Gli smartphone ormai rovinano molti concerti

In certi contesti è diventato normale che occupino metà del campo visivo del pubblico, in un modo che ha trasformato la musica dal vivo

di Viola Stefanello

Un concerto di Harry Styles a New York nel 2020 (Arturo Holmes/Getty Images)
Un concerto di Harry Styles a New York nel 2020 (Arturo Holmes/Getty Images)

Da anni, a metà di “Dog Days Are Over”, una delle canzoni più famose della band Florence and the Machine, la cantante Florence Welch smette di cantare e si rivolge al pubblico dei suoi concerti con una voce delicata. «Voglio che facciate una cosa molto difficile, forse la più difficile che abbiate fatto oggi», dice. Poi chiede a tutti di mettere via il cellulare e di invitare le altre persone a fare lo stesso, e di mettersi a saltare più in alto possibile. Fa una cosa simile ai propri concerti anche Liberato, il cantante napoletano di cui non si conosce l’identità, anche se con toni un po’ diversi: «Luat’ a miezz sti cazz e cellular’», dice a più riprese mentre canta. «Ait a ballà!». «Levate di mezzo questi cazzo di cellulari, dovete ballare!».

Gli smartphone sono una presenza invadente ai concerti ormai da un decennio. Già nel 2013, durante un’esibizione a Toronto in occasione del trentesimo anniversario del suo primo album, la cantante Cyndi Lauper chiese al pubblico di evitare di fare foto e video: finì per strappare via lo smartphone dalle mani di un membro del pubblico che continuava a puntarglielo addosso, e glielo restituì poi alla fine del concerto.

Non è un fenomeno che riguarda tutti i concerti. In molti contesti ormai da alcuni anni si è consolidata una sorta di etichetta, che suggerisce di filmare al massimo qualche decina di secondo di concerti ogni tot canzoni, in modo da poter conservare dei ricordi – da pubblicare anche eventualmente sui social – senza limitare troppo a lungo la visuale di chi sta dietro. Può capitare di finire alle spalle della persona sbagliata, ma la maggior parte delle volte la presenza degli smartphone è sopportabile. Nel caso di concerti di cantanti e band più alla moda, e soprattutto più popolari tra i giovani, oppure dotati di una base di fan particolarmente ossessiva, le cose cambiano.

A questi concerti è diventato piuttosto normale che la visuale dal pubblico sia occupata per metà da braccia tese e da centinaia di schermi illuminati, branditi da persone intente a riprendere il palco per pubblicare poi tutto sui social network. Soprattutto durante le canzoni più famose, quando ad alzare il telefono per riprendere il palco è la quasi totalità del pubblico, in questi casi l’esperienza della musica dal vivo è totalmente cambiata rispetto a quindici anni fa.

I musicisti hanno dovuto adeguarsi a questa presenza. Alcuni, come la cantante catalana Rosalìa o Lady Gaga, hanno deciso di sfruttarla e anzi di incoraggiarla, chiedendo alle persone che hanno ideato la scenografia dei loro ultimi tour di progettarla in modo che fosse facile e interessante da riprendere in video e pubblicare online, idealmente nel formato verticale che va per la maggiore su app come Instagram o TikTok.

Altri hanno preso una posizione del tutto opposta: non solo chiedono al pubblico di mettere spontaneamente via i cellulari, ma li vietano del tutto. Alcuni li fanno imbustare dentro ad appositi contenitori sigillati prodotti dal marchio Yondr, come fanno Bob Dylan o Jack White; altri più semplicemente fanno attaccare un piccolo adesivo sulla telecamera dello smartphone come si farebbe in un club di musica techno, come ha fatto il cantante italiano Cosmo nel suo ultimo tour.

«Attorno al 2022 ho cominciato a parlare col pubblico durante i concerti e a far notare loro che entravamo meglio in connessione se mettevano via i cellulari», racconta Cosmo. «Inizialmente ho fatto degli esperimenti durante “L’ultima festa”, che è un po’ il momento clou del concerto, quello in cui c’è un’esplosione di energia. Interrompevo la canzone prima di quest’esplosione e dicevo a tutti: facciamo un gioco, mettete via tutti i cellulari».

Cosmo racconta che per la sua percezione «ogni telefono risucchiava un po’ dell’energia sia di chi lo sollevava sia di chi gli stava attorno. Rendevano più difficile entrare in quella sorta di ondulazione collettiva». Quando il pubblico lo ascoltava, invece, «era una roba pazzesca, molto anni Novanta: vedevi solo braccia alzate, gente che sbandava di qua e di là. E quindi ho cominciato a farlo per il resto del tour, a fare questo discorso magari al quinto pezzo. Poi ho pensato che non volevo più sprecare il tempo a dirlo».

Durante il suo tour più recente, “Sulle ali del cavallo bianco”, all’entrata tutti i partecipanti hanno ricevuto un adesivo da appiccicare per coprire la telecamera del cellulare. È una pratica comune nei club in cui si balla la musica techno, e serve a evitare che le persone ne riprendano altre senza consenso, magari mentre sono poco vestite, oppure alterate da sostanze. Nel caso dei concerti di Cosmo, però, è servito semplicemente a scoraggiare le persone dal tirare fuori lo smartphone per fare video o foto.

