Cosa si sa del caso della donna morta nel Lazio dopo una liposuzione
La procura di Roma sta indagando su tre medici, tra cui il chirurgo, che era già stato condannato per lesioni colpose

Il 18 marzo a Roma una donna di 62 anni, Simonetta Kalfus, è morta per le conseguenze di una grave infezione. Dodici giorni prima si era sottoposta a un intervento estetico di liposuzione, un’operazione chirurgica che permette di eliminare il grasso da alcune zone del corpo tramite aspirazione. Si pratica attraverso l’inserimento di cannule nel tessuto sottocutaneo, il tessuto che si trova sotto la cute e che è sede del grasso superficiale. La procura di Roma, a seguito della denuncia presentata dalla figlia della donna, ha messo sotto indagine tre medici che, in diversi modi, avevano avuto un ruolo nella vicenda.
Simonetta Kalfus era un’ex dirigente bancaria in pensione e abitava ad Ardea, un comune vicino a Roma. Il 6 marzo, su consiglio di Francesco Iandimarino, un amico anestesista, si era rivolta al chirurgo estetico Carlo Bravi per una liposuzione ai glutei. Il giorno dopo l’operazione, eseguita da Bravi con l’assistenza di Iandimarino e avvenuta in uno studio privato in zona Tuscolana a Roma, la donna aveva cominciato a stare male. Pensando fossero le normali conseguenze dell’operazione aveva preso alcuni antibiotici. In quei giorni sia Bravi che Iandimarino erano andati a trovarla più volte a casa, e l’avevano sottoposta ad alcune flebo, secondo quanto raccontato dalla figlia di Kalfus: «Ma mia mamma stava male, il 13 marzo non riusciva a parlare, le si storceva la bocca». La donna era stata dunque portata alla clinica Sant’Anna di Pomezia dove le erano state fatte delle analisi e dalla quale era stata subito dimessa con una terapia antibiotica. Non si sa che medicinali fossero stati somministrati alla donna tramite flebo, né quali analisi le fossero state fatte alla clinica.
Il giorno dopo Kalfus era di nuovo stata portata in ospedale, questa volta al Grassi di Ostia. Quarantotto ore dopo era entrata in coma e il 18 marzo era morta a causa di un’embolia che, stando alle indagini dei carabinieri di Anzio, sarebbe stata causata da un’infezione diffusa. Il Corriere della Sera racconta che l’autopsia, fatta all’istituto di medicina legale di Tor Vergata, ha confermato dal punto di vista clinico quanto descritto dalla figlia della donna nella denuncia: «Mia madre era piena di buchi, non solo sui fianchi ma ne aveva persino uno sotto il mento». E ancora: «Abbiamo ricostruito tutto con precisione leggendo le chat del suo telefonino con l’aiuto dei carabinieri. Inizialmente l’operazione doveva essere limitata ai glutei. Invece le hanno tolto grasso ovunque».
Nel frattempo la procura di Roma ha aperto un’inchiesta. Un gruppo di periti dovrà ora analizzare le cartelle cliniche di Kalfus per capire cosa è accaduto nei dodici giorni tra l’operazione e la morte. I carabinieri eseguiranno le verifiche insieme ai NAS, i Nuclei Antisofisticazioni e Sanità dell’Arma, sul luogo dell’intervento, per verificare se fosse a norma oppure no. I reati ipotizzati sono omicidio colposo, favoreggiamento e omissione di soccorso, e sono indagati tre medici: Francesco Iandimarino, l’anestesista dell’ospedale Grassi di Ostia amico della donna, sul quale l’ASL ha aperto un’inchiesta interna; Eleonora Valletta, medica della clinica Sant’Anna di Pomezia; e Carlo Bravi, il chirurgo che ha operato Kalfus.
Risulta che Bravi, 73 anni, sia già stato condannato a un anno per lesioni colpose nel 2024, pena sospesa, per aver sbagliato l’intervento al seno di una donna. Il 15 febbraio del 2023 i NAS erano intervenuti nello studio di Bravi a piazza Re di Roma mettendovi i sigilli a causa delle condizioni igienico-sanitarie che avevano riscontrato: nel verbale dei NAS, riporta Repubblica, si parla «di protesi mammarie abbandonate, ammassate l’una sull’altra, appoggiate alla rinfusa su una scrivania accanto a un computer, alcune infilate in sacchetti di plastica, altre adagiate su scatole di cartone, altre ancora vicino a contenitori generici, senza alcuna precauzione».
L’inchiesta si era poi evoluta con altre accuse a carico del chirurgo: la pubblico ministero Eleonora Fini aveva portato Bravi a processo con l’accusa di esercitare attività diagnostiche nel suo studio senza le necessarie autorizzazioni, in assenza di personale qualificato, e di aver utilizzato il timbro di un altro medico per una ricetta. Lo scorso settembre Bravi era stato condannato a un anno di reclusione per lesioni colpose aggravate. Aveva svolto un’operazione di mastoplastica completamente sbagliata nel 2017. Nelle motivazioni della sentenza si dice che la struttura sanitaria dove era stato eseguito l’intervento da parte di Bravi, in via Nazionale sempre a Roma, non era idonea «in quanto non sterile, non asettica e non fornita delle strumentazioni adeguate a fronteggiare l’attività svolta».



