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  • Mercoledì 3 aprile 2024

C’è un problema di criminalità nel parlamento indiano

Nel senso che molti parlamentari sono gangster condannati per reati molto gravi, e quasi tutti saranno rieletti alle prossime elezioni

di Diego Maiorano

Poliziotti indiani
Poliziotti indiani (AP Photo/Altaf Qadri)
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Tra il 19 aprile e il 1° giugno di quest’anno in India si voterà per rinnovare il parlamento, che dovrà poi nominare un nuovo governo: molto probabilmente una buona parte degli eletti avrà precedenti penali. Nell’attuale parlamento, il 43 per cento dei deputati ha processi penali in corso. Molti di questi sono legati all’attivismo e al contesto politico (proteste, picchetti, lotta non violenta), in un paese nel quale, a partire da Gandhi, che passò anni in carcere per le sue attività di protesta contro il regime coloniale britannico, trascorrere un periodo in prigione è diventato piuttosto comune per i politici.

Ma il 29 per cento dei parlamentari è accusato di crimini molto seri. Undici parlamentari sono accusati di omicidio e altri trenta di tentato omicidio. I parlamentari accusati di crimini gravi sono più che raddoppiati dal 2009 e rappresentano tutti i principali partiti del paese.

Tra i candidati alle elezioni del 2024 ci sarà per esempio Afzal Ansari, un deputato che, nell’aprile 2023, era stato condannato a quattro anni di carcere per il suo coinvolgimento nell’omicidio di un avversario politico, Krishnanand Rai, che fu ucciso nel 2005 assieme ad altre sei persone. Il fratello di Afzal, Mukhtar Ansari, fu coinvolto anche lui nell’omicidio, è stato condannato all’ergastolo ed era in carcere dal 2005, ma nonostante questo è stato eletto nel parlamento statale cinque volte, tre delle quali dal carcere. Mukhtar è morto quest’anno, ma suo figlio Abbas, eletto nel 2022 nel seggio che fu del padre, è stato da poco scarcerato su cauzione ed è in attesa di processo per possesso di armi da fuoco.

La famiglia Ansari non è un esempio isolato di gangster che entrano in politica in India.

Fin dall’indipendenza dell’India nel 1947, i partiti politici hanno spesso utilizzato i servizi di criminali e picchiatori (che nel gergo politico indiano sono chiamati “strongmen”, uomini forti) per intimidire gli avversari, finanziare il proprio partito, distribuire soldi, regali o alcolici agli elettori e assicurarsi che l’amministrazione rispondesse alle proprie esigenze politiche. Ai criminali ingaggiati, in cambio, i partiti fornivano protezione dalla legge e favoritismi nell’assegnazione di fondi pubblici.

A partire dagli anni ’80, però, molti criminali sono entrati direttamente in politica. Se nei primi decenni dopo l’indipendenza dal Regno Unito un unico partito (il Congresso) vinceva sistematicamente le elezioni e poteva garantire protezione ai propri uomini, dagli anni ’80 in poi il sistema politico è diventato più competitivo: il Congresso ha perso il monopolio del governo del paese e con questo la capacità di proteggere i propri alleati nella criminalità organizzata. Con l’aumentare dell’incertezza elettorale, diversi gruppi criminali capirono che il miglior modo per perseguire i propri interessi economici e garantirsi protezione dalla polizia e da gruppi rivali era entrare nelle istituzioni in prima persona e manovrarle dall’interno.

Quasi tutti i partiti iniziarono a candidare boss locali in grado di mobilitare uomini, elettori e, soprattutto, soldi. Alla fine degli anni ’60 l’India cessò di avere un sistema legale per il finanziamento dei partiti politici (è possibile fare alcune donazioni legali, ma il sistema è così macchinoso che la quasi interezza del finanziamento ai partiti avviene in nero e per vie illegali). La criminalità divenne a quel punto un interlocutore importante per la politica, perché poteva fornire i soldi di cui i partiti avevano bisogno, chiedendo in cambio l’appoggio del partito ai propri esponenti.

