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  • Sabato 25 maggio 2024

Che ne è dello Hollywood Reporter Roma?

Un anno dopo la sua nascita l'edizione italiana della famosa rivista di spettacolo ha perso la direttrice, è indietro coi pagamenti e non ha ancora la promessa frequenza cartacea

di Francesco Gaeta

Una delle tre edizioni cartacee dello Hollywood Reporter italiano tra le mani della sua ex direttrice Concita de Gregorio alla Festa del cinema di Roma (ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)
Una delle tre edizioni cartacee dello Hollywood Reporter italiano tra le mani della sua ex direttrice Concita de Gregorio alla Festa del cinema di Roma (ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)
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The Hollywood Reporter (THR) è una antica e autorevole testata statunitense dedicata al mondo dello spettacolo. Nata nel 1930 come quotidiano, è diventato da una dozzina d’anni un settimanale e un sito web che offrono «reportage, analisi e recensioni, servizi fotografici e video esclusivi» su personaggi ed eventi dello show business, e sui protagonisti e le dinamiche dell’industria dell’intrattenimento. THR fa parte di un gruppo editoriale – Penske Media Corporation (PMC) – che pubblica oltre 40 testate, alcune delle quali con un passato autorevole, come Variety e Rolling Stone. PMC è una multinazionale dell’editoria attiva su 25 mercati nazionali e impiega oltre mille giornalisti.

Di Hollywood Reporter sono state avviate nel 2023 due edizioni estere, una in Giappone e l’altra in Italia. In questi casi l’editore che detiene il marchio concede a un gruppo editoriale straniero la licenza, ovvero l’uso della testata. La concessione della licenza fissa alcuni standard di prodotto dettati dalla casa madre (per esempio sull’uso di articoli “originali”), è normalmente preceduta da una due diligence, cioè un’analisi sulle finanze del licenziatario, e stabilisce l’ammontare delle royalties, cioè di quanto è dovuto annualmente a chi ha la proprietà della testata, cifra che di solito contempla un fisso annuale e una quota proporzionale alle vendite. Per l’Italia il gruppo Penske aveva già concesso la licenza per l’edizione italiana di Rolling Stone.

La licenza di THR è stata data in Italia alla società Brainstore Media, di proprietà di Gian Marco Sandri e l’edizione italiana – online – è stata avviata nell’aprile del 2023. A formare e guidare la redazione italiana è stata nominata Concita de Gregorio, che aveva diretto l’Unità tra il 2008 e il 2011, e prima e dopo è stata ed è affermata firma del quotidiano Repubblica, scrittrice e autrice e interprete teatrale. La scelta di una direttrice con queste visibilità diede un anno fa molte attenzioni alla nascita della testata in Italia. La redazione di Hollywood Reporter Roma fu composta in partenza da cinque redattori assunti con un contratto giornalistico a tempo indeterminato, più una serie di collaboratori esterni e un gruppo di traduttori, dal momento che il sito ha ospitato fin da subito molti articoli provenienti dalla testata statunitense. L’obiettivo era creare una piattaforma multimediale con un sito web e in prospettiva una rivista cartacea per raccontare il mondo dello spettacolo italiano. «Roma è la città del cinema, ha fatto la storia dello spettacolo, dal Colosseo a Cinecittà», disse Sandri, in una intervista al momento del lancio: «La convergenza dei successi italiani nell’arte, nello sport, nella musica e nel cinema ha restituito all’Italia una centralità di cui questo ponte tra Roma e Hollywood vuole essere specchio e motore».

La presentazione di THR Roma si tenne il 21 aprile 2023, giorno del “Natale di Roma”, con una festa a Palazzo Brancaccio a Roma. Erano presenti la direzione dell’edizione americana di THR oltre a molti personaggi dello spettacolo italiano. Sul sito di Hollywood Reporter Roma la serata fu raccontata così: «Porte magiche e pietre filosofali. E poi, ancora, i soffitti barocchi e i flash dei fotografi. L’astronave THR Roma è atterrata nel cuore dell’Esquilino. Più precisamente a Palazzo Brancaccio, sul colle Oppio, dove ieri sera oltre mille persone – tra attori, registi, produttori, stilisti e personalità del settore cinematografico e televisivo – hanno preso parte alla festa per il lancio della prima edizione europea di THR».

Il debutto dell’edizione cartacea è avvenuto qualche mese dopo, in settembre, in occasione del Festival del cinema di Venezia, dove l’intera redazione si è spostata per seguire la manifestazione. Il primo numero di carta di THR Roma è stato una rivista monografica di 120 pagine dal titolo Il lido dei sogni, «un numero speciale fuori commercio» lo ha definito de Gregorio, nell’annunciare che da ottobre THR Roma sarebbe stato in edicola. Per la cura grafica e le firme, Il lido dei sogni è stato quasi un numero da collezione. Il progetto grafico è stato curato da Graphic Design Studio di Pier Paolo Pitacco, noto art director di molte riviste italiane, ha avuto una copertina (su Salvador Dalì) firmata da Pier Paolo Piccioli, direttore creativo di Valentino, e ha ospitato un servizio sulla nuova campagna pubblicitaria della maison firmata da Steve Meisel, uno dei più importanti fotografi di moda al mondo. L’investimento di THR su Venezia ha previsto anche in questo caso una festa, con ospiti come Sofia Coppola e Priscilla Presley, e poi molti attori, registi e scrittori italiani.

Da allora, in nove mesi, i numeri cartacei di Hollywood Reporter sono stati però solo due, uno in occasione della Festa del cinema di Roma in ottobre e l’altro per il Festival di Berlino in febbraio. L’originaria cadenza quindicinale prevista nel progetto presentato alla casa editrice americana non è stata rispettata. Nel gennaio scorso THR Roma ha partecipato a Hollywood alla serata dei Golden Globe Awards, in cui vengono premiate ogni anno le migliori produzioni del cinema e della tv internazionali: con l’editore Gian Marco Sandri era presente anche il sindaco di Roma Roberto Gualtieri. Ma all’inizio di febbraio, alla scadenza del primo anno di contratto, Concita de Gregorio ha preferito non proseguire l’esperienza, non accettando di lavorare come consulente esterno invece che come direttore, come le era stato proposto. Nel renderne conto sul sito de Gregorio si è detta soddisfatta del lavoro compiuto nell’avere avviato la startup e nell’avere posizionato la testata all’interno del panorama editoriale italiano. «Abbiamo formato una redazione di giovani e giovanissimi, ragazzi formidabili, abbiamo chiamato a collaborare le migliori firme e i più promettenti talenti che ringrazio per la fiducia che ci hanno accordato. Considero il mio lavoro di avviamento terminato. La nave non solo è varata, ma ha preso il largo». Al suo posto è stato nominato direttore Boris Sollazzo, già vicedirettore della testata.

Segnali
Alle dimissioni di de Gregorio, responsabile con le sue relazioni e la sua credibilità di gran parte del coinvolgimento di collaboratori e ospiti illustri e delle attenzioni sulla testata, hanno fatto seguito altri segnali di difficoltà dell’editore relative ai pagamenti, non emersi all’esterno fino a quel momento. Alla fine di marzo la redazione ha infatti annunciato cinque giorni di sciopero perché «per l’ennesima volta si registra un ritardo molto grave nel pagamento degli stipendi (…) e questo nonostante le promesse e gli annunci ribaditi più volte dall’editore di una imminente normalizzazione dei versamenti e di una messa in sicurezza del quadro economico dell’impresa». L’editore ha risposto di avere investito «per avviare un progetto solido portando a bordo professionalità importanti e scegliendo la forma più importante e tutelata di rapporto di lavoro che è l’assunzione». Ha aggiunto che ci sono stati «ritardi di pagamento di alcuni dei clienti» e che «al momento abbiamo un problema di liquidità, lo stiamo affrontando certi di superarlo nelle prossime settimane». Anche diversi collaboratori esterni hanno raccontato di non essere stati retribuiti.

