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  • Sabato 29 marzo 2025

Le caotiche ricerche dei dispersi per il terremoto in Myanmar

Le vittime accertate sono più di 1.600, ma è probabile che siano molte di più: le squadre di soccorso sono impegnate tra le macerie dei palazzi

Soccorritori impegnati nelle ricerche sotto un palazzo dopo il terremoto in Myanmar
Soccorritori impegnati nelle ricerche sotto un palazzo dopo il terremoto in Myanmar (AP Photo/Aung Shine Oo)
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In Myanmar sono in corso le ricerche dei dispersi per il terremoto di magnitudo 7.7 avvenuto venerdì: secondo le ultime informazioni diffuse dalla giunta militare che governa il paese, i morti accertati sono più di 1.600 e i feriti sono oltre 3.400. È però probabile che siano numeri sottostimati. Molte zone sono difficili da raggiungere perché manca l’elettricità oppure perché sono zone controllate dai ribelli e la giunta ha staccato la connessione a internet. Inoltre il terremoto ha interrotto molti collegamenti, causando il crollo di ponti e l’apertura di grosse voragini nelle strade, rendendole impercorribili.

Le ricerche per i soccorsi proseguono in modo improvvisato e caotico. A causa della quasi totale assenza di servizi se ne sta occupando principalmente la popolazione, che sta scavando anche a mani nude. A Mandalay, la seconda città più grande in Myanmar e quella più vicina all’epicentro, sabato mattina hanno cominciato ad arrivare volontari provenienti da altre zone del paese per portare scorte di cibo e altri beni di prima necessità. Queste ore sono fondamentali per riuscire a estrarre le persone vive rimaste sotto le macerie. Sabato una donna è stata estratta dopo 30 ore dai detriti di un condominio crollato a Mandalay.

Si sono mobilitati anche i medici che fanno parte del Movimento di disobbedienza civile, un gruppo dissidente che proviene da aree del paese controllate dai ribelli. Dal colpo di stato militare del 2021 in Myanmar è iniziata una guerra civile, e oggi molte aree sono controllate da gruppi dissidenti, mentre la giunta rimane in controllo principalmente delle grosse città. Sabato, nonostante gli effetti devastanti del terremoto, l’esercito ha continuato a condurre attacchi aerei nelle zone occupate dai ribelli.

A Mandalay e in altre zone del paese le persone si stanno preparando a rimanere senza elettricità per diversi giorni: si stanno formando code alle pompe di benzina, dove si recupera il carburante per i generatori. Nella capitale Naypyidaw la situazione è simile: qui il crollo della torre di controllo dell’aeroporto ha causato sei morti. L’aeroporto rimane chiuso.

Gli ospedali della città sono colmi di persone. Già dall’arrivo dei primi feriti è stato difficile trovare sangue per le trasfusioni, bende e altri materiali essenziali. Molte persone hanno ricevuto le cure per terra o nel parcheggio della struttura, con temperature superiori ai 35 gradi. Al momento tutti gli ospedali della città sono sovraccarichi, quindi numerosi feriti stanno venendo trasportati nell’ospedale di Pyin Oo Lwin, una città a due ore di distanza da Mandalay.

Pazienti fuori dall’ospedale di Naypyidaw, 29 marzo 2025 (AP Photo/Aung Shine Oo)

I danni del terremoto sono arrivati fino a Bangkok, la capitale della Thailandia, a mille chilometri di distanza. I molti grattacieli della città hanno oscillato pericolosamente, gettando acqua dalle piscine delle terrazze. Uno di questi, ancora in costruzione, è crollato in pochi secondi: sono morte almeno 8 persone e decine sono ancora disperse. Molti degli operai del cantiere erano lavoratori migranti provenienti proprio dal Myanmar. Secondo i soccorritori ci sono persone ancora in vita intrappolate sotto le macerie, e si sta facendo il possibile per recuperarle (i soccorsi in Thailandia sono però decisamente più organizzati).

La situazione in Myanmar è talmente disastrosa che la giunta militare venerdì ha chiesto aiuto ai paesi stranieri: è un fatto eccezionale, anche perché dal colpo di stato del febbraio 2021 il Myanmar è un paese isolato e con pochissimi rapporti internazionali. Più paesi hanno già cominciato ad attivarsi, a partire da Cina e India, che confinano rispettivamente a est e a ovest con il Myanmar.