«È stato un gesto perlopiù simbolico, perché le persone non venivano cacciate se rimuovevano lo sticker, ma il risultato è stato fighissimo», dice Cosmo. «Obiettivamente è stata un’esperienza diversa, poter vedere un posto come l’Alcatraz di Milano con tremilasettecento persone e forse dieci telefoni alzati, nascosti in fondo. Scendevo tra le prime file a cantare e guardavo finalmente le persone in faccia. Ci guardavamo negli occhi, e non mi piazzavano il telefono davanti».

Una gran parte delle persone che usano gli smartphone ai concerti lo fa per lo stesso motivo per cui si fotografano i titoli di coda di un film appena visto, il panorama in cima a una montagna appena scalata, il mare fuori dal finestrino dell’aereo. Con Facebook prima, e decisamente con Instagram poi, si è calcificata la tendenza a condividere con amici e follower online i momenti più interessanti della propria vita, curando un’immagine specifica del genere di persona che si è e degli spazi che si frequentano. Ci sono poi le persone che fanno un rapido video o una foto senza l’intenzione di pubblicarla su internet, solo per conservare un ricordo della serata.

Di ragioni per cui ai concerti – soprattutto a quelli più grandi, di artisti internazionali – si vedono così tanti smartphone ce n’è però anche un’altra. E ha a che fare con il modo in cui nell’ultimo decennio si è evoluta la cultura dei fandom, ovvero le comunità di persone unite tra loro da una passione enorme, talvolta ai limiti dell’ossessione, per determinati film, libri, serie tv, celebrità o, nel caso dei concerti, musicisti.

– Leggi anche: L’epoca d’oro dei fandom

Prima che si diffondessero i cellulari poteva succedere che qualcuno facesse registrazioni audio o video di uno spettacolo a cui si trovava, con l’intenzione di distribuirle tra gli altri fan: tutto senza autorizzazione. Queste registrazioni si chiamavano bootleg, e a cercarle erano soprattutto i collezionisti. A volte diventavano leggendarie, e in certi casi finivano per essere commercializzate ufficialmente.

Prima con siti di musica piratata come Napster, eMule e LimeWire, poi con piattaforme come YouTube e in una misura ancora maggiore con TikTok, negli ultimi vent’anni è però diventato molto più semplice e comune produrre registrazioni simili e condividerle con gli altri fan. Spesso con poche ripercussioni: non capita di frequente che un musicista chieda la rimozione dei video registrati ai propri concerti quando li trova su un social network.

Oggi, soprattutto per i fan più giovani o più attivi sui social network, i concerti non sono più soltanto momenti in cui è possibile sentir suonare dal vivo un cantante o una band apprezzata, ma anche un’occasione per creare contenuti da sfruttare poi online per un motivo o per l’altro. «È quasi come se ci fosse una serie di “obiettivi” a cui puntano le persone in possesso di un biglietto», ha spiegato su Mashable la giornalista Chase DiBenedetto.

«Vuoi una foto per Instagram, un video che possa potenzialmente diventare virale su TikTok, un momento divertente da raccontare su Twitter nella speranza che esploda al punto da ottenere un “mi piace” dalla tua celebrità preferita. È quasi come se i partecipanti stessi stessero mettendo in scena uno spettacolo per il resto del pubblico, per i loro follower online e persino per l’artista sul palco. (…) Sembra quasi che da quando sono stati reintrodotti gli spettacoli dal vivo, i partecipanti ai concerti abbiano deciso che l’aspetto sociale dei concerti si svolge soprattutto online, e che gli spettacoli dal vivo non riguardano quindi più solo la musica ma anche la creazione di contenuti».

In questo contesto è normale pensare per mesi ai vestiti che si indosseranno a un determinato concerto e al cartello che si terrà in mano a un certo punto, nella speranza che la persona sul palco lo veda e lo legga in pubblico. Serve sia per essere riconosciuti come parte attiva della comunità dalle altre persone presenti sia perché questo aumenta la possibilità di finire in foto e video altrui, guadagnando anche solo temporaneamente un ruolo di spicco all’interno del fandom. Un obiettivo che oggi può portare anche a guadagnare dei soldi, grazie ai meccanismi di monetizzazione di piattaforme come TikTok, ritagliandosi un ruolo da influencer nella propria nicchia.

Se si ambisce a ricoprire ruoli simili all’interno del fandom – o anche solo a contribuire attivamente alla creazione di contenuti sui propri musicisti preferiti – fare video e foto ai concerti è imprescindibile. I video di canzoni particolarmente amate, oppure di momenti in cui la persona sul palco si comporta in modo inaspettato per un motivo o per l’altro, attirano infatti sui social network un’attenzione enorme: capita spesso che una frase detta a casaccio da un cantante sul palco e ripresa da qualcuno diventi un meme o un tormentone tra i fan online. Inoltre a partire dai fandom legati ai cantanti pop sudcoreani (il cosiddetto k-pop) si è anche molto diffusa la tendenza a usare questi contenuti amatoriali per creare “fancam”, ovvero veloci spezzoni di esibizioni live.

