Su Google cerchiamo le risposte che preferiamo

I motori di ricerca assecondano i pregiudizi contenuti nelle domande, ma secondo un nuovo studio potrebbero mitigarli fornendo risultati più ampi

Tre anziani tifosi dell'Everton consultano uno smartphone in attesa di entrare nello stadio
Un gruppo di tifosi dell’Everton fuori dallo stadio Goodison Park, a Liverpool, il 26 novembre 2023 (Colin McPherson/Getty Images)
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Le domande poste sui motori di ricerca hanno spesso questa forma: «quali sono i benefici della caffeina?», «quali sono i pericoli dell’energia nucleare?». Sono domande che contengono già un pezzo della risposta: in questo caso, il presupposto che assumere caffeina sia salutare e che utilizzare energia nucleare comporti dei pericoli. Ogni volta che rispondono a domande del genere, i motori di ricerca selezionano tra i risultati sia le risposte più pertinenti sia quelle più complete, mostrando prima le une o prima le altre a seconda di vari fattori.

Tendenzialmente, se dai risultati emerge che l’assunzione di caffeina ha in effetti dei benefici, i motori di ricerca danno maggiore visibilità a quei risultati rispetto a quelli che descrivono anche i rischi. Il criterio della pertinenza della risposta ha insomma priorità su quello della completezza. Questa tendenza può però rafforzare eventuali pregiudizi contenuti nelle domande degli utenti, come è emerso da una recente ricerca statunitense di psicologia e scienze cognitive pubblicata sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS).

L’autrice e l’autore della ricerca, Eugina Leung e Oleg Urminsky, hanno condotto 21 diversi esperimenti su un campione totale di 9.906 partecipanti. Gli esperimenti servivano a esaminare in che modo le abitudini di ricerca delle persone e gli algoritmi dei motori di ricerca influenzassero le convinzioni iniziali dei partecipanti. Ciascuno e ciascuna di loro doveva effettuare una serie di ricerche per avere maggiori informazioni su argomenti predefiniti di politica, salute, finanza e altro. Nei primi esperimenti le ricerche utilizzavano termini scelti liberamente dai partecipanti, mentre nei successivi le ricerche includevano modifiche introdotte dagli sperimentatori.

Le ricerche riguardavano argomenti come la caffeina, l’energia nucleare e i bitcoin. Quando i partecipanti erano liberi di scegliere le parole chiave da usare, dal loro modo di formulare le domande emergeva spesso quello che Leung e Urminsky hanno definito «effetto di ricerca ristretta».

In oltre un quarto dei casi, cioè, le persone limitavano da subito la ricerca o solo agli aspetti negativi o solo a quelli positivi di ciascun argomento, sulla base delle loro convinzioni preesistenti. E questo approccio, stando ai risultati di un sondaggio di verifica condotto in un secondo momento, riduceva notevolmente l’ampiezza dei risultati mostrati sui motori di ricerca e la propensione dei partecipanti a modificare la loro idea iniziale.

Alcuni segni dell’effetto di ricerca ristretta erano emersi anche da un’analisi delle ricerche su Google condotta da Leung e Urminsky nel periodo tra le elezioni presidenziali statunitensi del novembre del 2020 e l’insediamento dell’ex presidente Joe Biden a gennaio del 2021. I dati mostrarono che maggiore era la quantità di voti repubblicani in uno stato, più era probabile che gli utenti in quello stato cercassero su Google «Trump ha vinto» rispetto a «Biden ha vinto». Gli utenti dei motori di ricerca, scrivono Leung e Urminsky, tendono a formulare domande da cui si aspettano una risposta positiva che può rafforzare, non indebolire, la loro ipotesi di partenza.

