Gli uomini del generale al Buhran sono rientrati nel palazzo presidenziale dal quale erano stati cacciati due anni fa ed è stato un momento simbolico. 

La cacciata delle Forze di supporto rapido dalla capitale sudanese però non è la fine della guerra. Costrette a spostarsi verso ovest, le milizie si stanno concentrando sul Darfur, per prendere il controllo delle stesse aree dei massacri di vent’anni fa. In questi giorni hanno dato l’assalto al campo profughi di Zamzam, che ospita mezzo milione di sudanesi e fa da collettore per tutti gli sfollati scappati da altre zone del Darfur. Zamzam è alla periferia di al Fashir, una delle due città più importanti del Darfur, che le Forze di supporto rapido assediano e vorrebbero conquistare. Le Forze armate sudanesi riforniscono con lanci aerei le loro truppe assediate da mesi, ma a volte i loro aeroplani sono abbattuti dalle Forze di supporto rapido. 

Venerdì 11 aprile l’organizzazione non governativa Relief International ha detto che le RSF hanno fucilato cinque medici e quattro autisti che mantenevano in funzione l’unica clinica rimasta aperta nel campo profughi di Zamzam. Le milizie si sono giustificate dicendo che i loro nemici si nascondono fra i civili e li usano come scudi umani.

Secondo l’analisi delle foto satellitari pubblicate dallo Humanitarian Research Lab della Scuola di salute pubblica di Yale, circa duecento jeep armate delle Forze di supporto rapido hanno circondato il campo e si preparano all’assalto in direzione di al Fashir. Dalle immagini scattate dall’alto è chiaro che i miliziani stanno dando fuoco a grandi aree del campo profughi. 

Le Forze di supporto rapido hanno l’appoggio esterno degli Emirati Arabi Uniti, un piccolo regno del Golfo che usa i proventi enormi del petrolio e del gas per interferire in altri paesi, dalla Libia al Sudan, con successi alterni. Anche la Russia, o meglio le compagnie di mercenari russi che operano in Africa, ha dato sostegno alle Forze di supporto rapido negli anni passati. Inoltre i miliziani hanno il controllo di alcune miniere d’oro nel Darfur, che garantiscono finanziamenti per la guerra civile. Questo spiega perché riescono a fronteggiare quasi alla pari le Forze armate sudanesi, che dispongono di aerei da guerra. 

Nell’aprile del 2023 in Sudan si parlava di un accordo imminente che avrebbe integrato le Forze di supporto rapido nell’esercito. Sarebbe stato un passo verso la normalizzazione del paese, perché due eserciti paralleli non possono coesistere, ma sarebbe stata anche la fine del potere di Hemedti, perché i suoi uomini sarebbero passati sotto il controllo del generale al Buhran. Piuttosto che assistere al dissolvimento della sua fazione armata, il 15 aprile Hemedti dette l’ordine ai suoi di dare l’assalto ad alcune posizioni chiave del Sudan, incluso il palazzo presidenziale. Ma il colpo a sorpresa riuscì soltanto a metà e fu l’inizio della guerra civile.