Nei giorni successivi la redazione ha comunicato di avere deciso di sospendere lo sciopero «che va appunto considerato sospeso, e non terminato, e può dunque riprendere in qualsiasi momento». Cosa che è poi avvenuta il 21 maggio, quando sono stati annunciati altri cinque giorni di sciopero. La redazione ha parlato di «crescenti difficoltà, operative, redazionali, organizzative, fra le quali per esempio il venir meno del contributo dei traduttori», e ha chiesto «con forza il saldo di tutte le mensilità ancora scoperte, nonché il pagamento dei collaboratori a scrittura privata (…), oltreché il saldo dei contributor esterni». Da parte sua, Sandri ha ricordato di avere investito «circa due milioni di euro» e a proposito delle difficoltà economiche esposte dalla redazione ha detto che «ciò che nel comunicato è visto come pericolo, è invece spending review». Ha poi aggiunto di considerare il primo anno di vita di THR «un dry run» (che in italiano andrebbe tradotto come “prova generale”) e di avere «oggi una chiara evidenza di come funziona questo tipo di macchina, l’effort che deve essere indirizzato e la struttura dei costi necessaria allo sviluppo del progetto».
Contattato dal Post, Sandri ha ritenuto di non aggiungere altro su quel che definisce «spending review», sui motivi che hanno condotto a queste difficoltà economiche e sulle prospettive future della testata, una volta superata quella che ha definito la fase di «dry run».

Il quadro
In realtà, secondo quanto il Post ha potuto accertare, a essere in arretrato non sono soltanto gli stipendi dei giornalisti e dei traduttori, nel frattempo sostituiti dagli stessi redattori nelle traduzioni degli articoli della testata statunitense. I «problemi di liquidità» di cui parla l’editore hanno riguardato anche una serie di consulenti e di collaboratori che, a vario titolo e per differenti profili di competenze redazionali e tecnologiche, hanno contribuito al lancio della testata e ai primi mesi di attività, sia nella sua versione cartacea sia in quella digitale. Alcuni di loro sono in credito con Brainstore Media per attività prestate e non retribuite e hanno dato mandato agli avvocati di ottenere il dovuto attraverso decreti ingiuntivi di pagamento.

I problemi di liquidità
Per capire come si è arrivati a tutto questo, occorre fare un passo indietro. Secondo quanto risulta al Post, il piano presentato da Brainstore Media a PMC per la produzione della testata italiana prevedeva per il primo anno ricavi per oltre 930.000 euro, per arrivare al terzo anno a sfiorare i 4 milioni. La previsione sugli utili è stata quantificata in oltre un milione di euro al secondo anno, e in oltre due milioni al terzo anno. L’idea presentata a Penske Media Corporation non era solo quella di realizzare l’edizione italiana di una rivista ma anche quella di aggregare intorno a Hollywood Reporter Italia – nella «città del cinema» e di Cinecittà – un circolo di aziende (nazionali e non) interessate ad associare il proprio brand alla crescita del settore audiovisivo italiano, trainata oggi dai nuovi modelli di consumo sulle grandi piattaforme di streaming. Come ha dichiarato Sandri al momento del lancio nell’aprile 2023, creare una partnership internazionale con un brand autorevole era «un modo per presidiare uno spazio di mercato dell’editoria dell’entertainment che esiste e segue un trend esponenziale come quello dello sviluppo delle piattaforme di streaming».

Gli investimenti pubblicitari di questi partner commerciali si sarebbero dovuti orientare non solo alla rivista cartacea e al sito ma anche al ciclo di eventi a cui THR Roma avrebbe dato vita o a cui avrebbe partecipato, come nel caso della Mostra del cinema di Venezia nel settembre scorso. Il modello di business prevedeva di attingere per il 30% a investitori del settore audiovideo, puntando per il resto su partnership con aziende di altri comparti – banche e servizi finanziari, telecomunicazioni, energia, automotive – da federare in una sorta di board permanente.