Trovare una risposta a una domanda attraverso un motore di ricerca può essere in generale un’esperienza piuttosto frustrante: annunci pubblicitari e contenuti scadenti e tutti uguali richiedono spesso di fare slalom tra i risultati. È il motivo che ha indotto, per esempio, la giornalista esperta di tecnologia Joanna Stern a smettere di usare Google per passare con soddisfazione all’uso dei chatbot basati sull’intelligenza artificiale: lo ha scritto di recente sul Wall Street Journal.

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Data quindi la crescente popolarità dei motori di ricerca basati sull’AI, per i loro vari esperimenti Leung e Urminsky non hanno utilizzato soltanto Google, ma anche ChatGPT e la funzione di ricerca su Bing basata sull’AI.

L’effetto di ricerca ristretta tendeva a verificarsi comunque, anche se in alcuni casi la risposta fornita dall’AI era più equilibrata rispetto ai primi risultati mostrati nelle ricerche sui motori tradizionali. La risposta di ChatGPT alla domanda sui benefici della caffeina per la salute, per esempio, includeva un’avvertenza finale sui rischi dovuti a un’assunzione eccessiva. Quell’avvertenza non aveva però effetti significativi sulla propensione dei partecipanti a cambiare idea di partenza.

Per cercare di scoprire cosa invece potesse indurre i partecipanti ad ampliare le loro conoscenze, l’autrice e l’autore della ricerca hanno condotto un altro esperimento in cui a una metà dei partecipanti veniva suggerito di approfondire la prima ricerca includendo termini diversi rispetto a quelli che avevano scelto spontaneamente. Se avevano cercato informazioni riguardo ai benefici della caffeina, per esempio, veniva detto loro di cercarne anche riguardo ai rischi. Nemmeno questo tipo di azione degli sperimentatori aveva però effetti sulla propensione dei partecipanti a cambiare idea, che era simile a quella del gruppo che si era limitato a una sola ricerca.

Soltanto in un’ultima serie di esperimenti è emersa una tendenza dei partecipanti a mettere in discussione le loro convinzioni iniziali: quando utilizzavano un motore di ricerca il cui algoritmo era stato “corretto” dagli sperimentatori in modo da mostrare risultati più ampi ed eterogenei (sia i benefici sia i rischi), indipendentemente da quali termini di ricerca avessero utilizzato gli utenti. Gli sperimentatori si aspettavano che in questo caso gli utenti potessero giudicare non del tutto pertinenti i risultati: il livello di soddisfazione era invece sostanzialmente uguale a quello riferito da chi aveva utilizzato motori di ricerca non modificati.

«Quando la tecnologia dell’informazione è progettata per fornire loro informazioni più ampie, le persone sono più inclini ad aggiornare le loro convinzioni dopo la ricerca», scrivono Leung e Urminsky. I risultati della loro ricerca mostrano che «cambiamenti strutturali» degli algoritmi di ricerca possono mitigare i pregiudizi di conferma degli utenti più facilmente rispetto ad altri interventi. Il che non significa che ampliare i risultati della ricerca generi dei vantaggi sempre e comunque.

Ci sono dei casi in cui l’utilità del motore di ricerca dipende strettamente dalla capacità di andare diritto alla risposta ed escludere le informazioni irrilevanti. Se una persona sta cercando gli orari di apertura delle visite della Torre Eiffel, per esempio, fornire tra le risposte l’altezza della Torre Eiffel potrebbe essere inutile o persino creare confusione.

Comprendere come il funzionamento dei motori di ricerca influenzi le credenze delle persone è in generale piuttosto complicato, concludono l’autrice e l’autore della ricerca, perché molto dipende dal contesto. Una stessa risposta ampia potrebbe aumentare l’esposizione alla disinformazione per alcuni utenti e diluire quella che condiziona le convinzioni iniziali di altri. Non basare lo sviluppo dei motori di ricerca soltanto sulla pertinenza delle risposte, ma anche sulla credibilità delle fonti, può però semplificare l’accesso a conoscenze più approfondite e promuovere la diffusione di convinzioni più informate.