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  • Domenica 16 febbraio 2025

Cosa c’entra il monossido di carbonio con il ciclismo

C'è un utilizzo diagnostico, lecito e relativamente diffuso in medicina dello sport; e poi un altro losco, pericoloso e da poco vietato

(AP Photo/Jerome Delay)
(AP Photo/Jerome Delay)

Da lunedì 10 febbraio l’UCI, l’ente che regola e governa il ciclismo mondiale, ha vietato l’inalazione ripetuta – fatta fuori da specifici contesti medici – del monossido di carbonio, un gas molto tossico. La decisione è stata presa dopo mesi di dichiarazioni, spiegazioni e prese di posizione in merito a due specifici usi del monossido di carbonio nel ciclismo professionistico. Il primo è un uso diagnostico e funzionale alla misurazione della quantità di emoglobina nel sangue: è stato accertato che ci sia stato e l’UCI lo ha regolamentato meglio, ma non vietato del tutto. Il secondo invece non è stato accertato ed è ben più problematico perché sconfinerebbe nel doping ematico, dato che permette di aumentare la quantità di emoglobina per migliorare le prestazioni sportive. Se fosse stato usato in questo modo, comunque, sarebbe difficile dimostrarlo.

Le discussioni sul monossido di carbonio nel ciclismo sono cominciate sette mesi prima di questa decisione, quando il 12 luglio del 2024 un articolo del sito di settore Escape Collective scrisse che alcune squadre avevano «inalato monossido di carbonio per ottimizzare i loro allenamenti in altitudine» (allenamenti fatti per trarre benefici dalle diverse condizioni di pressione atmosferica). La data è importante: in quei giorni si era nel bel mezzo del Tour de France, l’evento annuale culmine del ciclismo mondiale, in cui gran parte delle attenzioni erano rivolte verso i ciclisti Tadej Pogačar e Jonas Vingegaard. Secondo Escape Collective, entrambe le loro squadre erano tra quelle di cui era accertato un qualche tipo di utilizzo del monossido di carbonio.

Da quell’articolo fino alla decisione dell’UCI sono successe molte cose. In questi mesi il monossido di carbonio è diventato un tema di discussione nel ciclismo professionistico, un argomento controverso: enti, squadre, ricercatori ed esperti si sono espressi sui suoi utilizzi, che per quel che se ne sa potrebbero esistere anche in altri sport.

La situazione è ancora complessa e non del tutto risolta: prima di tutto perché si parla di due diversi tipi di utilizzo, e tra uno e l’altro c’è un’enorme differenza; e poi perché finora al divieto imposto dall’UCI non ne corrisponde uno da parte della WADA, l’Agenzia mondiale antidoping.

Jonas Vingegaard durante l’ultimo Tour de France (AP Photo/Jerome Delay)

Il monossido di carbonio è una molecola composta da un atomo di carbonio e uno di ossigeno. Si genera dalla combustione incompleta (che avviene cioè senza abbastanza ossigeno) di materiali organici come carbone, legna e altri combustibili. È un gas inodore, incolore, insapore: tre caratteristiche che lo rendono impossibile da percepire con i nostri sensi, e quindi molto pericoloso. Nel corpo il monossido di carbonio si lega con grande efficacia all’emoglobina, la proteina che trasporta l’ossigeno dai polmoni al resto dell’organismo.

In genere nel nostro sangue c’è una percentuale minima di monossido di carbonio: è più alta per chi vive in zone inquinate, e lo è ancora di più per chi fuma. L’eccessiva inalazione di monossido di carbonio interferisce però con la capacità del sangue di trasportare l’ossigeno nel nostro corpo. Nei casi peggiori il risultato è la morte: si stima che il monossido di carbonio sia causa ogni anno, nel mondo, della morte di circa 30mila persone, centinaia solo in Italia.

La peculiare qualità del monossido di carbonio lo rende al contempo un efficacissimo strumento per misurare come e quanto il sangue riesca a trasportare l’ossigeno ai muscoli. È una tecnica nota come rebreathing (ri-respirazione) ed è usata anche al di fuori della medicina sportiva, per esempio con malati di patologie ematiche. La tecnica prevede di far inalare per pochi minuti una miscela contenente quantità minime di monossido di carbonio con l’obiettivo di usarlo come mezzo per misurare l’emoglobina. In contesti sportivi il rebreathing prima e dopo un allenamento può far capire quanto è stato efficace quell’allenamento.

