Il posto da cui arrivano gli arredi dei palazzi pubblici francesi

Il Mobilier national è l'istituto che cura gli interni di residenze ufficiali, ministeri, musei o ambasciate del paese, e ha una storia molto lunga

Il presidente francese François Hollande seduto alla sua scrivania nel palazzo dell'Eliseo a Parigi, il 24 febbraio del 2015
Il presidente francese François Hollande seduto alla sua scrivania nel palazzo dell'Eliseo a Parigi, il 24 febbraio del 2015 (AP Photo/ Eric Feferberg, Pool)
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Durante l’ultimo Salone del Mobile di Milano è stato presentato anche un divano disegnato dagli architetti francesi Clémence Plumelet e Geoffrey Pascal e fatto con grossi cuscini assicurati a una struttura di legno da cinghie e fibbie che ricordano quelle di una vecchia valigia. Il prototipo del divano era stato progettato nell’Atelier de recherche et de création (ARC) del Mobilier national, l’istituzione affiliata al ministero della Cultura che si occupa degli arredi dei palazzi pubblici francesi, dalle scrivanie per il palazzo dell’Eliseo o l’hôtel de Matignon, rispettivamente la residenza del presidente della Repubblica e del primo ministro a Parigi, alle poltrone di ministeri, musei o delle ambasciate francesi all’estero.

A oggi il Mobilier national non si occupa solo di gestire circa 130mila oggetti tra mobili, lampade, tappeti o arazzi realizzati fin dal tardo Medioevo, ma anche di produrne di nuovi che a volte finiscono nei luoghi pubblici in tutto il paese, e a volte diventano appunto oggetti di design.

Le Monde ha definito il Mobilier national «un’anomalia francese» perché è un po’ «una bolla fuori dal tempo, fuori dall’industria di settore e dagli obblighi economici» che questo comporterebbe. La sua storia risale al 1604, quando durante il regno di Enrico IV venne istituito il Garde-Meuble de la Couronne, l’istituzione incaricata del trasporto, della manutenzione e della posa degli arredi nelle varie residenze in cui la famiglia reale si spostava durante l’anno.

La sede del Mobilier national a Parigi

La sede del Mobilier national a Parigi (Martin Noda/ Hans Lucas via Contrasto)

L’istituzione fu sviluppata in particolare durante il regno di Luigi XIV, nella seconda metà del Seicento, con la commissione di arredi e prodotti tessili alle manifatture francesi più importanti, anche per rafforzare l’economia del paese. Durante la Rivoluzione francese fu soppressa per poi essere ripristinata, prima come Mobilier impérial e infine come Mobilier national, che comprende proprio cinque manifatture storiche. Nel 1964, con la presidenza di Charles de Gaulle, fu inoltre aperto il suo atelier, il laboratorio di progettazione rivolto a designer sia emergenti sia esperti che aveva l’obiettivo di stimolare l’industria del design francese e di ravvivare al tempo stesso l’immagine delle istituzioni.

Tramite il Mobilier national, per esempio, tra gli anni Sessanta e Ottanta l’architetto francese Pierre Paulin arredò alcuni saloni dell’Eliseo su commissione dei presidenti francesi Georges Pompidou e François Mitterrand, e disegnò anche le panche del museo del Louvre, note per le forme morbide e sinuose. Ma il Mobilier national ha realizzato anche gli sportelli per l’accesso ai servizi pubblici del paese e il padiglione della Francia per l’Expo del 2018 a Montréal, in Canada, oltre ad aver arredato ospedali, carceri, scuole.

Un decoratore al lavoro nei laboratori del Mobilier national, il 13 settembre del 2018

Un decoratore al lavoro nei laboratori del Mobilier national, il 13 settembre del 2018 (EPA/ Etienne Laurent via ANSA)

Sono stati prodotti dal Mobilier national gli sgabelli con la seduta arrotondata di Roger Tallon, che ricordano delle lampadine, ma anche le 160 sedie di Patrick Jouin per la sala ovale della Biblioteca nazionale francese. La maggior parte dei suoi oggetti però è composta da opere uniche, fatte appositamente per gli uffici governativi, e anche estrose, come la curiosa poltrona con gambe fatte da spirali dorate che hanno all’interno un serpente, dei dadi, un carciofo e una riproduzione della Venere di Milo a testa in giù: una creazione del designer Sylvain Dubuisson per il ministro della Cultura Jack Lang negli anni Novanta.

