Cancellare trentamila vecchie leggi in un colpo solo

Con un disegno di legge che abolisce regi decreti e altre norme obsolete, che si aggiungono alle circa 94mila che già non ci sono più

La ministra per le Riforme Maria Elisabetta Alberti Casellati col ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli a Palazzo Chigi, il 2 febbraio 2023 (Roberto Monaldo/LaPresse)
La ministra per le Riforme Maria Elisabetta Alberti Casellati col ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli a Palazzo Chigi, il 2 febbraio 2023 (Roberto Monaldo/LaPresse)
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Martedì pomeriggio poco più di trentamila vecchie leggi sono state abrogate. Tutte insieme. È avvenuto per effetto di un disegno di legge voluto dal governo, e in particolare dalla ministra per le Riforme istituzionali Maria Elisabetta Alberti Casellati, che era già stato approvato dalla Camera nel novembre scorso e che ora anche il Senato ha votato. Le norme che sono state abrogate si aggiungono alle circa 94mila già soppresse, su un totale di 204.272 entrate in vigore dal momento dell’Unità d’Italia, nel 1861, secondo un censimento aggiornato al 12 aprile 2023: ben più della metà dei provvedimenti approvati, dunque, non esiste più.

Sfoltire e semplificare il corpo di norme che uno Stato possiede è un’esigenza che nel corso degli ultimi trent’anni è stata avvertita sempre più, e che governi di orientamento diverso hanno fatto propria: abrogare norme non più in vigore o di fatto anacronistiche serve a rendere più agevole e ragionevole l’azione di chi deve farne di nuove, di leggi, o deve fare applicare quelle esistenti. Ma è un’operazione sempre delicata, che richiede sapienza e cautela.

Il disegno di legge abroga, in particolare, norme che risalgono a prima dell’istituzione della repubblica. Si tratta per lo più di regi decreti, ma ci sono poi anche leggi di rango diverso: regi decreti legislativi, regi decreti-legge, decreti e decreti-legge luogotenenziali, decreti del «Capo del governo e del Duce del Fascismo», cioè quelli emanati durante il regime fascista da Benito Mussolini.

Hanno nomi in parte analoghi ai provvedimenti utilizzati oggi, ma la loro classificazione, il loro rango (cioè l’importanza sul piano giuridico), la loro stessa interpretazione pongono grosse incertezze ormai, anche perché quelle norme riflettono la Costituzione in vigore prima di quella repubblicana attuale, e cioè lo Statuto albertino. Sulla base dello Statuto, il potere legislativo era esercitato collegialmente dal re e dalle camere, ma la prassi aveva portato a procedure assai poco lineari: in certi casi, soprattutto per quel che riguarda i regi decreti (cioè quelli emanati direttamente dal re, senza che necessariamente poi le camere li convertissero in legge nei tempi stabiliti) solo comprendere i riferimenti normativi tra una legge e l’altra, e stabilire se una certa norma sia applicabile oppure no, è difficile; ancor più difficile è decidere in che modo si possano integrare o modificare quelle norme.

– Leggi anche: La prima delle leggi razziali fasciste

I regi decreti-legge e i regi decreti legislativi erano ugualmente emanati dal re, ma dopo una deliberazione del Consiglio dei ministri che poteva avvenire in maniera autonoma nei casi di urgenza o su delega da parte delle camere. I decreti e gli altri provvedimenti luogotenenziali sono quelli emanati in un regime particolare in cui a esercitare le prerogative del sovrano erano altre persone (i cosiddetti luogotenenti, appunto): nello specifico, il principe Tommaso di Savoia-Genova a cui Vittorio Emanuele III delegò le proprie funzioni mentre lui era impegnato al fronte durante la Prima guerra mondiale; e poi Umberto, figlio di Vittorio Emanuele III, che tra il maggio del 1944 e il giugno del 1946 fu detentore dei poteri reali su mandato del padre, nella fase di transizione tra monarchia e repubblica.

