Le rare proteste contro Hamas nella Striscia di Gaza
Centinaia di palestinesi hanno manifestato contro la guerra e alcuni hanno criticato il gruppo che dal 2006 controlla il territorio: è un fatto molto insolito

Martedì 25 marzo in alcune città della Striscia di Gaza ci sono state manifestazioni contro la guerra, in cui alcuni partecipanti hanno protestato contro Hamas, il gruppo che dal 2006 controlla il territorio. Alle manifestazioni hanno partecipato centinaia di persone palestinesi, e centinaia si sono riunite per protestare anche mercoledì.
Le proteste contro Hamas sono un fatto molto insolito per la Striscia di Gaza, soprattutto da quando è iniziata l’invasione israeliana. La manifestazione principale si è svolta a Beit Lahia, ma ci sono state proteste anche a Khan Yunis e Jabalia, nella parte settentrionale della Striscia. Alcuni manifestanti portavano cartelli con messaggi generici contro la prosecuzione della guerra, mentre altri hanno cantato slogan che chiedevano ad Hamas di andarsene dalla Striscia.
Tra gli abitanti di Gaza, almeno pubblicamente, la posizione prevalente è di fatto condivisa con Hamas: le responsabilità della morte, della distruzione e della fame che la guerra ha portato sono attribuite allo stato di Israele. Ma alcuni gruppi di persone ritengono che anche Hamas abbia una responsabilità nell’aver iniziato il conflitto, per aver compiuto l’attacco del 7 ottobre del 2023 contro Israele e per aver continuato a combattere piuttosto che rinunciare al potere in cambio di un cessate il fuoco.
Le proteste sono avvenute dopo che martedì scorso l’esercito israeliano aveva ricominciato a bombardare la Striscia violando il cessate il fuoco in vigore dal 19 gennaio. «Vogliamo continuare le proteste finché lo spargimento di sangue non cesserà e Hamas non lascerà la scena palestinese», ha detto al New York Times Ahmed al-Masri, un operaio edile di 35 anni che ha dichiarato di aver partecipato alle proteste. «Senza la cacciata di Hamas, la prossima guerra sarà solo questione di tempo», ha dichiarato Helal Warshagha, 27 anni, un attivista di Beit Lahia fuggito da Gaza prima del 7 ottobre: «Ne abbiamo abbastanza della guerra, della distruzione e delle uccisioni», ha aggiunto.
Sulle inedite proteste contro Hamas ha preso parola anche il consigliere del presidente dell’Autorità nazionale palestinese (ANP) Abu Mazen, Mahmoud Abbas: «Le manifestazioni nella Striscia di Gaza sono un grido dei residenti contro le politiche di Hamas», ha dichiarato alla tv saudita al Hadath. La soluzione sarebbe ripristinare il controllo nella Striscia dell’ANP, che è espressione di Fatah, il principale partito laico e moderato della scena politica palestinese che governa la Cisgiordania e che ha ufficialmente rinunciato all’uso della violenza e della lotta armata.
Su Telegram ha iniziato a circolare anche un appello per una nuova manifestazione di protesta che dovrebbe tenersi oggi, mercoledì 26 marzo: «Invitiamo tutti voi a prendere parte a una marcia popolare di rabbia, per rifiutare la guerra in corso e chiedere ad Hamas di allentare la presa sulla Striscia di Gaza, affinché le nostre continue sofferenze possano finire».
Hamas è un movimento islamista sunnita e fondamentalista. Nella Striscia di Gaza ha messo in atto molti principi della legge islamica. Ha istituito una “polizia morale”, ha vietato di consumare alcolici e ha imposto parecchie limitazioni alle donne, per esempio relative all’abbigliamento, e il divieto di girare accompagnate da uomini diversi dai propri parenti più stretti o dal proprio marito. A differenza di quanto spesso si pensa, però, Hamas non è un’organizzazione monolitica al suo interno: è divisa in varie correnti, con influenze consistenti da paesi esteri e finanziatori. Una delle correnti principali, meno radicale nella contrapposizione a Israele, è quella che fa riferimento al Qatar, mentre la fazione dei cosiddetti “iraniani” è più fedele allo statuto fondativo, che comprendeva la “distruzione di Israele” fra gli obiettivi.
Nel 2006 Hamas vinse le elezioni per eleggere il Consiglio Legislativo Palestinese (il Parlamento della Palestina) e nacque una contrapposizione con Fatah, il partito arrivato secondo alle elezioni e che aveva espresso fino a quel momento il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese. Tra Fatah e Hamas ci furono una serie di incidenti che portarono nel 2007 alla Guerra civile di Gaza, che di fatto provocò una divisione del governo palestinese (Hamas nella Striscia, Fatah in Cisgiordania), mai ricomposta nonostante alcuni tentativi di riavvicinamento.
Da quando ha preso il pieno controllo di Gaza, Hamas ha represso duramente il dissenso arrestando i critici e disperdendo con violenza le dimostrazioni contro le proprie politiche. Un rapporto del 2018 di Human Rights Watch ha accusato il gruppo di arrestare e torturare sistematicamente gli oppositori. Le critiche pubbliche ai leader di Hamas, dall’inizio dell’ultima invasione di Israele, sono state piuttosto rare. L’anno scorso Amin Abed, uno dei pochi oppositori di Hamas rimasti a Gaza, ha dichiarato di essere stato aggredito e picchiato dalle forze di sicurezza interne al gruppo. Si ritiene che Hamas abbia ancora il controllo di migliaia di combattenti armati nella Striscia nonostante gli sforzi di Israele per eliminare il gruppo.
Martedì il ministero della Salute della Striscia di Gaza, controllato da Hamas, ha annunciato che 792 persone sono state uccise dalla ripresa dei bombardamenti israeliani sul territorio palestinese, di cui 62 nelle ultime 24 ore, portando il bilancio totale dei morti dall’inizio della guerra a più di 50mila. Secondo un conteggio dell’AFP basato su dati ufficiali, l’attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre ha provocato la morte di 1.218 persone da parte israeliana. Dei 251 ostaggi presi nell’attacco, 58 sono ancora trattenuti nella Striscia di Gaza e, secondo l’esercito israeliano, 34 di loro sono morti.
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