Il terzo giorno di perdite disastrose nelle borse di mezzo mondo
Gli investitori hanno venduto massicciamente i titoli più legati agli Stati Uniti a causa dei dazi, alcuni dei quali sono in vigore da sabato

Per il terzo giorno consecutivo le borse di tutto il mondo hanno risentito dei pesanti dazi annunciati dal presidente statunitense Donald Trump. Dopo una giornata disastrosa per le borse asiatiche, che hanno chiuso quando da noi era mattina, anche quella delle principali borse europee si è conclusa con cali significativi, tra il 3 e il 5 per cento: la borsa di Milano è stata tra le peggiori, con una perdita del 5,18. Ha perso poco più del 4 per cento lo Stoxx 600, l’indice che sintetizza l’andamento delle azioni delle principali società quotate nei paesi europei ed è dunque molto rappresentativo di come vanno le cose nei mercati del continente. A fine giornata il Dow Jones, lo S&P 500 e il Nasdaq – i tre principali listini di Wall Street, la borsa di New York – hanno chiuso rispettivamente a -0,91, -0,23, +0,09 per cento.
Negli Stati Uniti la giornata finanziaria è stata resa caotica dalla diffusione di una notizia completamente falsa che ha avuto un grosso impatto sui mercati per un breve periodo di tempo, ovvero che Trump stesse considerando di posticipare i dazi di 90 giorni. È partita da un’intervista che Kevin Hassett, il principale consigliere economico dell’amministrazione Trump, ha dato a Fox News. Rispondendo proprio a una domanda sulla possibilità del rinvio (di cui si parla da qualche giorno), Hassett ha detto: «Sì…penso che il presidente deciderà quello che deciderà».
Quel “sì”, usato in realtà chiaramente come un intercalare, è stato interpretato come una conferma: la notizia si è diffusa prima sui social (non è chiaro a partire da quale account) e poi è stata rilanciata dalla rete televisiva CNBC e dall’agenzia stampa Reuters. Per un breve lasso di tempo il valore delle azioni statunitensi è aumentato moltissimo, dato che molti azionisti avevano visto nel rinvio una notizia positiva, ma si è ridotto di nuovo con la smentita della Casa Bianca arrivata poco dopo. CNBC e Reuters hanno riconosciuto l’errore.
Le borse hanno risentito della decisione di Trump perché gli investitori temono che i dazi possano compromettere i commerci globali e inneschino una recessione. Il 5 aprile erano entrati in vigore dazi generalizzati del 10 per cento, e il 9 aprile dovrebbero essere introdotte altre tasse per diversi paesi. Domenica sera Trump ha definito i nuovi dazi «una medicina» necessaria a risolvere la cronica dipendenza dall’estero degli Stati Uniti: la dichiarazione è stata interpretata come una conferma del fatto che non ha intenzione di ritrattare e vuole anzi andare avanti con l’introduzione dei dazi.
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Il calo degli indici di borsa dipende da meccanismi di domanda e offerta, che determinano il prezzo a cui sono venduti i titoli. Semplificando, il prezzo di un determinato titolo – l’azione di una società, per esempio – scende quando molti vogliono venderlo, visto che per trovare qualcuno che voglia comprarlo bisognerà abbassarne il prezzo. In questo momento gli investitori cercano di liberarsi dei titoli delle aziende più legate al commercio con gli Stati Uniti, come le società tecnologiche, quelle automobilistiche e le industrie, e di quelle che rischiano di essere più impattate da un’eventuale recessione, come le banche.
Nella borsa italiana – che venerdì era stata la peggiore tra quelle europee – sono proprio le banche ad avere subìto i cali maggiori: BPER, Unicredit, Intesa Sanpaolo, MPS, tra le altre, hanno perso tra il 2 e il 6 per cento, dopo che nelle prime ore avevano superato addirittura il 10.
Sono andati male anche i titoli legati all’industria, come Saipem e Stellantis, che hanno perso entrambi più del 5 per cento del loro valore. Il prezzo delle azioni di Leonardo è sceso del 2,85 per cento, dopo che in apertura era arrivato a perdere più del 12. Lo stesso è accaduto nel resto dei mercati europei: per esempio in Germania la grande azienda di armi Rheinmetall ha perso il 3,4 per cento, dopo che in apertura aveva raggiunto un calo del 27 per cento.
I mercati asiatici hanno avuto tra le più ampie perdite dalla crisi del 2008: sono arrivate al 7 per cento per l’indice Nikkei, il principale del mercato giapponese; quasi al 14 per cento per l’Hang Seng, quello della borsa di Hong Kong; e a più del 7 per cento alla borsa di Shanghai, che ha accumulato anche i cali evitati venerdì grazie alla chiusura dei mercati finanziari per una festività cinese. Tra le azioni più penalizzate ci sono state quelle di Nintendo e Sony, delle società di chip di Taiwan, della società di logistica Alibaba, e di diverse aziende automobilistiche. Le azioni delle grandi banche internazionali quotate a Hong Kong sono arrivate a perdere anche il 17 per cento del loro valore; quelle di MUFG, il più grande gruppo finanziario giapponese e tra i più grandi al mondo, più del 10.
Le vendite sono comunque generalizzate e stanno colpendo anche le materie prime, come petrolio e rame: è molto frequente che il loro prezzo scenda quando gli investitori temono una possibile recessione, che implicherebbe minor uso di materie prime nel settore industriale e peggiori prospettive di profitto.
Sono in calo anche i prezzi delle principali criptovalute, che avevano beneficiato di mesi di rialzi per le promesse di Trump a favore del settore: il prezzo di un bitcoin è di 72mila dollari, e ha azzerato tutti i guadagni fatti dall’elezione di Trump a inizio novembre.
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