Tra i regi decreti c’è un po’ di tutto. Norme che istituiscono o disciplinano enti, società o istituzioni non più esistenti. Norme che istituiscono imposte comunali ormai soppresse (il regio decreto 185 del 1861 autorizza il comune di Massa a imporre un pedaggio sul trasporto dei marmi e quello di Codigoro, nel ferrarese, a riscuotere una tassa sui cani). Norme che definiscono i nomi di comuni che non ci sono più o che hanno già cambiato denominazione (il regio decreto 1118 del 1882 autorizza il comune bolognese di Porretta, ora frazione del comune di Alto Reno Terme, ad assumere la denominazione di Bagni della Porretta) o che non sono sotto la giurisdizione italiana (il regio decreto 2140 del 1926 riunisce in un unico comune quelli di Nacla San Maurizio e di Roditti, a pochi chilometri da Trieste, che però ora sono in territorio sloveno). Norme che autorizzano la ratifica di trattati internazionali privi ormai di effetto perché soppiantati da nuovi accordi o da nuove disposizioni del diritto internazionale (il regio decreto 1631 del 1864 dà esecuzione al Trattato di commercio e navigazione tra Italia e Russia; il 2487 del 1925 definisce l’accordo tra Italia e Spagna sull’emigrazione). I temi sono i più disparati: dalla sicurezza pubblica, alla cultura, alla pubblica amministrazione, e poi difesa, finanze, trasporti e infrastrutture.

L’ex ministro per la Funzione pubblica, Franco Bassanini, uno dei primi a promuovere una riduzione delle norme obsolete nel 1997 (Mauro Scrobogna/LaPresse)

Questa ipertrofia normativa appesantisce la burocrazia, che in Italia è già abbastanza inefficiente di per sé, e complica il lavoro di funzionari pubblici, dei parlamentari, dei giudici. Per questo fin dalla metà degli anni Novanta si è iniziato a pensare a come semplificare l’enorme complesso di leggi in vigore. Nel 1997 il ministro della Funzione pubblica Franco Bassanini, nella prima delle leggi che portano il suo nome, inserì una procedura annuale di semplificazione, così da snellire di volta in volta i provvedimenti che riguardavano i vari settori e i vari procedimenti amministrativi. I governi di Silvio Berlusconi, a partire dal 2005 col ministro Luigi Mazzella e poi soprattutto dal 2008 col ministro Roberto Calderoli, si concentrarono molto sulla semplificazione normativa.

Nel 2005 venne promosso un censimento delle norme esistenti, e a partire dai risultati di quella ricerca venne applicata la cosiddetta «ghigliottina», ovvero un procedimento di abrogazione generalizzata di norme pubblicate in Gazzetta Ufficiale prima del 1970 e che venivano considerate obsolete, anche in virtù della loro scarsa applicazione, e dunque eliminabili. Lo stesso procedimento dava al governo il mandato di stabilire, nel giro di un anno, se alcune di quelle norme erano considerate indispensabili, e dunque andassero salvate. Il meccanismo fu contestato da alcuni giuristi, perché esponeva molte norme al rischio di una eliminazione sommaria e indiscriminata. Furono infatti necessari vari interventi correttivi e poi, nel dicembre del 2009, venne approvato un decreto-legge specifico che salvaguardò 3.300 atti normativi antecedenti al 1970.

Nel 2010 il ministro leghista per la Semplificazione normativa, Calderoli, accatastò nel piazzale delle Scuole Antincendi dei vigili del fuoco, a Roma, circa 150 scatoloni di carta che rappresentavano idealmente le 35.000 norme di vario rango da lui abolite nei mesi precedenti: con un lanciafiamme dette fuoco a quella muraglia di carta, che poi abbatté con un piccone. Nuove leggi di semplificazione, prive di relativa messa in scena fiammeggiante, furono poi adottate dal 2012 in avanti, ma quasi sempre con abrogazioni più puntuali e specifiche. Ma soprattutto, dal 2008 in poi, si è provveduto a riordinare il corpo delle leggi, con alcune norme cosiddette «di riassetto» che hanno riguardato vari settori, dal processo amministrativo alle leggi antimafia, dal turismo ai contratti pubblici, dalla crisi d’impresa alle piante officinali. Sono stati almeno 21 gli interventi fatti in questo senso, tre nel solo 2024.