Il suo atelier ha prodotto anche il nuovo tavolo per il Consiglio dei ministri all’Eliseo, disegnato nel 2020 da quattro studenti dell’École Nationale Supérieure des Arts Appliqués et des Métiers d’Art nell’ambito di un concorso.

Il nuovo tavolo per il Consiglio dei ministri al palazzo dell'Eliseo di Parigi

Il nuovo tavolo per il Consiglio dei ministri al palazzo dell’Eliseo di Parigi (Karim Daher/ Hans Lucas, via Contrasto)

Il processo creativo agli ARC «è sempre lo stesso», ha detto a Le Monde il suo direttore, Jérôme Bescond. I progetti vengono scelti da una commissione composta da curatori, artisti, storici dell’arte, imprenditori, galleristi e rappresentanti del ministero della Cultura, oltre al direttore del Mobilier national, Hervé Lemoine, che la presiede. Ogni progetto viene poi assegnato a un artigiano, che segue la sua realizzazione dall’inizio alla fine, collaborando con chi lo ha disegnato e con le decine di addette e addetti che si occupano anche di attività di manutenzione e restauro.

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Jouin racconta che «tutti sognano di lavorare con l’ARC», in parte perché aiuta molti designer a farsi un nome, e in parte perché lavorare per lo stato contribuisce a dare visibilità al settore. Concordano anche altre artiste e artisti sentiti sempre da Le Monde, secondo cui al Mobilier national ci sono molta più attenzione alla ricerca e meno pressioni sui tempi rispetto al settore privato, che di contro però paga di più. Una di queste è Matali Crasset, autrice della scrivania dell’ex ministra della Cultura francese Aurélie Filippetti, usata oggi da Brigitte Macron, la moglie del presidente francese Emmanuel Macron.

Un addetto al lavoro su una tappezzeria nei laboratori del Mobilier national, il 17 settembre del 2019

Un addetto al lavoro su una tappezzeria al Mobilier national, il 17 settembre del 2019 (EPA/ Julien de Rosa via ANSA)

Circa un decimo degli oggetti progettati per gli edifici pubblici francesi viene effettivamente prodotto, mentre altri vengono poi messi in commercio. Le poltrone Montreal di Olivier Mourgue, per esempio, furono prodotte dall’azienda Airborne dopo la realizzazione del Mobilier national negli anni Sessanta. Le sedie Orria, quelle della Biblioteca nazionale, sono state leggermente modificate e messe in vendita dall’azienda del sud-ovest della Francia Alki per più di 1.550 euro l’una.

Altri oggetti verranno prodotti in serie a breve, come la poltrona con struttura a tubo e seduta e schienale in fòrmica progettata da René-Jean Caillette negli anni Ottanta.

Il salone Paulin nel palazzo dell'Eliseo fotografato il 17 settembre del 2023 (Virginie Haffner/ Hans Lucas via Contrasto)

Il salone Paulin nel palazzo dell’Eliseo fotografato il 17 settembre del 2023 (Virginie Haffner/ Hans Lucas via Contrasto)

Lemoine ha notato che quella del Mobilier national è un’attività perlopiù sconosciuta al grande pubblico con un budget di alcuni milioni di euro all’anno. Nel settore del design attira anche qualche critica da parte di chi sostiene che investa su progetti troppo diversi e non abbia una visione sul lungo termine.

Il fatto che sia un ente abbastanza anonimo l’ha quasi sempre tenuto lontano da critiche e polemiche. Nel 2019 però un’analisi della Corte dei conti francese sulle spese pubbliche l’ha descritto come un’istituzione poco produttiva, che aveva bisogno di «una profonda trasformazione». La Corte dei conti segnalava tra le altre cose una gestione «sclerotica» dei suoi circa 350 dipendenti e una produzione notevolmente calata: in 52 anni, fino al 2011, aveva prodotto 1.041 oggetti, ma nei sette successivi solo 25, meno di quattro all’anno, di cui tre quarti secondo la Corte inutilizzati.

Negli ultimi anni di conseguenza il Mobilier ha subìto alcuni cambiamenti e ha avviato alcune iniziative, tra cui la produzione di arredi assieme a marchi di design, che vengono venduti in cambio di una percentuale riconosciuta all’istituzione. È un compromesso che secondo Lemoine è ancora «lontano dai volumi produttivi dei marchi di design di massa» e al tempo stesso compensa lo Stato «per le attività di ricerca e sviluppo che rende possibili».

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