Alcuni artisti conoscono molto bene queste dinamiche e si divertono a giocarci. Come ha scritto sul Guardian il giornalista Shaad D’Souza, molti dei tour più amati e discussi degli ultimi – “Chromatica Ball” di Lady Gaga, “Motomami” di Rosalìa, “Solar Power” di Lorde – sono stati progettati «per funzionare bene sui social network, in modo che le clip di ogni show finissero ovunque su TikTok e Twitter». D’Souza non li cita, ma si può senza dubbio dire la stessa cosa di “Love on Tour” di Harry Styles e dell’“Eras Tour” di Taylor Swift, entrambi ripresi e condivisi da decine di migliaia di punti di vista diversi nel corso di mesi.

Secondo la giornalista Aja Romano, a questo punto molti artisti danno insomma per scontato che gran parte del pubblico registrerà una parte del concerto e si comportano di conseguenza. «È un riconoscimento del fatto che per molti fan l’esperienza “dal vivo” è già stata mediata in molti modi diversi prima ancora di arrivare alla location: dalle tante clip del concerto già viste online, dalla scaletta già memorizzata, dai maxischermi che ti aiutano a vedere il cantante e dal telefono che hai già in mano». Ad alcuni concerti particolarmente grandi durante le canzoni più amate è talmente difficile vedere cosa succede sul palco per via dei tanti smartphone alzati che l’unica cosa da fare è alzare a propria volta il cellulare sopra la folla e guardare cosa succede attraverso il proprio schermo.

Naturalmente questa tendenza finisce per essere molto frustrante per le persone che vorrebbero soltanto vedere il concerto, e non ci riescono, e magari anche godersi quella distintiva atmosfera che si crea di solito durante esibizioni ben riuscite ed emozionanti. Il giornalista musicale Simon Price, per esempio, l’anno scorso ha scritto che frequenta tantissimi concerti per lavoro dagli anni Ottanta e «può dire con certezza che il comportamento del pubblico è peggiorato in modo obiettivo e osservabile nel tempo»: «i concerti vengono rovinati costantemente da certa gente che non sa stare zitta e da altra che non vuole metter giù il cellulare».

Molti musicisti negli ultimi anni hanno reagito a questa onnipresenza dei cellulari esprimendo rabbia, tristezza o ancora straniamento. La cantante Mitski, per esempio, ha spiegato che «adora i concerti per la sensazione di connessione, di condivisione di un sogno e per ricordarci che abbiamo un breve momento miracoloso in cui siamo vivi allo stesso tempo, prima di separarci». «[Sono momenti] in cui sento di far parte di qualcosa di più grande», ha detto. «Quando sono sul palco e vi guardo, ma voi state fissando uno schermo, mi fa sentire come se noi sul palco fossimo consumati come contenuti, e non come se stessimo condividendo qualcosa».

Bob Dylan, che obbliga i partecipanti a tenere il cellulare chiuso in un armadietto all’ingresso per l’intera durata del concerto o a imbustarlo in un sacchetto sigillato, ha spiegato che lo fa perché «non stiamo al mondo per fare foto» e che è importante passare tempo insieme «senza distrazioni». E Maynard James Keenan, cantante della band metal statunitense Tool, ha spesso detto durante i concerti che ritiene che i cellulari siano come delle droghe, e che quindi chiunque non sia capace di starne distante per un paio d’ore dovrebbe farsi aiutare da un professionista.

– Leggi anche: La dipendenza da internet esiste?

Samuele Maccolini, giornalista che si occupa di musica nonché grande fan di Cosmo, racconta di aver apprezzato particolarmente l’esperienza dei suoi concerti senza smartphone. «Le persone hanno capito effettivamente il significato che c’era dietro e si vedevano davvero pochi cellulari alzati. Sono stato nel tempo a sei o sette concerti di Cosmo e quest’ultimo è stato senza dubbio uno dei più vivi, dei più movimentati, in cui più si è sentita la reazione da parte del pubblico», racconta.

«Inizialmente pensavo che fosse un po’ una trovata di marketing per replicare la cultura techno berlinese in qualsiasi contesto. E invece era vero che sul momento te lo godi di più: ho parlato con più persone, si creano più connessioni e la gente è effettivamente più concentrata», dice invece Dario Simone Sidoti, che fa musica con il nome d’arte SiD La Goccia ed è stato a una serata dell’ultimo tour di Cosmo. «Inevitabilmente però ho meno ricordi tangibili: non avendo foto o video mi ricordo il concerto, ma non ho appigli per permettere al mio cervello di ricordare esattamente una scena o un momento», aggiunge Sidoti. «Ed è una scelta non molto percorribile per molti artisti emergenti, che trovano nei social network uno dei pochissimi modi per farsi conoscere un po’».