Fatto così, non è doping. Perché, in breve, non altera in modo duraturo alcun parametro che migliori le prestazioni. E infatti l’UCI non l’ha vietato.

Il problema è che il monossido di carbonio ha, quantomeno a livello teorico, altri possibili utilizzi per scopi ben diversi dalla misurazione. È una questione delicata e ancora dibattuta in ambito scientifico, ma il principio è che inalazioni ripetute di piccole quantità di monossido di carbonio potrebbero stimolare l’organismo ad aumentare la produzione di globuli rossi. In estrema sintesi, per sopperire al fatto che parte dell’emoglobina è impegnata a trasportare monossido di carbonio, il corpo ne genera altra per garantire che tutto l’ossigeno necessario sia portato dove serve. Quando sparisce il monossido di carbonio, resta l’emoglobina in più. È lo stesso principio per cui gli atleti di certi sport vanno a fare ritiri in altura: incentivare il corpo a produrre globuli rossi da usare in seguito. Solo che anziché fare sport in montagna si inala un gas che può essere letale.

Fatta così, magari perfino con diverse assunzioni al giorno, l’inalazione di monossido di carbonio è doping. Qualcosa di simile all’assunzione di eritropoietina (o EPO): un ormone che fa produrre più globuli rossi, e un farmaco per chi ha insufficienze renali. O, quando a produrla non è il corpo umano, una sostanza dopante in passato molto usata nel ciclismo.

I primi usi di monossido di carbonio per misurare l’emoglobina risalgono ai primi anni del Novecento, ha scritto L’Équipe. Ma già da diversi anni c’è chi parla dei possibili usi di questo specifico gas in ambito ciclistico. Entrambi gli usi: nel 2020 l’ex ciclista Marco Pinotti raccontò a Cyclingnews che nel 2007 la sua squadra era in grado di «misurare indirettamente la massa di emoglobina attraverso un test di rebreathing del monossido di carbonio». In un articolo del 2013 il giornalista Marco Bonarrigo parlò sul Corriere della Sera di «monossido di carbonio inalato volontariamente per doparsi».

Nell’ultimo decennio c’è stata tuttavia una significativa evoluzione. A strumenti molto semplici (una siringa e un palloncino) dal 2015 si è sostituito un macchinario specifico: si chiama Detalo, è grande come una stampante e costa circa 50mila euro. La società che produce Detalo lo presenta come un macchinario usato da atleti e scienziati per «capire come un gran numero di fattori esterni influenzano il volume del sangue».

Tadej Pogačar (AP Photo/Peter Dejong)

La vera differenza l’ha fatta però l’articolo del luglio del 2024 di Escape Collective, che agli elementi già più o meno noti ne aggiungeva due importanti. Il primo era il fatto che pochi giorni prima, a Firenze, durante uno degli incontri del convegno “Science & Cycling” si era parlato di quanto l’inalazione ripetuta di monossido di carbonio potesse portare benefici simili a quelli dell’allenamento in altura. Il secondo era il fatto che c’era la certezza che tre squadre (la Visma | Lease a Bike di Vingegaard, la UAE Team Emirates di Pogačar e la Israel – Premier Tech) avessero «accesso a un costoso macchinario per il rebreathing» (Detalo).

L’articolo spiegava di non avere “prove concrete” dell’uso intensivo del monossido di carbonio da parte delle squadre; ipotizzava però che potesse succedere, e citava diverse fonti secondo cui il rischio era reale. Più in generale, la scelta stessa delle parole era ambigua: Escape Collective parlava per esempio di inalazione usata per «ottimizzare gli allenamenti in alta quota»: ma anche fare solo un test è “ottimizzare”. Le tre squadre confermarono a Escape Collective di aver usato il monossido di carbonio tramite Detalo come strumento diagnostico, di test e analisi.

L’articolo di Escape Collective fu ripreso, citato e riassunto con diversi gradi di accuratezza. Sta di fatto che, complice la concomitanza del Tour de France, la questione si fece parecchio notare. Le relative domande arrivarono presto anche ai diretti interessati. Vingegaard disse al giornale Politiken (danese come lui) che non c’era “niente di sospetto” nel rebreathing; Pogačar disse di «aver pensato ai tubi di scappamento» quando ne aveva sentito parlare pochi giorni prima. Il giorno successivo ritrattò in parte, dicendo di non aver capito bene la domanda postagli 24 ore prima: disse di aver fatto un solo test di «due o tre minuti» prima di un ritiro in quota, e di non aver nemmeno fatto il secondo (quello previsto a fine ritiro) «perché la persona che avrebbe dovuto presentarsi [per farglielo rifare] non si presentò».

