L’organizzazione che sfruttava nei campi i migranti di un centro di accoglienza, in Toscana

Venivano prelevati all'alba e portati intorno a Livorno e Grosseto fino al tramonto, pagati pochi euro all'ora e senza minime misure di sicurezza

Braccianti al lavoro nei campi
Braccianti al lavoro nei campi (AP Photo/Alessandra Tarantino)
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I carabinieri di Livorno hanno scoperto un’organizzazione che sfruttava le persone migranti ospitate in un centro di accoglienza straordinaria (CAS) di Piombino, in provincia di Livorno: una settantina di loro veniva prelevata ogni mattina all’alba, portata a lavorare nei campi e riportata nel centro di accoglienza alla sera dopo turni da oltre dieci ore pagati anche meno di tre euro all’ora. Lo sfruttamento di quelle persone era completamente illegale: lavoravano in condizioni proibitive, senza contratti e senza documenti, senza tutele e misure di sicurezza.

L’indagine è durata nove mesi, durante i quali i carabinieri hanno controllato i movimenti dei migranti nel centro di accoglienza La Caravella, nella zona a sud di Piombino. Sono stati utilizzati droni e microfoni nascosti per controllare gli spostamenti e intercettare le comunicazioni tra i membri dell’organizzazione.

Lunedì sono state arrestate dieci persone di origine pakistana, accusate di intermediazione illecita (un reato più noto con il nome di “caporalato”) e sfruttamento del lavoro. Sei di loro avevano aperto una partita IVA per lavorare nel settore agricolo, altri quattro erano i “caporali” che ogni mattina andavano al centro di accoglienza straordinaria per reclutare i migranti. Uno dei caporali è latitante all’estero. La procura ha chiesto e ottenuto il sequestro dei conti correnti delle aziende sui quali erano stati depositati circa 45mila euro.

I migranti, quasi tutti originari del Pakistan o del Bangladesh, venivano portati nei campi di aziende agricole nelle province di Livorno e Grosseto, o in alcune vigne in provincia di Livorno. Erano impiegati soprattutto per lavori di fatica, come la zappatura, oppure per la raccolta della verdura. Alla fine della giornata i lavoratori, senza contratto, venivano pagati molto al di sotto delle soglie fissate dal contratto nazionale dei lavoratori agricoli: nel migliore dei casi la paga era di nove euro all’ora, ma più spesso non arrivava a tre euro. In alcuni casi venivano pagati anche meno di un euro all’ora. La retribuzione di un bracciante agricolo in regola è poco meno di 12 euro all’ora. Capitava di frequente che i soldi venissero versati in ritardo di mesi oppure mai versati.

La procura ha motivato l’accusa di sfruttamento con le intercettazioni. Nei dialoghi registrati durante le indagini i migranti si lamentavano della mancanza di cibo e acqua durante il lavoro, oppure dei turni troppo lunghi. Sentiti dai carabinieri, i lavoratori sfruttati hanno detto di aver risposto alle richieste dei caporali perché avevano bisogno di mandare soldi alle famiglie rimaste in patria. In una delle intercettazioni una delle persone accusate dice che avrebbe mandato i lavoratori nei campi a piedi nudi in un giorno di pioggia, per non farli rimanere impantanati con le scarpe. Per questo motivo l’inchiesta è stata chiamata «piedi nudi», nonostante il nuovo regolamento approvato nel 2021 dal governo vieti alle procure di dare nomi fantasiosi o a effetto alle inchieste.

Lo sfruttamento delle persone migranti ospitate nei centri di accoglienza è una pratica diffusa da anni soprattutto nelle regioni del Sud. Uno dei casi più recenti è stato scoperto dalla procura di Perugia a febbraio, quando sono stati indagati per caporalato due dirigenti di una cooperativa sociale di Perugia legata alla Caritas: secondo l’accusa, tra la fine del 2019 e l’inizio del 2021 avrebbero reclutato nelle strutture di accoglienza 31 migranti provenienti dall’Africa e dall’Asia, per farli lavorare in condizioni pessime e per pochi euro all’ora in aziende agricole umbre. Il processo inizierà il 7 giugno.

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