Una sentenza della Cassazione su una multa per eccesso di velocità sta facendo discutere

È stato accolto il ricorso di un avvocato di Treviso perché l'autovelox era “approvato” ma non “omologato”: la decisione potrebbe fare giurisprudenza per moltissimi altri casi

Una pattuglia della polizia municipale di Roma Capitale esegue controlli della velocità con un autovelox (Ansa/Alessandro De Meo)
Una pattuglia della polizia municipale di Roma Capitale esegue controlli della velocità con un autovelox (Ansa/Alessandro De Meo)

Giovedì scorso una sentenza della Corte di Cassazione, l’organo più alto in grado della giustizia italiana, ha annullato una multa per eccesso di velocità emessa nei confronti di Andrea Nalesso, un avvocato di Treviso. Nalesso era stato multato per aver superato di 7 chilometri orari il limite di velocità sulla tangenziale della città, che è di 90 chilometri orari. La Cassazione ha annullato la multa perché l’autovelox (marchio registrato di un’azienda fiorentina, la Sodi, con cui in Italia chiamiamo comunemente tutti i rilevatori che negli altri paesi vengono chiamati semplicemente “radar”) che aveva rilevato la velocità della macchina di Nalesso era stato approvato, ma non omologato come richiesto dal codice della strada.

Di questa sentenza si sta parlando molto sui giornali locali e nazionali perché potrebbe essere applicata a una gran quantità di casi. Le sentenze della Cassazione hanno un ruolo importante nell’interpretazione delle leggi e vengono spesso usate dai giudici come orientamento per decidere su altri casi simili, e potrebbe quindi avere molte conseguenze. In particolare, i giudici di pace – gli organi di primo grado nel caso di ricorsi presentati da automobilisti – potrebbero basarsi sulla sentenza della Corte per annullare le multe in tutti i casi in cui gli autovelox fossero approvati ma non omologati.

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Il modo corretto di interpretare l’omologazione e approvazione degli autovelox è da anni al centro di un dibattito che coinvolge la giurisprudenza, secondo cui i termini indicano due procedure differenti, e il ministero dei Trasporti, che al contrario sostiene che indichino la stessa procedura. Questo perché la formulazione del Regolamento d’attuazione del codice della strada è poco chiara e non consente di distinguere agevolmente la distinzione tra le due procedure, che vengono quindi intese in maniere diverse a seconda delle necessità.

Le parole «omologazione» e «approvazione» compaiono nell’articolo 192 del Regolamento, che viene citato in tutte le sentenze relative ai ricorsi presentati da automobilisti multati per eccesso di velocità. L’omologazione è una procedura di competenza del ministero per lo Sviluppo economico, che prevede che l’autovelox venga testato in laboratorio per accertare la presenza di alcune caratteristiche fondamentali previste dal Regolamento, mentre la procedura di autorizzazione, stando all’interpretazione della giurisprudenza più diffusa, riguarda la verifica di elementi che non sono esplicitamente indicati nel Regolamento.

Mentre l’approvazione è di competenza del ministero dei Trasporti, non è chiaro chi debba svolgere la procedura di omologazione. Il Decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285, la principale norma di riferimento per la circolazione stradale, stabiliva che i dispositivi per il controllo della velocità, come per l’appunto gli autovelox, dovessero essere «soggetti all’approvazione od omologazione da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti». Nel 2015 però una sentenza della Corte Costituzionale stabilì che il Decreto fosse incostituzionale, perché non prevedeva esplicitamente che tutte le «apparecchiature impiegate nell’accertamento delle violazioni dei limiti di velocità» fossero sottoposte a «verifiche periodiche di funzionalità e taratura». Dato che il sistema nazionale di taratura è di competenza del MISE, lo stesso MISE sostiene che debba esserlo anche la procedura di omologazione degli autovelox.

