Chi sta occupando la casa di “I morti” di Joyce?
Da mesi nell'edificio di Dublino dove è ambientato il suo racconto più celebre ci sono slogan e volantini di un gruppo che sembra vicino ai movimenti anti-migranti

Da mesi a Dublino, in Irlanda, una casa strettamente legata al noto scrittore James Joyce è occupata da un gruppo misterioso: non si sa di certo chi siano o cosa rappresentino, ma almeno alcune delle loro richieste sono simili a quelle dei gruppi contrari all’immigrazione. Dopo un lungo stallo, domenica c’è stata una piccola novità: i proprietari dell’immobile hanno detto di essere disposti a cederlo allo Stato, una proposta che potrebbe mettere fine a lunghe discussioni su come usarlo.
La casa è quella dove è ambientato il racconto “I morti”, uno dei più noti della raccolta Dubliners (“Gente di Dublino” nel titolo italiano). È un edificio in mattoni al numero 15 di Usher’s Island, sul lungofiume, come scrive proprio Joyce nel suo racconto. La casa è uno dei più importanti luoghi associati allo scrittore nella sua città natale, ma è da tempo lasciata a se stessa, e negli ultimi anni se n’è parlato soprattutto per le proteste contro i piani (fermi) per farne un ostello o un complesso d’appartamenti. Secondo John Francis McCourt, presidente dell’International James Joyce Foundation, «c’è una totale mancanza di sensibilità verso questo palazzo storico», nonostante sia quello in cui è ambientato «il racconto breve forse più famoso della letteratura del ventesimo secolo».

L’ingresso della casa al numero 15 di Usher’s Island a Dublino, nell’agosto del 2016 (Robert Alexander/Getty Images)
Ripartiamo dall’inizio. A fine Ottocento l’immobile era di proprietà delle prozie materne di Joyce, che si ispirò ai ricordi delle festività natalizie passate lì per scrivere “I morti” (The Dead nel titolo originale). La casa ha cinque piani, fu costruita attorno al 1775 e divenne famosa dopo la pubblicazione di Dubliners, nel 1914. Nel Novecento rimase a lungo disabitata e negli anni Novanta fu danneggiata da un incendio. Quando nel 2000 fu comprata da Brendan Kilty, un avvocato appassionato di Joyce, non aveva più il tetto. Kilty raccontò in un’intervista di averla potuta visitare quand’era uno studente nel 1979, perché conosceva qualcuno che aveva le chiavi, e di essersi ripromesso di ripararla.
Kilty la trasformò in un centro culturale e ci organizzò eventi legati allo scrittore, ma nel 2017 fallì e fu costretto a venderla a investitori privati per 650mila euro. Fu la fine dell’apertura al pubblico, che è stata una parentesi assai breve rispetto alla storia della casa. Da allora ci sono state varie mobilitazioni e raccolte firme che hanno chiesto di farne un museo, senza successo. La più famosa avvenne nel 2019 contro il progetto della nuova proprietà di convertirla in un ostello da 54 camere: se ne parlò anche all’estero perché aderirono alcuni dei più noti scrittori irlandesi, tra cui Sally Rooney e Colm Tóibín, e non solo, come Salman Rushdie e Ian McEwan.
Ai tempi McCourt, dell’International James Joyce Foundation, scrisse sull’Irish Times che «i nostri grandi scrittori sono l’equivalente irlandese delle piramidi per l’Egitto, o del Colosseo per Roma». Intendeva che il governo si fa vanto della tradizione letteraria irlandese a fini di promozione turistica, salvo non proteggerla adeguatamente. La scorsa estate c’era stata un’altra raccolta firme quando l’ultimo proprietario, l’ex allenatore di calcio gaelico Séamus McEnaney, aveva chiesto al Comune di Dublino il permesso di costruire una decina di appartamenti nella casa.
Dalla fine di luglio del 2024 la casa è occupata, ma non si capisce bene da chi. Dietro almeno una finestra è comparsa una bandiera irlandese e sono stati affissi volantini che rivendicano l’occupazione a nome di un gruppo chiamato Independent Minds (“menti indipendenti”). Sia la bandiera sia i volantini sono ancora lì, e leggendoli si ha l’impressione che il gruppo abbia obiettivi piuttosto confusi. Usano però una retorica populista simile a quella delle formazioni anti-migranti: fanno una tirata contro «tutti i tipi di corruzione», ma anche contro il problema dei senzatetto e della crisi abitativa che a Dublino va avanti da mesi.
Lo scorso 23 marzo un portavoce di Independent Minds ha detto al quotidiano britannico The Times che al momento nella casa ci sono circa dieci cittadini irlandesi senzatetto. Alcuni giornalisti sono andati nell’abitazione e hanno trovato la porta socchiusa: una donna è scesa, ma non ha voluto commentare.
Come detto domenica c’è stato un nuovo sviluppo, perché il proprietario McEnaney ha detto all’emittente pubblica RTÉ di essere pronto a vendere la casa al governo o al Consiglio nazionale delle Arti, un’agenzia governativa. Non è chiaro però se, né eventualmente quando e come, la proposta potrà concretizzarsi.
McCourt, che è anche professore di Letteratura inglese e rettore dell’università di Macerata, oggi è piuttosto scoraggiato. «Nel 2019 avevamo fatto campagna per bloccare la distruzione delle parti interne del palazzo, scomodando mezzo mondo, però era andata a finire nel nulla. Il governo non aveva voluto saperne». Il fatto che il governo che si è insediato lo scorso gennaio sia formato dagli stessi partiti centristi di quello precedente – Fine Gael (centrodestra) e Fianna Fáil (centro) – non aiuterà a cambiare approccio.
Uno dei problemi di preservare i luoghi di Joyce in città è che lo scrittore visse in una ventina di case di Dublino, città dove nacque nel 1882 e da cui se ne andò a 22 anni per tornarci solo in pochissime occasioni. Dopo più di cent’anni, molti dei palazzi o dei posti citati nelle opere di Joyce non ci sono più. Il caso più noto è la casa di Eccles Street dove (nel libro) abita il protagonista dell’Ulisse, Leopold Bloom, e la moglie Molly: negli anni Sessanta fu demolita nei lavori di ampliamento dell’Ospedale universitario “Mater Misericordiae”. Nessuno di questi luoghi, però, ha la stessa rilevanza letteraria della casa di Usher’s Island.
Quando ci fu la prima mobilitazione, nel 2019, David Norris (uno degli altri principali studiosi di Joyce) spiegò alla BBC che la faccenda era a suo modo emblematica della diversa considerazione ormai acquisita dallo scrittore in patria. Per larga parte del Novecento l’establishment politico e culturale lo considerò un autore sovversivo e per certi versi anti-irlandese: «Solo negli ultimi anni è diventato così popolare… in parte per gli introiti che ha generato per il turismo», disse Norris.
Anche McCourt è d’accordo: «Joyce viene spremuto fino all’ultima goccia dall’apparato culturale irlandese», dice. «Chi viene a visitare la città resta sbalordito dallo stato di abbandono e dalla mancanza d’interesse. Uno scrittore simile, in un altro paese, l’avrebbero valorizzato meglio». L’attenzione mediatica sulla casa di “I morti” potrebbe contribuire a cambiare le cose, almeno in parte.
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