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  • Martedì 23 aprile 2024

Perché quasi nessun europarlamentare italiano ha votato a favore del Patto di stabilità

La riforma è stata promossa da un commissario europeo del PD e approvata dal governo di Giorgia Meloni, ma a molti in questo momento conviene fare finta di niente

L'europarlamentare leghista Marco Zanni (EPA/RONALD WITTEK)
L'europarlamentare leghista Marco Zanni (EPA/RONALD WITTEK)
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Martedì il Parlamento europeo riunito in sessione plenaria ha approvato in via definitiva la riforma del Patto di stabilità, ossia l’insieme di complesse regole fiscali a cui sono sottoposti tutti gli stati membri dell’Unione Europea. Il Patto condiziona soprattutto i paesi col debito pubblico più ingente e con la tendenza a mantenere piuttosto alto il deficit annuale, come l’Italia (il deficit è la differenza tra le entrate e le uscite nel bilancio di uno stato). Per questa ragione il governo italiano guidato da Giorgia Meloni aveva negoziato per mesi i punti del testo, per poi approvarlo nel dicembre del 2023 in sede di Consiglio dell’Unione Europea (l’organo in cui sono rappresentati i governi dei 27 paesi membri). Quello stesso testo si basava poi su una proposta originaria del Commissario europeo agli Affari economici, l’italiano Paolo Gentiloni, espressione del Partito Democratico.

Eppure, nonostante il Patto sia stato elaborato da un importante leader del PD e sia stato approvato dal ministro dell’Economia italiano Giancarlo Giorgetti, al voto finale di martedì nessun partito italiano rappresentato al Parlamento Europeo ha votato a favore del testo: quasi tutti si sono astenuti, il Movimento 5 Stelle ha votato contro. Tre soli europarlamentari italiani hanno votato a favore al più rilevante dei voti sulla nuova riforma: Lara Comi di Forza Italia, Herbert Dorfmann della Südtiroler Volkspartei e Marco Zullo, ex M5S che oggi non fa parte di alcun partito ma siede nel gruppo parlamentare di Renew, cioè dei liberali.

Nessun partito italiano, insomma, ha voluto “intestarsi” dal punto di vista politico l’approvazione del Patto. Le nuove norme sono complesse: per i paesi più indebitati prevedono piani di spesa individuali della durata di quattro anni, prorogabili fino a sette anni, che permettano di ridurlo e rimettersi in linea con gli standard europei. Sono poi previsti degli obiettivi generali: per esempio, i paesi che come l’Italia hanno un rapporto tra debito e PIL superiore al 90 per cento dovranno ridurre il proprio debito pubblico di un punto percentuale all’anno.

Sono norme considerate sulla carta più morbide rispetto al passato ma quelle più rigide non sono mai state applicate, quindi non è chiaro se in futuro potrebbero danneggiare o avvantaggiare l’Italia. Molto dipenderà anche da come sceglierà di interpretarle la nuova Commissione Europea, che si insedierà in estate dopo le elezioni europee (la Commissione è l’istituzione europea che ha il compito di monitorare le politiche fiscali dei governi nazionali). Nel dubbio, nessun partito ha voluto schierarsi a favore.

Non ha aiutato il fatto che in Italia ormai da settimane è iniziata la campagna elettorale in vista delle europee: nessun partito ha voluto esporsi a eventuali attacchi politici dei propri avversari.

La Lega, a cui appartiene Giorgetti, aveva fatto sapere già in mattinata che si sarebbe astenuta. In un comunicato stampa aveva spiegato che il nuovo Patto di stabilità, sebbene migliorato «rispetto alla proposta iniziale grazie al lavoro e all’impegno del ministro Giorgetti», rappresenta «un compromesso che purtroppo presenta ancora elementi critici». Anche gli altri partiti della maggioranza si sono astenuti: Fratelli d’Italia non fa parte della maggioranza che gestisce i lavori al Parlamento europeo, e la sua astensione è quindi più comprensibile.

Forza Italia invece è stato uno dei pochi partiti nazionali che appartengono al Partito Popolare Europeo, il principale partito europeo di centrodestra, ad astenersi.

Quanto al Partito Democratico si discuteva da giorni di cosa fare al momento del voto. Subito dopo la diretta Instagram in cui aveva annunciato che non avrebbe messo il proprio cognome sul simbolo del partito, la segretaria Elly Schlein aveva convocato una riunione con alcuni membri della segreteria, alcuni parlamentari ed europarlamentari per discutere sul da farsi. Nella riunione erano emersi approcci contrastanti. Peppe Provenzano, responsabile Esteri ed espressione dell’area più di sinistra del partito, aveva proposto di votare contro la riforma. L’area più moderata, rappresentata dal senatore Alessandro Alfieri (responsabile per le Riforme) e dall’europarlamentare Irene Tinagli, aveva detto di preferire votare a favore. Alla fine Schlein ha optato per il compromesso e chiesto ai propri europarlamentari di astenersi.

Alla fine gli unici europarlamentari italiani a votare contro sono stati quelli del Movimento 5 Stelle, che da mesi si oppone alla versione definitiva della riforma con toni molto netti. «Chi vota sì a questo Patto di Stabilità tradisce l’Italia e i suoi cittadini», ha detto oggi la capogruppo del M5S al Parlamento Europeo, Tiziana Beghin.