I test rapidi tornano sempre più utili

La tecnologia dei test di gravidanza e poi di quelli per il coronavirus si sta rivelando piuttosto versatile

 (AP Photo/Rebecca Blackwell)
(AP Photo/Rebecca Blackwell)
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Alla fine degli anni Ottanta la messa in vendita di un sistema fai da te per controllare di essere incinta fece conoscere a milioni di persone i test a flusso laterale (LFT), una tecnologia che ci è diventata ancora più familiare negli anni più difficili della pandemia quando si controllava di essere contagiati o meno dal coronavirus. A circa quarant’anni di distanza dal loro arrivo sul mercato, aziende e gruppi di ricerca sono al lavoro per rendere gli LFT sempre più versatili e utili per diagnosticare velocemente malattie e infezioni, o per migliorare la sicurezza alimentare.

Dalla pandemia si trovano con maggiore facilità test rapidi per il ferro, il colesterolo, la vitamina D e altre sostanze nel sangue, ma anche per verificare se si è infetti con uno dei virus dell’influenza stagionale o ancora per una prima rilevazione di alcuni marcatori legati all’attività della tiroide. La maggior parte dei test costa intorno ai 15 euro, ma non sempre dà risultati molto affidabili e può comunque rendere necessari approfondimenti diagnostici. Per questo alcuni gruppi di ricerca vogliono svilupparne di nuovi, pur utilizzando una tecnologia nota da decenni, e che ha già avuto un certo impatto sulle nostre abitudini.

Il funzionamento degli LFT è relativamente intuitivo e ormai noto ai più proprio per via della pandemia. Si raccoglie un campione da analizzare – che sia qualche goccia di saliva, sangue o urina – lo si mescola con un reagente e se ne fanno cadere un paio di gocce nel pozzetto del tester. Dopo qualche minuto si ha il risultato: se ci sono due linee il test è positivo, se ce n’è una sola il test è negativo o non ha funzionato a dovere (lo si può capire a seconda di quale delle due linee si è colorata). Ciò che avviene all’interno del tester è invece meno intuitivo.

L’involucro di plastica ricopre una striscia di materiale assorbente, che fa spostare il liquido versato nel pozzetto verso il capo opposto del tester. Il campione passa in un’area che contiene anticorpi trattati con particolari sostanze e che si legano a ciò che si vuole rilevare, naturalmente se questo è presente nel campione. Il liquido cui ora si sono uniti gli anticorpi prosegue lungo la striscia e raggiunge la linea del test, reagendo con altri anticorpi e creando una banda colorata. Nel passaggio successivo, il liquido passa in un’area che è invece sensibile agli anticorpi, indipendentemente dalla presenza della sostanza da rilevare, in modo che si produca sempre una seconda linea colorata di controllo. Se questa non si colora, vuol dire che il test è difettoso o non è stato eseguito correttamente.

(NASA)

Nel 1988 questo principio di funzionamento fu usato per migliorare il primo test di gravidanza fai da te, che era stato messo in commercio tre anni prima dalla multinazionale Unilever, che all’epoca possedeva il marchio Clearblue. Il test originario consentiva di avere un risultato in circa 30 minuti, mentre quello messo in vendita nel 1988 e basato su LFT dava un risultato in circa tre minuti, con una riduzione dell’attesa di un momento particolarmente delicato. In seguito sarebbero stati introdotti miglioramenti riducendo ancora i tempi di attesa, ma per la maggior parte delle persone quella tecnologia rimase associata per lo più ai test di gravidanza, almeno fino alla pandemia quando si iniziarono a fare miliardi di test COVID.

A seconda dei casi, gli LFT offrono diversi livelli di sensibilità e specificità: la prima indica la capacità di rilevare correttamente la positività, la seconda la capacità di identificare correttamente i negativi. Come hanno notato in molti negli anni più difficili dell’emergenza sanitaria, non sono test perfetti, ma in diverse circostanze hanno permesso di diagnosticare velocemente l’infezione da coronavirus dando un contribuito a ridurre la sua circolazione.

Se i campioni di muco possono essere utili per rilevare la presenza di virus o batteri tipici di alcune malattie respiratorie, per altri test servono altre sostanze di partenza: gocce di sangue per una prima valutazione sulla presenza di ferro o di vitamina D nel sangue, oppure ancora feci per scoprire se si ha un’infezione da Helicobacter pylori, il principale responsabile dell’ulcera gastrica. Altri test sono stati sviluppati per rilevare la presenza di batteri pericolosi per la salute nell’acqua, come Escherichia coli, oppure la presenza di virus, batteri o altri patogeni che possono causare serie infezioni negli animali domestici.

Questi test permettono di scoprire la presenza di qualcosa, ma non la sua quantità. Non è ovviamente una limitazione da trascurare, ma per diversi gruppi di ricerca gli LFT offrono importanti opportunità per fare prevenzione e offrire assistenza a persone fragili e con particolari problemi di salute.

Nel Regno Unito sono state avviate due sperimentazioni di altrettanti test per la sepsi, una condizione in cui l’organismo non riesce a gestire correttamente un’infezione, che può rivelarsi letale. Il test è stato sviluppato per le persone con un sistema immunitario fortemente indebolito, per esempio a causa di alcuni trattamenti come quelli chemioterapici, e quindi più a rischio. Invece di misurare le tracce lasciate da un virus, il test è in grado di rilevare la presenza di particolari sostanze nel sangue come i neutrofili (un tipo di globuli bianchi) e proteine che possono indicare la presenza di un’infezione. In questo modo una persona sottoposta a chemioterapia può verificare da sé se alcuni sintomi siano riconducibili alla sepsi o ad altre cause, senza dover andare ogni volta in ospedale per fare un controllo.

L’altro test è stato invece sviluppato per rilevare la presenza di cellule immunitarie che hanno reagito di recente con un’infezione batterica. In questo caso potrebbe essere utilizzato direttamente nei pronto soccorso per diagnosticare la sepsi in pazienti che non mostrano ancora sintomi particolari.

Entrambi i test potrebbero essere impiegati per alleggerire il carico di analisi diagnostiche per il servizio sanitario britannico, riducendo i costi e offrendo al tempo stesso una migliore assistenza ai pazienti. I due LFT sono comunque ancora sperimentali e il rapporto tra costi e benefici dovrà essere valutati nei prossimi mesi dalle autorità sanitarie.

Nel corso della pandemia da coronavirus era emerso un importante problema ambientale legato all’impiego di miliardi di tester, realizzati in plastica e impossibili da riciclare. Per questo si sta valutando di utilizzare materiali diversi, come carta o plastica biodegradabile. Quest’ultima si degrada più velocemente rispetto alla normale plastica, ma considerato che i test hanno una data di scadenza relativamente breve non dovrebbero esserci problemi legati alla durata.

L’eventuale maggiore diffusione degli LFT ha fatto comunque sollevare altre perplessità legate all’affidabilità stessa dei test, che in molti casi non è comparabile con le analisi svolte in laboratorio. Tra falsi positivi e negativi, leggere correttamente gli esiti di questi test non è inoltre sempre semplice e questo potrebbe portare a un loro impiego scorretto. Potrebbero anche essere utilizzati senza effettive necessità, portando a spese superflue aggiuntive in un settore come quello della salute dove il marketing ha un certo peso.