L’attivista per la Palestina Mahmoud Khalil può essere espulso dagli Stati Uniti, dice un tribunale statunitense
La decisione è un successo per Donald Trump, e ci sono varie incognite su cosa succederà ora

Venerdì un tribunale della Louisiana, negli Stati Uniti, ha stabilito che potrà essere espulso dal paese Mahmoud Khalil, l’ex studente della Columbia University e attivista per la Palestina arrestato circa due settimane fa perché accusato di aver partecipato a manifestazioni che secondo le autorità federali erano «a favore di Hamas», e in generale di essere un pericolo per la sicurezza nazionale.
La decisione di venerdì è rilevante politicamente, perché espellere Khalil dal paese era un obiettivo che l’amministrazione del presidente Donald Trump cercava di raggiungere da un po’: secondo la giudice Jamee E. Comans, il governo di Trump aveva «prove chiare e convincenti» sulle ragioni per cui la presenza di Khalil all’interno degli Stati Uniti comporterebbe «conseguenze potenzialmente gravi sulla politica estera» del paese.
Al momento ci sono varie incognite su cosa potrebbe succedere e su se, quando e come Khalil potrebbe effettivamente venire espulso: Comans ha dato tempo ai legali di Khalil fino al 23 aprile per chiedere un permesso per restare all’interno del paese, e al contempo la richiesta del governo di Trump di espellerlo è stata respinta a inizio aprile da un tribunale federale del New Jersey. Nel frattempo contro l’arresto di Khalil sono gà state organizzate estese proteste.
Khalil, che è nato in Siria da genitori palestinesi, si trovava negli Stati Uniti con una “green card”, un permesso di soggiorno permanente. Dopo il suo arresto il mese scorso, un tribunale del paese aveva confermato la sua detenzione e stabilito però che Khalil dovesse restare nel carcere della Louisiana in cui è detenuto, senza poter venire espulso dagli Stati Uniti, salvo disposizioni diverse da parte dello stesso tribunale.
L’amministrazione Trump aveva revocato la sua “green card” e stava cercando di espellerlo dal paese, sulla base di una legge del 1952, usata molto raramente, che permette l’espulsione di persone straniere che si pensa possano danneggiare la politica estera degli Stati Uniti. Venerdì la giudice Comans ha stabilito che il governo di Trump ha sufficienti elementi per chiedere legittimamente l’espulsione di Khalil.
Inizialmente Khalil era stato arrestato sulla base di accuse vaghe, considerate poco solide anche da molti esperti legali e attivisti per i diritti civili, secondo i quali partecipando alle proteste Khalil aveva esercitato il suo diritto alla libertà di opinione e di parola, protetto dal primo emendamento della Costituzione statunitense.
Qualche giorno dopo il suo arresto l’amministrazione Trump aveva presentato nuove accuse, secondo cui Khalil non avrebbe dichiarato alcuni incarichi lavorativi nella domanda per ottenere la “green card”, un permesso di soggiorno permanente. Per esempio avrebbe omesso di aver lavorato per l’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati palestinesi, che Israele accusa da tempo di avere legami con Hamas, e per l’ambasciata britannica di Beirut, in Libano.
Queste nuove accuse sembrano spostare l’attenzione altrove rispetto alle prime, su fatti più circoscritti e potenzialmente più solidi dal punto di vista legale. L’amministrazione Trump dovrebbe comunque dimostrare che Khalil abbia omesso volontariamente le informazioni sui suoi precedenti incarichi, e che l’abbia fatto perché pensava che presentarli avrebbe complicato l’ottenimento della green card.