Si instaurò un circolo vizioso: candidati ricchi (criminali e non) iniziarono a essere presenti nelle liste di candidati in tutti i partiti. Gli eletti sfruttavano poi la propria posizione per recuperare l’investimento. Secondo uno studio del 2014, le persone che entravano in parlamento vedevano la propria ricchezza crescere in media del 222 per cento nell’arco di un mandato. Oggi l’88 per cento dei parlamentari ha un patrimonio di più di 110.000 euro: una cifra altissima in un paese con un PIL pro capite di circa 2.000 euro. In media, un membro del parlamento è proprietario di beni equivalenti a 2.4 milioni di euro. È come se, fatte le proporzioni, i parlamentari italiani avessero un patrimonio, in media, di quasi 40 milioni di euro ognuno.

I boss locali non avevano solo grandi disponibilità economiche: in molti casi, godevano di grande popolarità sul territorio e, soprattutto dagli anni ’90, dimostrarono di poter vincere anche senza truccare le elezioni. Oggi le probabilità di vittoria di un candidato con processi penali in corso sono il triplo di quelle di un candidato senza problemi legali.

Mukhtar Ansari, il politico-gangster condannato all’ergastolo per l’omicidio del rivale, per esempio, aveva costruito la sua popolarità presentandosi come protettore dei più deboli, in un paese marcato da fortissime diseguaglianze economiche e sociali (soprattutto legate al sistema castale, che divide la popolazione in gruppi e li ordina gerarchicamente secondo il grado di “purezza rituale”). In un’intervista, Mukhtar dichiarò che tutte le persone che aveva ucciso (non si è mai saputo quante fossero) se l’erano meritato e che se qualcuno avesse oppresso i poveri del suo distretto li avrebbe difesi.

Atiq Ahmed, un altro gangster entrato in politica che è stato ucciso nel 2023 in diretta tv mentre veniva portato in tribunale, dirigeva un’amministrazione parallela nel suo distretto che garantiva beni e servizi che le persone comuni non riuscivano a ottenere dallo stato. A parte pagare di tasca propria funerali, matrimoni o debiti, Ahmed garantiva che i poveri ricevessero le pensioni, che gli insegnanti si presentassero a lezione e che gli ospedali curassero gratuitamente chi non poteva permettersi di pagare. In molti casi, funzionari statali frustrati da una burocrazia paralizzata si rivolgevano ad Ahmed per sbloccare delle pratiche o per chiedergli il permesso di aprire cantieri o concedere autorizzazioni.

Pappu Yadav, un ex parlamentare condannato all’ergastolo per omicidio, garantiva assistenza sanitaria gratuita intimidendo il personale medico e imponendo di curare gratuitamente chi non poteva permettersi di pagare. Arun Gawli, (un ex parlamentare di Mumbai), oltre a controllare il racket delle estorsioni e altre attività criminali, garantiva l’emissione delle tessere necessarie per ottenere cibo a prezzi sussidiati, permessi di costruzione, allacciamenti alla rete elettrica e idrica, pensioni e protezione dalla polizia.

Molti gangster-politici hanno origini umili (economiche e castali) e hanno ottenuto fama, potere e ricchezza attraverso l’illegalità – come i protagonisti del romanzo vincitore del Booker Prize La tigre bianca di Aravind Adiga o della serie Netflix Khakee. Anche questo elemento – una solidarietà di classe e di casta – ha contribuito a trasformare i boss in politici molto popolari.

Vista l’enorme presenza di politici condannati, in vista di queste elezioni la commissione elettorale indiana ha progettato un sistema che permette agli elettori di sapere se il candidato del proprio distretto ha precedenti penali o processi in corso. Ma la popolarità dei gangster-politici rimane comunque molto forte in un paese in cui gran parte della popolazione vive ancora in stato di povertà – l’83 per cento della popolazione guadagna meno di 5,50 dollari al giorno – e ha a che fare ogni giorno con uno stato che funziona secondo logiche clientelari o a favore delle élite, economiche e castali.

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