Tutto questo è utile a contestualizzare alcune delle dichiarazioni fatte dall’editore alla redazione circa le difficoltà incontrate. A suo dire, i problemi di liquidità di questi mesi sono infatti legati ai tempi necessari e mettere in piedi «il modello di sostenibilità» che «è diverso dallo standard italiano, e sta andando a regime più lentamente di quello che avevamo previsto perché comporta uno sviluppo di progetti a lungo termine con partner che non sono quelli della vendita tradizionale di pubblicità». Sandri ha aggiunto che si sono anche registrati «dei ritardi di pagamento di alcuni dei nostri clienti che nell’avviamento del progetto hanno creato indubbiamente delle difficoltà e abbiamo affrontato e risolto problemi tecnici che hanno assorbito risorse non previste». Tra queste difficoltà tecniche c’è stato a metà febbraio anche un blackout di una settimana del sito, dopo un ritardo nei pagamenti alla società che gestiva i server. L’editore lo ha poi spiegato riferendo di «un attacco violentissimo che si inserisce nei profili del ‘social engineering’, tecnica manipolativa che sfrutta le dinamiche sociali e psicologiche per infliggere danni digitali».

Alcuni numeri
Brainstore Media, la società editrice che ha ottenuto la licenza da PMC, è stata costituita nel gennaio 2021 con un capitale sociale di 20mila euro, e ha come socio di maggioranza Gian Marco Sandri – che è anche amministratore delegato – con il 65% delle quote e come socio di minoranza al 35% il regista Fausto Brizzi. A fine 2023 contava sei dipendenti. L’ultimo bilancio che è stato depositato è quello del 2022, anno che coincide con il periodo della trattativa con PMC ed è precedente all’avvio della startup (mostra ricavi per 20.356 euro e una perdita di esercizio di quasi 8mila euro). Nel 2022 inoltre i debiti a breve di Brainstore Media, cioè quelli che la società è tenuta a saldare entro l’esercizio successivo, ammontavano a poco più di 48.000 euro, a fronte di crediti a breve di 25.586 euro e di un patrimonio netto di 8.259 euro. Questi numeri mostrano una struttura patrimoniale e una scala di grandezze piuttosto lontane dalle cifre presentate a PMC, e lasciano pensare che il lavoro di due diligence che normalmente precede la concessione di una licenza possa essere stato fatto in modo poco conforme all’entità dell’operazione.

Sandri detiene la maggioranza in un’altra società, Artmediamix, azienda fondata nel 2008, e che sul sito viene presentata come factory di «progetti inediti di comunicazione e marketing, in cui contenuti di spettacolo e arte si fondono grazie a tecnologie d’avanguardia». Anche in questo caso il socio di minoranza è il regista Fausto Brizzi. Nel 2022 Artmediamix ha avuto ricavi per oltre 1.100.000 euro e una perdita di esercizio di 447.575 euro. Anche per fare fronte a queste perdite la società ha avuto bisogno di nuove quote di capitale. Al 31 dicembre 2022, ultimo bilancio depositato, i debiti a breve, cioè esigibili entro l’esercizio successivo, ammontavano a 1.393.000 euro a fronte di crediti esigibili a breve per 881.668 euro.

Questi numeri, gli ultimi pubblici perché contenuti nei bilanci depositati alla Camera di Commercio, contribuiscono a spiegare l’esistenza di «problemi di liquidità» di cui ha parlato l’editore. A fine marzo, Sandri ha detto che prevede «di andare a regime nel terzo trimestre 2024 […]. Abbiamo identificato la soluzione, strutturale, che permetterà nei prossimi giorni il riallineamento delle esigenze dell’editore e della redazione». Soluzione strutturale su cui, trascorsi quasi due mesi, i giornalisti di THR sono tornati a chiedere chiarezza, come si legge nel comunicato del 21 maggio: «La redazione ribadisce la richiesta di ottenere risposte rapide e chiare sulle prospettive del giornale, e ricorda all’editore che è necessaria l’esposizione di un piano industriale in grado di offrire una prospettiva realistica al giornale».
Il comunicato del 21 maggio della redazione è tuttora molto visibile in home page ed è seguito – prima di una infastidita risposta dell’editore – da un messaggio del direttore Boris Sollazzo: «Non posso che dare la mia totale e partecipata solidarietà alla redazione che ha fin qui lavorato alacremente e con impegno, anche nelle condizioni più complesse. La criticità della situazione è forte e auguro all’editore di risolverla».