Si potrà continuare a installare pannelli fotovoltaici nei terreni agricoli, sollevandoli

Il divieto approvato dal governo riguarda solo gli impianti a terra, mentre per quelli a più di due metri di altezza non ci saranno limitazioni

Un impianto agrivoltaico installato in Germania
Un impianto agrivoltaico installato in Germania (AP Photo/Martin Meissner)
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Nel Consiglio dei ministri di lunedì 6 maggio è stato approvato il divieto di installare pannelli fotovoltaici nei terreni agricoli, che nei giorni precedenti era stato annunciato come un divieto totale e che invece prevede diverse deroghe. La più significativa riguarda il cosiddetto sistema agrivoltaico, cioè la possibilità di installare pannelli a più di due metri da terra, un’altezza che consente di utilizzare i campi per le coltivazioni. Questa modalità continuerà a essere consentita. L’agrivoltaico è decisamente più costoso rispetto all’installazione tradizionale coinvolta nel divieto chiamata “a terra”, ma rimarrà per gli agricoltori l’unico modo per produrre energia e avere un ritorno economico dagli impianti. Per continuare a installare i pannelli fotovoltaici, insomma, bisognerà sollevarli.

Il provvedimento approvato dal Consiglio dei ministri è il risultato di una mediazione tra il ministero dell’Agricoltura guidato da Francesco Lollobrigida e quello dell’Ambiente guidato da Gilberto Pichetto Fratin. Lollobrigida era sostenitore di un divieto più generalizzato chiesto anche dall’associazione degli agricoltori Coldiretti, che negli ultimi anni si è lamentata dell’espansione del fotovoltaico nei terreni agricoli. Secondo Lollobrigida e Coldiretti gli impianti fotovoltaici non sono compatibili con l’agricoltura e un divieto era necessario per salvaguardare le campagne.

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Pichetto Fratin è intervenuto per limitare il divieto perché favorevole allo sviluppo delle fonti rinnovabili per la produzione di energia anche attraverso l’utilizzo dei terreni agricoli. Durante il recente G7 Clima, Energia e Ambiente, organizzato a Torino, il ministro ha confermato l’impegno dell’Italia a triplicare la capacità di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili entro il 2030. Significa che l’Italia dovrà passare dagli attuali 66 gigawatt di potenza installata a 198 gigawatt attivando mediamente poco più di 20 gigawatt all’anno. Con un divieto generale di installare pannelli fotovoltaici nei terreni agricoli sarebbe stato quasi impossibile rispettare questo obiettivo già piuttosto ambizioso.

Il compromesso trovato, tuttavia, ha evitato il blocco di qualsiasi nuovo impianto nei terreni agricoli che era stato ipotizzato nei giorni scorsi. Si potranno continuare a mettere pannelli a terra nelle cave o nelle miniere, nei terreni di proprietà del gruppo Ferrovie dello Stato e dei gestori degli aeroporti, nelle aree interne degli impianti industriali e in quelle vicine alle autostrade. Non avranno problemi nemmeno gli impianti già autorizzati e tutti quelli previsti dagli investimenti del PNRR, il Piano nazionale di ripresa e resilienza che contiene riforme e investimenti finanziati da prestiti e sovvenzioni europee nell’ambito del Next Generation EU, di cui l’Italia beneficia per quasi 200 miliardi di euro. In particolare il divieto non riguarderà gli impianti legati alle comunità energetiche.

L’agrivoltaico, che continuerà a essere permesso, prevede l’installazione dei pannelli ad almeno due metri da terra: in questo modo si può sfruttare il terreno per le coltivazioni o per il pascolo degli animali e allo stesso tempo produrre energia. L’agrivoltaico però non piace agli operatori energetici perché l’installazione è più complessa e costosa.

Secondo Agostino Re Rebaudengo, presidente di Elettricità Futura, la principale associazione degli operatori dell’elettricità affiliata a Confindustria, il costo dell’agrivoltaico è doppio rispetto agli impianti a terra e non porta benefici agli agricoltori perché la maggior parte dei terreni con l’agrivoltaico rimane comunque incolta. «L’elevazione da terra aumenta le problematiche per il vento, per la tenuta e anche per l’impatto visivo», ha detto al Sole 24 Ore. «È possibile, a questo punto, che tutte le autorizzazioni richieste fino a oggi, con l’introduzione della nuova norma, si trasformino da impianti a terra ad agrivoltaici. Quale sarà il risultato finale per il paese? Per realizzare gli impianti si spenderà più del doppio e questo comporterà che alla fine l’energia elettrica costerà di più. Ci metteremo più tempo, perché tutte le autorizzazioni dovranno essere richieste di nuovo per l’agrivoltaico. Spenderemo di più, aumenteremo l’impatto visivo degli impianti e l’energia elettrica sarà più cara. Mentre una grande quantità di terreni agricoli resterà inutilizzata».

Negli ultimi giorni le associazioni degli operatori del fotovoltaico hanno criticato il provvedimento del governo con comunicati e pagine comprate sui principali giornali. È stata contestata soprattutto un’espressione utilizzata dal ministro Lollobrigida che nella conferenza stampa seguita al Consiglio dei ministri ha detto che il divieto metterà fine all’installazione “selvaggia” di fotovoltaico a terra. In realtà finora il terreno agricolo occupato dagli impianti fotovoltaici è circa lo 0,1 per cento del totale. Per rispettare gli impegni presi durante l’ultimo G7 Clima, Energia e Ambiente basterebbe raggiungere l’1 per cento del totale.