Nel 2020 il ministero dei Trasporti aveva diffuso una circolare in cui spiegava che le procedure di approvazione e di omologazione dei dispositivi di rilevamento automatico sono equivalenti e che, di conseguenza, gli autovelox approvati ma non omologati possono essere utilizzati per accertare violazioni di velocità. Questo perché, spiegava il ministero, l’art. 192 del Regolamento di esecuzione, al comma 1, dice che «Ogni volta che nel codice e nel presente regolamento è prevista la omologazione o la approvazione…». Secondo il ministero questa formulazione indicherebbe «la perfetta equivalenza dei due termini».

Un altro motivo che finora ha indotto il ministero a considerare le due procedure equivalenti è che il comma 3 dell’articolo 192, quello relativo all’approvazione, richiama esplicitamente la procedura del comma 2, quello relativo all’omologazione:

Quando trattasi di richiesta relativa ad elementi per i quali il presente regolamento non stabilisce le caratteristiche fondamentali o particolari prescrizioni, il ministero dei Lavori pubblici approva il prototipo seguendo, per quanto possibile, la procedura prevista dal comma 2.

Inoltre, sempre secondo il ministero, la terminologia usata dal Regolamento stabilirebbe «la totale equivalenza delle procedure di approvazione e di omologazione», dato che i due vocaboli vengono spesso «utilizzati sistematicamente in correlazione tra loro, uniti dalla congiunzione coordinativa “od”», che indicherebbe quindi un’alternativa tra le due parole, e non da “e”, che avrebbe indicato invece il fatto che sono entrambe obbligatorie.

La giurisprudenza sostiene invece che vi sia una chiara distinzione tra le due procedure. Per esempio, una sentenza del 2019 emessa dal giudice di pace di Milano diceva:

Vi è una distinzione chiara e netta tra l’omologazione e l’approvazione dei dispositivi elettronici, non tanto sulla procedura (poiché il comma 3 dell’art. 192 C.d.S. richiama il comma 2), quanto sulla finalità perseguita: nel caso dell’approvazione, il Legislatore ha richiesto vincoli meno stringenti per accertamenti che richiedono una minor precisione; nel caso dell’omologazione, vincoli più forti di rispondenza a determinate caratteristiche e prescrizioni, poste, evidentemente, nell’interesse della collettività, a presidio della garanzia del diritto di difesa. Pertanto, la sua mancanza si traduce in un vulnus alle garanzie dei cittadini che subiscono gli accertamenti.

Questo principio era stato poi confermato da altre due sentenze, una del giudice di pace di Padova e una del giudice di pace di Treviso, ed è stato ripreso anche dalla Cassazione nella sentenza di giovedì scorso. Il giudice di pace è un giudice onorario che svolge quella funzione temporaneamente, e che può esprimersi su controversie di minore importanza rispetto ai giudici ordinari.

La sentenza della Cassazione potrebbe avere risvolti concreti: in un’intervista a Repubblica, il direttore veneto dell’associazione dei comuni (ANCI) Carlo Rapicavoli ha detto che gli autovelox approvati ma non omologati sono «la stragrande maggioranza di quelli che si trovano tra le strade». Per questo motivo, secondo Rapicavoli, il parlamento dovrebbe impegnarsi ad approvare una legge che fissi una chiara distinzione tra omologazione e approvazione, o che quantomeno stabilisca in modo chiaro l’equivalenza tre le due procedure. «La legge parla di approvazione e omologazione come fossero la stessa cosa, ma secondo un filone giurisprudenziale maggioritario sono distinte», ha spiegato sempre a Repubblica Emanuele Ficara, un avvocato che si occupa di violazioni del codice della strada.

L’Italia è il paese europeo con il maggior numero di autovelox. Secondo gli ultimi dati disponibili, nel 2021 erano attivi 14.297 sistemi di rilevamento della velocità tra fissi e mobili, sistemi cosiddetti Tutor (cioè che misurano i tempi di percorrenza tra un punto e un altro in autostrada) e telecamere posizionate su semafori o incroci. Negli ultimi tre anni i rilevatori sono aumentati del 40 per cento. Il 76 per cento è al Nord, con una prevalenza in Veneto, seguita da Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna.