Uno degli agenti egiziani accusati dell’omicidio di Giulio Regeni fu tra gli investigatori che indagarono sul caso

È il colonnello Uhsam Helmi: lo provano alcune foto mostrate durante un'udienza del processo a suo carico in corso in Italia

Cartelli con alcuni disegni di Regeni appesi fuori dal tribunale a Roma
Cartelli con alcuni disegni di Regeni appesi fuori dal tribunale a Roma (Cecilia Fabiano/ LaPresse)
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Giovedì a Roma si è tenuta la sesta udienza del processo per l’omicidio di Giulio Regeni, il ricercatore italiano ucciso nel 2016 in Egitto in circostanze mai del tutto chiarite: dalle testimonianze degli investigatori italiani che parteciparono alle prime indagini nel paese è emerso che tra gli investigatori egiziani c’era anche il colonnello Uhsam Helmi, uno dei quattro agenti dei servizi segreti egiziani rinviati a giudizio in Italia per l’omicidio.

È un fatto significativo, perché in questi otto anni le autorità egiziane hanno cercato in tutti i modi di sviare le indagini sull’omicidio di Regeni, così come di impedire l’inizio del processo, che è infine cominciato grazie a una sentenza della Corte Costituzionale, nonostante non siano mai nemmeno state fornite le informazioni necessarie per notificare gli atti processuali agli indagati.

Giulio Regeni era un dottorando dell’università di Cambridge, nel Regno Unito, e si trovava al Cairo per fare alcune ricerche sui sindacati: scomparve il 25 gennaio del 2016 per poi essere trovato morto il 3 febbraio successivo nella periferia della città con molte contusioni, fratture e abrasioni. Giovedì alla Corte d’assise di Roma hanno parlato quattro investigatori del Reparto operativo speciale dei Carabinieri e del Servizio centrale operativo della polizia che parteciparono alle indagini congiunte con gli investigatori egiziani nei giorni successivi.

Uhsam Helmi in una delle foto scattate durante il sopralluogo del 10 febbraio del 2016 nel posto in cui la settimana precedente fu ritrovato il corpo di Regeni

Uhsam Helmi in una delle foto scattate durante il sopralluogo del 10 febbraio del 2016 nel posto in cui la settimana precedente era stato ritrovato il corpo di Regeni (ANSA)

Alcune fotografie scattate durante il sopralluogo del 10 febbraio del 2016 lungo la strada in cui fu trovato il corpo di Regeni mostrano che era presente anche Helmi. Commentando una di queste foto, mostrate in aula, il colonnello del Ros Loreto Biscardi ha detto che «quello con gli occhiali da sole è il colonnello Helmi», che sempre a suo dire «era presente molto spesso». Secondo le testimonianze raccolte giovedì, Helmi aveva partecipato a quasi tutti gli incontri tra gli investigatori italiani ed egiziani, per esempio durante i sopralluoghi nella casa in cui stava Regeni, scrive Repubblica.

Oltre a lui, le persone rinviate a giudizio per l’omicidio sono il generale Tariq Sabir, il colonnello Athar Kamel e il maggiore Magdi Sharif: sono tutti accusati di concorso in lesioni personali aggravate, omicidio aggravato e sequestro di persona aggravato.

Durante l’udienza Alessandro Gallo della squadra investigativa italiana ha ricordato i vari depistaggi delle autorità egiziane per spiegare la morte di Regeni, che fu attribuita prima a un incidente stradale, poi a un omicidio avvenuto nell’ambito di una relazione omosessuale, al traffico di opere d’arte rubate e a un regolamento di conti tra trafficanti di droga. «All’inizio ci fu una apparente collaborazione», ha detto il direttore del Servizio centrale operativo della polizia Vincenzo Nicolì: nessuna delle versioni fornite dall’Egitto però aveva «riscontri oggettivi» compatibili con i risultati delle indagini svolte dalle squadre italiane.

Alessandra Ballerini, avvocata della famiglia di Regeni, ha detto che dall’udienza di giovedì sono emersi «l’assoluta mancata collaborazione egiziana, l’ostruzionismo e i depistaggi», ma anche «il clima di intimidazione» dell’Egitto. Agli investigatori italiani «di fatto era impedito di fare domande dirette», ha commentato, aggiungendo che tra le altre cose gli investigatori egiziani si rifiutavano di fare domande ai testimoni se le ritenevano non pertinenti oppure scomode.