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  • Lunedì 27 maggio 2024

A Parigi stanno ripulendo la Senna dai batteri, ma non dai PFAS

Il fiume di Parigi, in cui si nuoterà alle Olimpiadi, ha un'alta concentrazione di una sostanza derivante dai pesticidi di cui non conosciamo bene gli effetti sulla salute

Decine di persone che nuotano nella Senna a Parigi durante una gara
La Senna a Parigi durante una gara di triathlon, il 10 luglio 2011 (AP Photo/Lionel Cironneau, File )
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In Francia sono stati investiti quasi 1,5 miliardi di euro per risanare le acque della Senna, il fiume che attraversa Parigi, in modo da renderla balneabile per le Olimpiadi di quest’anno e, dal 2025, per chiunque ci voglia nuotare. L’obiettivo degli interventi è abbattere la presenza di batteri legati allo smaltimento delle acque reflue, quelli appartenenti ai generi Escherichia ed Enterococcus. Non agiscono invece su un’altra forma di inquinamento presente nel fiume e molto comune nei corsi d’acqua europei, ha notato un articolo di Le Monde: quello da acido trifluoroacetico (TFA), una tra le sostanze note collettivamente come PFAS, che deriva dalla degradazione di vari pesticidi.

Secondo un rapporto realizzato da PAN Europe, un’organizzazione ambientalista che ha l’obiettivo di «eliminare la dipendenza dai pesticidi sintetici», l’acqua della Senna prelevata poco lontano dalla cattedrale di Notre-Dame ha una concentrazione di TFA di 2,900 microgrammi per litro (un microgrammo è un milionesimo di grammo). L’organizzazione ha raccolto dei campioni d’acqua da 23 fiumi e falde acquifere dell’Unione Europea e li ha fatti analizzare a un laboratorio tedesco, il DVGW-Technologiezentrum Wasser di Karlsruhe. Tra i corsi d’acqua studiati solo l’Elba, il fiume che scorre tra Repubblica Ceca e Germania, aveva un valore di TFA più alto della Senna. Le Monde ha chiesto un parere sul dato a numerosi esperti: lo hanno giudicato «preoccupante», anche se non sono arrivati a sconsigliare di nuotare nella Senna per la sua presenza. Il fatto è che gli effetti del TFA sulla salute umana non sono ancora noti.

In generale i PFAS – sigla che sta per “sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche” – sono controllati da chi si occupa di inquinamento ambientale perché due sostanze che rientrano nella categoria sono associate ad alcune forme di cancro e a problemi del sistema endocrino. Si tratta dell’acido perfluoroottansolfonico (PFOS) e dell’acido perfluoroottanoico (PFOA). Complessivamente i PFAS sono più di 4.700, e solo pochi sono stati studiati in modo approfondito. Farlo non è semplice perché normalmente le zone inquinate da tali sostanze sono inquinate anche da altre, ed è difficile capire quali abbiano un legame con i problemi di salute della popolazione locale.

I PFAS contengono legami tra carbonio e fluoro, tra i più forti della chimica organica. Sono questi legami a dare ai PFAS le caratteristiche per cui vengono utilizzati a livello industriale fin dagli anni Quaranta: rendono le superfici impermeabili ad acqua e grassi, sono resistenti al calore e a molti agenti chimici e hanno proprietà tensioattive, dunque sono usati per produrre carta da forno, padelle antiaderenti e schiume antincendio, tra le altre cose.

I PFAS però sono anche associati a molti pesticidi: alcuni sono aggiunti a questi prodotti per aumentarne l’efficacia, altri vengono prodotti nella degradazione dei pesticidi stessi dopo il loro uso. È il caso ad esempio del TFA.

I legami tra carbonio e fluoro sono anche la ragione per cui i PFAS sono molto poco degradabili, per cui una volta dispersi in un ambiente o assorbiti dal corpo umano ci restano molto a lungo: per questo sono anche chiamati “forever chemicals”, che si può tradurre come “inquinanti perenni”. Uno studio del 2016 ha stimato che ai reni umani servano dai 10 ai 56 anni per eliminare i PFAS più persistenti.

Riguardo al TFA mancano studi epidemiologici specifici. L’Istituto nazionale di salute pubblica e dell’ambiente dei Paesi Bassi (RIVM) sospetta che possa avere degli effetti sul sistema immunitario e nell’aprile del 2023 ha fissato un valore limite indicativo per l’acqua potabile – cioè per quella che si beve – di 2,200 microgrammi per litro in assenza di altri PFAS. La Germania da parte sua ha proposto all’Agenzia europea dei prodotti chimici (ECHA) di classificare il TFA come tossico per la riproduzione.

«Non sappiamo ancora se abbia un effetto tossico sul nostro sistema immunitario», ha comunque detto Jacob de Boer, tossicologo della Vrije Universiteit di Amsterdam a Le Monde: «Se non fosse così, l’alta concentrazione della sostanza nella Senna sarebbe un problema di poca importanza. Mentre se fosse così avremmo un problema serio».

In ogni caso de Boer ritiene che fare il bagno «ogni tanto» in un fiume con alti livelli di TFA non possa avere effetti sulla salute: «Ma non raccomanderei di nuotarci regolarmente». È dello stesso parere anche Ian Cousins, professore di chimica ambientale dell’Università di Stoccolma: «Sulla base delle conoscenze attuali sulla tossicità del TFA non mi farei problemi a nuotare nella Senna». Durante le Olimpiadi saranno condotte nella Senna le gare di nuoto in acque libere e di triathlon, la disciplina che prevede nuoto, ciclismo e corsa.

Attualmente non esistono valori limite per la concentrazione di TFA nell’Unione Europea, anche se la direttiva sull’acqua potabile che entrerà in vigore nel 2026 fissa un massimo di 0,5 microgrammi per litro per tutti i PFAS considerati insieme. Non ci sono invece altre restrizioni riguardo alla balneabilità.

Per quanto riguarda l’origine del TFA nella Senna, secondo François Veillerette, attivista ambientalista dell’organizzazione Générations Futures, che ha collaborato con PAN Europe per la raccolta dei campioni di acqua, la sostanza è probabilmente dovuta ai pesticidi usati in agricoltura. È prodotta anche nei processi che servono per ottenere altri PFAS, ad esempio quelli usati nei sistemi di raffreddamento e raffrescamento, ma lungo la Senna non ci sono complessi industriali di questo tipo.