Tutto questo succedeva mentre Vingegaard e ancor di più Pogačar stavano facendo prestazioni eccezionali, in uno sport che come il ciclismo è inesorabilmente associato al doping.

Nei mesi successivi ci sono state altre prese di posizione. Su tutte quella dell’MPCC, il movimento per un ciclismo credibile, un’associazione creata nel 2007 e di cui ora fanno parte centinaia tra corridori ed ex corridori, oltre a molte squadre, alcune federazioni e alcuni organizzatori di corse. Nell’ottobre del 2024 l’MPCC spiegò in un comunicato di essere contro l’uso del monossido di carbonio per creare un’ipossia artificiale, sconsigliando l’uso della tecnica e auspicandone un esplicito divieto.

A novembre l’UCI ha chiesto alle squadre e ai corridori di non praticare inalazioni ripetute di monossido di carbonio, chiedendo alla WADA, l’agenzia mondiale antidoping, di prendere una posizione in merito. Il 12 dicembre, cinque mesi dopo l’articolo di Escape Collective, comunicò di aver proposto al suo direttivo di vietare l’uso ripetuto di monossido di carbonio, in quanto pericoloso e perché ancora si sa poco sugli effetti a lungo termine della pratica (il tutto senza parlare però mai di doping).

A inizio febbraio l’UCI ha ufficialmente vietato le inalazioni ripetute di monossido di carbonio, «per proteggere la salute dei corridori». Il comunicato parla dei rischi legati al monossido di carbonio, non di come e perché potrebbe essere dopante. L’UCI ha specificato che «è vietato possedere, fuori da strutture mediche, sistemi disponibili in commercio per il rebreathing di monossido di carbonio», e che l’inalazione per scopi di test – che l’UCI definisce «comunemente usate nella medicina dello sport» – resta autorizzata in specifici contesti medici. Se ne potranno fare due, la seconda delle quali due settimane dopo la prima, e bisognerà fare in modo che queste inalazioni siano note e tracciabili.

Ancora non si sa se qualcuno (e nel caso chi) abbia fatto inalazioni ripetute di monossido di carbonio con finalità di doping. L’UCI stessa ha chiesto, di nuovo, un intervento da parte della WADA, e restano ancora diversi punti poco chiari.

Meno di un mese fa, quindi prima del divieto esplicito da parte dell’UCI, Vingegaard aveva detto a Le Monde: «alcune squadre stanno abusando del monossido di carbonio inalandone regolarmente piccole quantità, cosa che determina un significativo miglioramento nelle performance dei loro atleti. Non è giusto e la WADA dovrebbe vietarlo». Ancora prima, negli ultimi sette mesi, alcune squadre e qualche corridore avevano preso posizioni – talvolta in forma anonima – ancora più forti di quelle dell’UCI.

Jonas Vingegaard (AP Photo/Laurent Cipriani, Pool)

Per quanto possa fare effetto sentir parlare di monossido di carbonio usato nello sport, la differenza tra il suo uso diagnostico e il suo possibile uso con finalità di doping è determinante. Il problema è che lo stesso gas, con i medesimi strumenti, può essere probabilmente usato per fare entrambe le cose, e che tra i due estremi esistono molte possibili aree grigie, che quantomeno in teoria sport diversi dal ciclismo – e quindi non regolamentati dall’UCI – ancora potrebbero sfruttare senza fare qualcosa di espressamente vietato. Il tutto senza che ci sia una totale e condivisa certezza degli eventuali benefici della pratica (a prescindere da ogni rischio o ragionamento etico). Come riportato dal sito da BBC Sport, c’è anche chi ritiene che la questione legata al monossido di carbonio sia stata «amplificata» dai media ciclistici e che l’UCI abbia imposto il divieto «per dimostrare proattività».

Un ulteriore problema è che se il monossido di carbonio può essere utile per misurare certi valori ematici, è allo stesso modo impossibile determinare se e come qualcuno lo abbia assunto di proposito. Uno sportivo accusato di averlo inalato potrebbe dire che è colpa dello smog.