Alla fine Beko non chiude gli stabilimenti in Italia
Dopo cinque mesi, il governo ha trovato un accordo con l'azienda e i sindacati che evita il licenziamento di quasi 2mila dipendenti

Lunedì sera al ministero delle Imprese e del Made in Italy è stato firmato un accordo importante per provare a risolvere i problemi della Beko, grande multinazionale turca degli elettrodomestici che a novembre aveva annunciato di voler licenziare più di 1.900 dipendenti in Italia, quasi la metà di tutti i lavoratori dei suoi stabilimenti nel paese.
Quell’annuncio aveva aperto una grossa crisi industriale, che dopo cinque mesi di trattativa tra l’azienda, i sindacati e il governo si è risolta positivamente con un piano che dovrebbe evitare sia le chiusure che il licenziamento di tutti i dipendenti, grazie anche all’impegno dello Stato a metterci dei soldi (ancora non si sa quanti saranno, dipende da molti fattori).
L’accordo era stato raggiunto la settimana scorsa ed è stato poi approvato da gran parte dei dipendenti in questi giorni. Beko ha promesso 300 milioni di euro di nuovi investimenti per l’innovazione dei prodotti e la modernizzazione degli impianti. In questo modo la multinazionale ha di fatto dimezzato gli esuberi da quasi 2mila a circa 950, distribuiti fra i vari stabilimenti di Beko in Italia: nessuno però sarà licenziato, ci saranno solo degli incentivi economici per le uscite volontarie dei dipendenti dall’azienda.
A questi 950 vanno aggiunti i 299 dipendenti di Siena, dove ha sede lo stabilimento più noto di questa crisi: Beko voleva chiuderlo, licenziando tutti, ma aveva trovato una grossa opposizione dei sindacati e dell’amministrazione comunale. Il piano prevede di interrompere la produzione a Siena, ma anche di trovare un nuovo impiego per lo stabilimento: i lavoratori saranno messi in cassa integrazione fino al 2027, mentre lo Stato e il comune di Siena si impegneranno a trovare altre aziende disposte a far ripartire la produzione (che comunque rimarrà ferma dalla fine del 2025 al 2027) ed eventualmente a valutare l’acquisto dell’impianto.
In caso non venga trovata nessuna società disposta a investire sul sito lo Stato, la Beko e i sindacati torneranno a trattare. Nel frattempo anche per lo stabilimento di Siena l’azienda ha promosso un piano di dimissioni volontarie e incentivate.
Le altre quattro fabbriche, che si trovano in provincia di Varese, Ancona, Ascoli Piceno e Caserta, non saranno chiuse, ma in molti casi riconvertite e ridimensionate. Beko intende infatti trasferire le produzioni in Romania, Egitto e Turchia, dove i costi sono minori: in Italia rimarranno la progettazione, il design, lo sviluppo dei prodotti e alcune produzioni di alta gamma.
Gli stabilimenti in questione appartenevano un tempo all’azienda italiana Indesit: erano stati poi acquisiti nel 2014 dalla statunitense Whirlpool. Passarono a Beko nel 2024, quando la sezione europea di Whirlpool si fuse con quella del gruppo turco Arçelik, proprietario anche di Beko. In questa riorganizzazione Beko aveva previsto chiusure in diversi altri stabilimenti nei paesi europei, dove secondo l’azienda le vendite sono molto diminuite a causa della concorrenza asiatica, e dove la produzione è particolarmente costosa anche per l’aumento dei costi dell’energia.
Erano questi i motivi per cui la multinazionale voleva chiudere molti stabilimenti italiani, una decisione che ha trovato la forte opposizione di sindacati, amministrazioni locali e soprattutto del governo. Il ministero delle Imprese e del Made in Italy aveva chiesto all’azienda di ritirare il piano industriale originario, minacciando di esercitare il golden power, cioè lo strumento con cui il governo può condizionare o vietare operazioni di mercato alle imprese considerate di rilevanza strategica. Aveva addirittura prospettato sanzioni e la possibilità di invalidare la cessione della Whirlpool alla Beko.