Breve storia dell’Atlantic Records

Nacque dall'incontro tra il figlio di un diplomatico turco e uno svogliato studente di odontoiatria, e diventò una delle case discografiche più importanti al mondo

Phil Collins nel 1984, durante una sessione di registrazione a tarda notte dei Genesis (Martyn Goddard)
Phil Collins nel 1984, durante una sessione di registrazione a tarda notte dei Genesis (Martyn Goddard)
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Nel 1947 il figlio di un diplomatico turco e uno svogliato studente di odontoiatria accomunati dalla passione per il jazz e il collezionismo di vinili decisero di mettersi in affari: si fecero prestare 10mila dollari da Vahdi Sabit, il dentista e amico di famiglia del primo, e usarono quel capitale iniziale per aprire una casa discografica che potesse promuovere la musica dei giovani talenti che gli capitava di ascoltare nelle sale da concerto di New York. Erano Ahmet Ertegun e Herb Abramson, i fondatori dell’Atlantic Records, una delle case discografiche più famose al mondo.

Giovedì la casa editrice tedesca Taschen ha pubblicato 75 Years of Atlantic Records, un volume che con interviste, approfondimenti e soprattutto immagini ripercorre la storia della casa discografica: c’è un’introduzione del cantante Bruno Mars, e poi centinaia di fotografie e altri materiali provenienti dagli archivi di Atlantic Records, oltre a saggi e commenti di storici e critici culturali e musicali.

In quasi ottant’anni di storia l’Atlantic Records ha pubblicato album di grandissimi musicisti del Novecento provenienti da generi diversi: Aretha Franklin, Ray Charles, Mabel Mercer, John Coltrane e Ornette Coleman nel suo primo ventennio d’attività, durante il quale diventò un punto di riferimento mondiale per il jazz, il soul, il blues e l’R&B; Led Zeppelin, Crosby, Stills, Nash & Young e Phil Collins negli anni Settanta; fino alle popstar contemporanee, come Ed Sheeran, Cardi B, Lizzo e Jason Derulo.

(Taschen)

L’Atlantic Records fu costituita il 31 dicembre 1947: i soci iniziali erano Ertegun, Abramson – che aveva la maggioranza delle quote e figurava come presidente – e sua moglie, Miriam Bienstock. Si divisero i compiti in base alle rispettive inclinazioni: Ertegun faceva il talent scout, e trascorreva le sue giornate scandagliando i locali di musica dal vivo newyorkesi in cerca di nuove proposte; Abramson si occupava di gestire le registrazioni, mentre Bienstock faceva quadrare i conti.

Le prime canzoni dell’Atlantic Records, tra cui “That Old Black Magic” di Tiny Grimes e “The Spider” di Joe Morris, furono pubblicate alla fine del gennaio del 1948, ma non ottennero un grande successo. In generale l’avviamento dell’azienda fu piuttosto difficile, anche perché Ertegun e Abramson si erano specializzati soprattutto nel jazz e nell’R&B, generi che le società di distribuzione ritenevano poco adatti ai gusti del pubblico generalista, e in particolare del pubblico bianco.

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Gli affari cominciarono a migliorare nel 1949 grazie al successo di una canzone di Stick McGhee, un talentuoso chitarrista afroamericano, “Drinkin’ Wine, Spo-Dee-O-Dee”: raggiunse i primi posti delle classifiche statunitensi e contribuì ad aumentare la fama dell’Atlantic Records, che da quel momento in poi diventò conosciuta anche fuori da New York.

Un altro anno decisivo per l’Atlantic Records fu il 1953, quando il giornalista di Billboard Jerry Wexler, quello che coniò il termine rhythm and blues, entrò a far parte della società per sostituire temporaneamente Abramson, che era stato arruolato nell’esercito. La sua intesa con Ertegun fu subito fortissima: insieme diventarono la coppia di talent scout più quotata del periodo, contribuendo allo sdoganamento di generi come jazz, gospel, blues e country, che anche grazie al loro intuito diventarono pop a tutti gli effetti. Il loro primo successo fu la pubblicazione di “Shake, Rattle and Roll” (1954) di Big Joe Turner, che fu una miniera d’oro non soltanto per l’Atlantic, visto che una cover pubblicata quattro mesi dopo dalla Decca Records vendette più di un milione di copie.

Il vero grosso colpo di Ertegun e Wexler, però, fu riuscire a far firmare un contratto a un cantante poco più che ventenne che si stava facendo conoscere nell’area di Seattle: Ray Charles. La sua fama crebbe in modo impressionante subito dopo la firma con l’Atlantic Records grazie a “I Got a Woman” (1954), la sua canzone più famosa.

Come ha ricordato Richard Williams sul Guardian, all’inizio la canzone ricevette alcune critiche da parte degli ascoltatori afroamericani più anziani, che mal sopportavano la mescolanza di forme sacre (il botta e risposta del gospel) con musiche decisamente più secolari (il blues). Ma ricevette invece grandi apprezzamenti da parte dei più giovani, entusiasti di incontrare quella che, ai tempi, sembrava la musica più disinibita e di rottura che potessero ascoltare.

Ertegun ha raccontato che, in un momento non meglio specificato degli anni Cinquanta, lui e Wexler andarono vicinissimi a un altro enorme successo, forse addirittura più grande di quello di Charles: ingaggiare Elvis Presley. Per metterlo sotto contratto offrirono 25mila dollari, ma il manager di Elvis, il colonnello Tom Parker, riuscì a farsi offrire quasi il doppio (40mila dollari) dalla Radio Corporation of America (RCA).

Un altro contributo importante fu quello di Nesuhi Ertegun, il fratello di Ahmet, che si occupava di gestire la proposta jazz dell’Atlantic: fu la persona che convinse diversi jazzisti di enorme talento a unirsi all’Atlantic, tra cui John Coltrane, Ornette Coleman, Charles Mingus e Thelonious Monk. Da Giant Steps e My Favorite Things di Coltrane a Blues & Roots e Pithecanthropus erectus di Mingus, da The Shape of Jazz to Come di Coleman a The Inflated Tear di Roland Kirk, l’Atlantic pubblicò alcuni dei dischi jazz più importanti degli anni Cinquanta e Sessanta.

Nel 1955, rientrato dalla leva, Abramson lasciò l’Atlantic a causa del divorzio con Bienstock e dei sempre più frequenti dissidi creativi con Ertegun e Wexler, che nel frattempo era diventato suo principale collaboratore. Lasciò la società (e quindi la presidenza) nel 1958, con una liquidazione di 300mila dollari; da quel momento in poi il controllo dell’azienda fu nelle mani di Ertegun.

Nel 1967, quando era ormai una delle case discografiche più prestigiose al mondo, l’Atlantic Records fu venduta alla Warner Bros.-Seven Arts per 17,5 milioni di dollari. Ertegun era contrario alla vendita, che fu voluta soprattutto da Wexler. Quell’acquisizione è ricordata ancora oggi come uno dei peggiori affari nella storia dell’intrattenimento, perlomeno dal lato dei venditori: in un solo anno il fatturato dell’Atlantic raddoppiò, raggiungendo 45 milioni di dollari.

Da allora l’Atlantic ha pubblicato tra i molti i dischi dei Led Zeppelin e degli Yes, quelli di Dusty Springfield e Aretha Franklin, gli AC/DC e i Melvins, e l’anno scorso Brat di Charli XCX, il più grande successo pop del 2024.

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