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  • Sabato 25 maggio 2024

L’opposizione a Narendra Modi ci sta provando, alle elezioni indiane

Anche se nessuno mette in dubbio la vittoria del primo ministro, la coalizione INDIA resta unita, e sta guadagnando terreno soprattutto grazie all'economia

Sostenitrici del primo ministro dello stato di Delhi Arvind Kejriwal (AP Photo/Altaf Qadri)
Sostenitrici del primo ministro dello stato di Delhi Arvind Kejriwal (AP Photo/Altaf Qadri)
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Le elezioni in India per il rinnovo dei 543 membri della camera bassa del parlamento sono entrate nella sesta delle sette fasi previste: iniziate il 19 aprile, daranno risultati definitivi il 4 giugno. Il primo ministro Narendra Modi, del partito nazionalista indù Bharatiya Janata Party (BJP), le aveva affrontate con l’ambizioso obiettivo di ampliare ulteriormente l’attuale maggioranza parlamentare, fino ad arrivare a 400 seggi su 543 totali. Nelle ultime settimane sembra però aver ridimensionato un po’ quegli obiettivi e durante la campagna elettorale si è mostrato meno tranquillo e più aggressivo nei confronti delle opposizioni.

La riconferma per un terzo mandato di Modi non pare in discussione, ma i media internazionali e quelli indipendenti indiani ritengono che la vittoria potrebbe essere meno travolgente del previsto. Le opposizioni, unite in una coalizione che comprende 26 diversi partiti chiamata INDIA, nelle ultime settimane hanno mostrato una certa unità e la capacità di contrapporre alla retorica di Modi un messaggio chiaro, incentrato sulle grandi ineguaglianze della società indiana e sul persistere di una forte disoccupazione, anche in una fase di crescita economica.

Modi aveva impostato questa campagna elettorale come un grande referendum sulla propria persona, presentando i risultati ottenuti nei dieci anni di mandato soprattutto in tre ambiti: la sensibile crescita economica, trainata da una politica di grandi infrastrutture e grandi gruppi industriali; una maggiore rilevanza nello scenario politico mondiale, in parte reale ma per lo più enfatizzata dalla propaganda di governo; una promozione delle radici religiose induiste di cui Modi si è fatto paladino anche marginalizzando la minoranza musulmana.

Religiosi indù mostrano di aver votato (viene fatto un segno d’inchiostro sul dito indice) di fronte al tempio di Ayodhya (AP Photo/Rajesh Kumar Singh)

Negli ultimi mesi le opposizioni sembrano però essere riuscite a intaccare questa narrativa, sfruttando soprattutto i social media e campagne in stile tradizionale, con comizi e propaganda porta a porta (i maggiori canali televisivi pubblici e privati sono sempre più controllati dal partito di governo o da imprenditori vicini a Modi). A trainare questo tentativo di recupero di consenso sono stati soprattutto i partiti “regionali”, formazioni politiche che si presentano in uno o pochi stati dell’enorme federazione indiana, che sono molto radicati sul territorio e che sono favoriti dal sistema elettorale totalmente maggioritario. Le istanze locali e i problemi non risolti di molte regioni indiane sono diventate il principale argomento per intaccare la retorica trionfalistica del BJP e di Modi.

Il messaggio complessivo su cui la coalizione di opposizione sta insistendo è che il governo di Modi favorisca le classi più abbienti della popolazione e faccia poco per quelle più povere e per ridurre le diseguaglianze, rimaste in effetti notevoli nonostante la crescita economica. L’opposizione sottolinea quindi i forti legami di Modi con una oligarchia di grandi industriali e miliardari, che avrebbero goduto dei principali vantaggi da questo decennio di crescita del PIL.

Anche il Congresso, principale partito di opposizione, un tempo prima forza politica indiana e da anni in costante declino, ha cambiato la sua comunicazione e la sua immagine. È stato affiancato a Rahul Gandhi, erede di una lunga dinastia politica e quindi percepito come appartenente alle élite, l’81enne Mallikarjun Kharge, che pur essendo molto vicino alla famiglia Gandhi è di origini particolarmente umili e ha una storia di impegno politico lunga 50 anni.

Code a un seggio in Kashmir (AP Photo/Mukhtar Khan)

Oltre a sussidi per le donne e un ingresso al lavoro per i giovani facilitato da apprendistati sovvenzionati dallo stato, una delle principali proposte del Congresso è un nuovo censimento delle caste, che non viene realizzato da un decennio, per garantire a chi è rimasto ai margini della società indiana di ricevere i necessari aiuti. Benché in India le caste siano state formalmente abolite, il loro ruolo nella società continua a essere rilevante ed esistono quote consistenti di impieghi nel settore pubblico riservati a chi appartiene alle caste di livello più basso (a cui corrisponde quasi sempre un livello inferiore di reddito).

Proprio le classi più povere, messe in difficoltà dalla crescita dei prezzi del cibo e da alcune politiche in campo agricolo del governo, sembrano quelle su cui la presa di Modi è meno salda. Il BJP conta invece sul sostegno di una crescente classe media urbana, anche se i confini di questo gruppo sono dibattuti. Una prima definizione inseriva nella “classe media” le persone che spendevano giornalmente fra i 2 e i 10 dollari (1,8-9 euro) e comprendeva già dal 2012 ben oltre la metà della popolazione indiana: la gran parte di questo macrogruppo però faceva parte della fascia più bassa, quella che spendeva 2-4 dollari al giorno, appena sopra la soglia di povertà.

Il pubblico di un comizio del BJP (AP Photo/Manish Swarup)

Definizioni più stringenti, che considerano classe media chi possa contare su un reddito giornaliero di 17-100 dollari (15,6-92 euro) nel 2021 riducevano la percentuale al 31 del totale (432 milioni di persone), comunque più del doppio rispetto al 14 per cento del 2005. Gli anni dopo la pandemia hanno visto un rallentamento della crescita della classe media, cioè una riduzione del numero di persone le cui condizioni economiche sono sensibilmente migliorate.

L’opposizione a Modi sta puntando proprio su questi temi, a conferma che l’economia resta la questione centrale anche rispetto agli allarmi sulla riduzione degli spazi democratici, una costante di questi dieci anni di governo di Modi. Il primo ministro ha costruito un sistema di potere e controllo consolidato, limitando la libertà della stampa e delle opposizioni.

Un corteo elettorale di Narendra Modi (AP Photo/Rajesh Kumar)

I molti processi e inchieste nei confronti di esponenti dell’opposizione, che spesso vengono considerati motivati politicamente, hanno però avuto l’effetto di compattare le varie forze politiche e in alcuni casi il sostegno rispetto ai leader attaccati. È accaduto con Arvind Kejriwal, primo ministro dello stato di Delhi arrestato a marzo. Liberato su cauzione per tre settimane dalla Corte suprema per permettergli di fare campagna elettorale, sta tenendo comizi molto seguiti e appassionati. In uno dei primi dopo la liberazione ha detto: «Vengo direttamente dalla prigione e il prossimo voto è una scelta fra tenermi lì o ridarmi la libertà. Guarderò i risultati dalla mia cella. Potete scrivermi delle lettere: cella 25, braccio 2, prigione Tihar».

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