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  • Mercoledì 9 aprile 2025

Un anno dopo l’esplosione della centrale idroelettrica di Bargi

Cinque piani sono ancora allagati e l’acqua ha molto rallentato i rilievi indispensabili per portare avanti le indagini

La centrale idroelettrica di Bargi il giorno dell'incidente, 9 aprile 2024 (Michele Nucci/LaPresse)
La centrale idroelettrica di Bargi il giorno dell'incidente, 9 aprile 2024 (Michele Nucci/LaPresse)
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Un anno dopo il grave incidente alla centrale idroelettrica di Bargi, in provincia di Bologna, che causò la morte di sette persone e il ferimento di altre cinque, le indagini giudiziarie proseguono a rilento. Cinque piani della centrale, la più grande dell’Emilia-Romagna e costruita per 54 metri sotto il livello del lago di Suviana, sono infatti ancora allagati e finora non è stato possibile recuperare alcuni componenti elettronici necessari a capire cosa sia successo il 9 aprile del 2024.

Dopo mesi in cui le operazioni erano state sospese, però, a breve i sommozzatori dei Vigili del fuoco dovrebbero immergersi fino al sesto piano sotto terra per prelevare dei dispositivi di monitoraggio dell’impianto di cui era in corso la fase di collaudo quando è avvenuto l’incidente. Se i consulenti tecnici riterranno questo prelievo irripetibile, e con ogni probabilità lo è, la procura potrebbe iscrivere i primi nomi nel registro degli indagati: indagare delle persone in questa fase serve principalmente per tutelare gli stessi eventuali indagati, che potranno così nominare dei consulenti di parte per assistere ai rilievi. Finora l’inchiesta per disastro colposo, omicidio colposo sul lavoro plurimo e lesioni colpose sul lavoro è infatti a carico di ignoti.

Le indagini dovranno inoltre stabilire se l’incidente fosse in qualche modo prevedibile e se siano state rispettate tutte le prescrizioni per garantire la sicurezza dei lavoratori.

La centrale di Bargi, una frazione del comune di Camugnano, fu costruita nel 1975 dall’Enel e oggi è gestita da Enel Green Power. Si trova nella parte sudorientale del lago di Suviana, un bacino artificiale stretto e lungo. Fa parte del piano di accensione della rete nazionale in caso di black-out: se dovesse esserci un’emergenza sarebbe in grado di erogare la sua massima potenza in 4 minuti.

Il 9 aprile del 2024, intorno all’ora di pranzo, nella centrale si sentì un grosso boato e poi divampò una fiammata. Alcuni operai che si trovavano ai piani alti riuscirono a fuggire, altri rimasero feriti. Tre persone morirono sul colpo, mentre ci vollero quasi tre giorni per recuperare i corpi delle altre quattro vittime, rimaste sommerse nella centrale allagata. Nell’incidente morirono Adriano Scandellari, 57 anni, Paolo Casiraghi, 59 anni, Alessandro D’Andrea, 37 anni, Vincenzo Garzillo, 68 anni, Mario Pisani, 73 anni, Pavel Petronel Tanase, 45 anni, e Vincenzo Franchina, 36 anni.

L’esplosione avvenne all’ottavo piano sotto terra della centrale, a circa 40 metri di profondità, e causò prima un incendio, poi il crollo di un solaio e l’allagamento del nono piano interrato. L’acqua entrò nella centrale da diversi punti, principalmente una fonte sorgiva e una paratia mobile che era rimasta parzialmente aperta dopo l’incidente. Al momento dell’incidente era in corso la prova di messa in esercizio, che precede il collaudo ufficiale, che di fatto avrebbe dovuto concludere i lavori di manutenzione straordinaria e riammodernamento appaltati ad aziende esterne e specializzate, che lavoravano con propri dipendenti ma anche con tecnici e operai esterni.

– Leggi anche: Come è fatta la centrale idroelettrica di Bargi

Secondo l’ipotesi più accreditata dai consulenti della procura, che a novembre hanno consegnato una prima relazione, l’incidente è probabilmente stato provocato dalla rottura di un componente dell’alternatore, un macchinario molto pesante (150 tonnellate) che serve a convertire l’energia meccanica delle turbine in energia elettrica. Funziona in grande sintesi così: l’alternatore è collegato alla turbina da un albero (cioè un cilindro di metallo) ed è composto da un rotore, che appunto ruota, e da uno statore, che invece è un componente cavo e fisso. Un componente del rotore potrebbe essersi staccato e avrebbe tranciato un condotto dell’olio che lubrifica l’impianto, che uscendo si è infiammato e ha causato l’incendio.

Tutto questo sarebbe avvenuto in una manciata di secondi. Ci sono però altre cinque ipotesi prese in considerazione finora dai tecnici, che aspettano di poter condurre i prossimi rilievi.

Ad agosto erano iniziate le operazioni per reimmettere nel bacino di Suviana i 50mila metri cubi di acqua rimasti all’interno della centrale. Prima di essere reimmessa nel bacino l’acqua è stata sottoposta a tutti i necessari trattamenti di purificazione. Inizialmente si pensava potesse essere un’operazione abbastanza veloce, ma non è stato così. Finora sono stati svuotati i primi cinque piani della centrale, altri cinque sono ancora pieni d’acqua. La scorsa settimana il comandante provinciale dei Vigili del fuoco di Bologna, Mauro Caciolai, ha spiegato che le immersioni nella centrale sono molto complicate e richiedono molte attenzioni perché non si sa esattamente cosa ci sia dentro l’acqua. Ha detto che un intervento di questo genere non è mai stato fatto prima e ha definito la situazione alla centrale idroelettrica di Bargi un «unicum al mondo». La centrale idroelettrica non è ancora tornata operativa.