Un’altra questione di costituzionalità sul “decreto Caivano”

Diversi giudici minorili si sono rivolti alla Corte costituzionale contestando il divieto di “messa alla prova”, l'ultimo a Roma: finora però gli è andata male

Il carcere minorile di Casal del Marmo a Roma, 15 settembre 2024 (Mauro Scrobogna /LaPresse)
Il carcere minorile di Casal del Marmo a Roma, 15 settembre 2024 (Mauro Scrobogna /LaPresse)

Un giudice del tribunale per i minorenni di Roma, Federico Falzone, ha sollevato una questione di costituzionalità su alcune parti del cosiddetto “decreto Caivano”, il decreto-legge approvato nel 2023 dal governo di Giorgia Meloni che ha introdotto diverse nuove misure per contrastare la criminalità minorile. Tra le altre cose il “decreto Caivano” vieta per alcuni tipi di reato l’istituto della “messa alla prova”, cioè la possibilità offerta a chi ha commesso un reato di estinguerlo completamente senza andare in carcere, concordando con il giudice un percorso di riabilitazione tramite studio o lavoro. Secondo Falzone questo divieto viola alcuni principi fissati dalla Costituzione, contrasta le indicazioni del diritto internazionale e rischia di annullare il percorso rieducativo dei minori a favore della sola punizione. Per queste ragioni il magistrato ha sottoposto la questione alla Corte costituzionale.

Non è la prima volta che un giudice solleva questo tipo di problema. Già un anno fa il tribunale per i minorenni di Bari aveva presentato la stessa questione alla Corte costituzionale, e anche quello di Trento aveva chiesto l’intervento della Corte. Tuttavia in entrambi i casi il decreto non era stato dichiarato illegittimo.

Le contestazioni di Falzone, che stando alle parti dell’ordinanza citate da Repubblica Roma riprendono anche quella del tribunale di Bari, nascono da un caso specifico di violenza sessuale di gruppo aggravata, avvenuto a Roma tra gennaio e febbraio del 2024, per cui è in corso un procedimento penale. Per questo reato, come per altri, prima dell’entrata in vigore del decreto Caivano i giudici potevano valutare caso per caso: se un minorenne si dimostrava realmente pentito, e dunque recuperabile, i giudici potevano applicare la messa in prova e affidarlo ai servizi della giustizia minorile per un percorso rieducativo. Altrimenti il minore veniva punito con la detenzione.

La messa alla prova è considerata un istituto particolarmente importante nella giustizia minorile, dal momento che dovrebbe favorire la riflessione del minorenne su quanto commesso e così anche il suo reinserimento nella società. Il “decreto Caivano” ha annullato la possibilità di applicarla nei casi di violenza sessuale di gruppo. Un giudice non può più quindi valutare il pentimento di un minorenne o la sua possibilità di recuperare: l’unica pena possibile per questo tipo di reato è la detenzione.

Falzone, che si sta occupando del caso romano, ha illustrato le sue ragioni in un’ordinanza inviata alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e ai presidenti di Camera e Senato, Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa. Per Falzone il divieto della messa in prova contrasta con almeno due articoli della Costituzione, il 31 e il 3. Rispetto al primo (in particolare la parte in cui recita la Repubblica «protegge […] l’infanzia e la gioventù favorendo gli istituti necessari a tale scopo]»), Falzone dice che il decreto Caivano sminuisce il ruolo rieducativo della giustizia penale minorile, che si esprime meglio appunto nella messa in prova piuttosto che nella detenzione.

Per il giudice inoltre il divieto della messa alla prova viola l’articolo 3, uno dei più importanti e noti della Costituzione che fissa il principio di uguaglianza formale e sostanziale, perché introduce una disparità di trattamento tra i reati. Per esempio, contesta Falzone, la messa in prova è ancora possibile per i minori colpevoli di associazione a delinquere di tipo mafioso, mentre non lo è per la violenza sessuale di gruppo. A questo proposito nell’ordinanza del tribunale di Bari si legge che «prevedere un catalogo di reati (tra cui la violenza sessuale aggravata) in relazione ai quali privare l’imputato della possibilità di accesso a questo istituto di recupero e reinserimento sociale […] costituisce un vulnus non solo di tutela e protezione del minore autore del reato, ma anche dell’intera collettività contro i rischi di una possibile recidiva».

Falzone cita poi altre sentenze della Corte costituzionale che hanno riconosciuto in passato il ruolo essenziale della messa alla prova, in cui si dice tra le altre cose che è un «istituto previsto per tutti i reati, anche quelli di gravità massima» e che «costituisce uno strumento particolarmente qualificante, rispondendo più di ogni altro alle indicate finalità della giustizia minorile». Infine, Repubblica Roma scrive che nell’ordinanza sono riportati diversi atti internazionali secondo cui la pena detentiva per i minorenni deve rappresentare l’ultima soluzione possibile. Questo principio è alla base di diverse convenzioni firmate anche dall’Italia.

Ora la Corte costituzionale dovrà esprimersi in merito alla questione sollevata da Falzone, dovrà cioè stabilire se la parte presa in esame del “decreto Caivano” è costituzionale oppure no. Tuttavia in due recenti sentenze in merito la Corte costituzionale ha giudicato inammissibile la stessa questione di legittimità presentata dal tribunale per i minorenni di Bari e non fondate quelle poste dal tribunale per i minorenni di Trento sullo stesso tema.

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