Alle elezioni in Tanzania l’opposizione non ci sarà
Il partito Chadema chiede da tempo riforme per un voto libero: ora che il suo leader è stato arrestato per tradimento, ha deciso per il boicottaggio

Il principale partito all’opposizione in Tanzania, Chadema, sarà escluso dalle elezioni presidenziali e parlamentari che si terranno il prossimo ottobre nel paese dell’Africa orientale. Il partito – il cui leader Tundu Lissu era stato arrestato pochi giorni fa con l’accusa di tradimento – chiedeva da tempo che il governo autoritario della presidente Samia Suluhu Hassan approvasse riforme per tenere elezioni libere e indipendenti, ma così non è stato.
Adesso Chadema si è rifiutato di firmare il codice etico che tutti i partiti avrebbero dovuto sottoscrivere entro sabato per poter presentare i propri candidati, pena l’esclusione. Di fatto quindi boicotterà il voto.
I partiti di opposizione e gli attivisti per i diritti umani accusano il governo di Hassan di reprimere ogni forma di dissenso. Hassan è diventata presidente della Tanzania nel 2021 in seguito alla morte improvvisa di John Magufuli, al potere da anni con metodi autoritari. All’inizio aveva cancellato alcune delle leggi più repressive del suo predecessore: nel tempo però il suo governo ha fatto arrestare politici e sostenitori di Chadema, e un importante membro della sua segreteria è stato trovato morto con evidenti segni di percosse.
Già in passato Chadema aveva minacciato di boicottare le elezioni a meno che il governo non avesse approvato riforme elettorali sostanziali. Il 12 aprile il segretario generale del partito, John Mnyika, ha detto che non avrebbe firmato il codice etico introdotto dalla Commissione elettorale nazionale, né avrebbe autorizzato altri a farlo, proprio per continuare a fare pressioni per ottenere riforme in vista del voto.
Quanto a Lissu, era stato arrestato durante una manifestazione e poi incriminato per tradimento con l’accusa di aver pianificato una ribellione e di voler interferire nel processo elettorale. In particolare, Lissu chiedeva la sostituzione dei membri della Commissione elettorale, scelti dalla stessa presidente. Se giudicato colpevole rischia la pena di morte.
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