Quello che fu e non fu Harry Houdini
Nato il 24 marzo di 150 anni fa, il più celebre illusionista di tutti i tempi si dedicò anche a confutare chi sosteneva di avere abilità paranormali
La locandina che nel 1908 promuoveva uno dei numeri più noti di Harry Houdini, il “Milk Can Escape”, diceva che «un fallimento avrebbe comportato la morte per annegamento». Naturalmente il celeberrimo illusionista riusciva ogni volta a liberarsi dal bidone per il latte pieno d’acqua in cui era stato chiuso con le manette ai polsi.
Al tempo nessuno capiva come riuscisse a divincolarsi da catene o camicie di forza mentre era bloccato in bauli o vasche piene d’acqua nei suoi numeri di escapologia. Nonostante avesse costruito la propria fama proprio sull’illusionismo e per così dire sulla “magia”, Houdini, che nacque il 24 marzo di 150 anni fa, credeva nel progresso scientifico e per anni si dedicò anche a confutare presunti veggenti e persone che dicevano di avere poteri soprannaturali.
Houdini, il cui vero nome era Erik Weisz, era nato il 24 marzo del 1874 a Budapest, 150 anni fa, nell’allora Impero austro-ungarico. Figlio di un rabbino, si trasferì con la famiglia negli Stati Uniti a quattro anni, prima nel Wisconsin e poi a New York. Per un po’ fece il trapezista in un circo e attorno al 1890 iniziò a fare trucchetti di carte negli spettacoli di vaudeville (un genere di varietà famoso tra la fine dell’Ottocento e gli anni Trenta), senza grande successo. Cominciò a farsi un nome attorno al 1900 grazie ai numeri in cui riusciva appunto a liberarsi da manette, catene o camicie di forza con imprese spettacolari e ritenute impossibili, che lo portarono a esibirsi per sei mesi al teatro Alhambra di Londra.
Da allora Houdini fece spettacoli di carte, di illusionismo ed escapismo anche all’aperto negli Stati Uniti e nel Regno Unito, ma anche nei Paesi Bassi, in Germania, Francia e Russia, diventando uno degli intrattenitori più famosi e meglio pagati del tempo. Inizialmente era conosciuto come “The Handcuff King”, il re delle manette: prese il nome con cui è noto ancora oggi dall’illusionista francese Jean-Eugène Robert-Houdin, anche se in seguito criticò i suoi numeri in un libro, che fu a sua volta contestato da altri illusionisti e ricercatori.
Uno dei numeri più famosi di Houdini era quello della cella della tortura cinese dell’acqua, che presentò per la prima volta a Berlino nel settembre del 1912: veniva chiuso a chiave in una cassa di vetro piena d’acqua dopo esservi stato sospeso a testa in giù, legato dai piedi. In altri si buttava in un fiume da un ponte, ammanettato, per poi riaffiorare dall’acqua con le mani libere, oppure si divincolava da una camicia di forza mentre stava sospeso a venti metri d’altezza, legato sempre per i piedi. Certi numeri erano adattamenti di quelli di altri illusionisti, come quello dell’inglese Charles Morritt in cui per così dire veniva fatto “sparire” un asino. Nel 1917 Houdini, che era bravo a promuoversi sulla stampa e al tempo stesso amava esagerare, fece lo stesso con un elefante.
Più che per qualche dote sbalorditiva o soprannaturale, come si poteva credere allora, la sua capacità di liberarsi da qualsiasi tipo di costrizione dipendeva in parte dalla sua forza fisica e dalla sua agilità, e in parte dalla sua grande abilità nel maneggiare lucchetti e aggeggi simili. Nel tempo alcuni suoi numeri sono stati spiegati con il modo in cui venivano congegnati i bauli o i bidoni in cui veniva rinchiuso, oppure con lucchetti nascosti e lame con cui tagliava le corde. Altri suoi segreti però sono rimasti tali. Per esempio non è ancora chiaro come abbia fatto a creare l’illusione della sparizione dell’elefante, ha detto allo Smithsonian Magazine John Cox, autore del sito Wild About Harry, anche se sono state fatte ipotesi plausibili.
Parlando sempre con lo Smithsonian Magazine, Joseph Teller, uno degli illusionisti del duo statunitense Penn and Teller, ha ricordato che l’escapologia derivava dallo spiritualismo, un movimento diffuso negli Stati Uniti a partire dal 1840 che era basato sulla convinzione che le persone vive potessero comunicare con quelle morte. Spesso chi faceva numeri simili a quelli di Houdini sosteneva di riuscire a farlo grazie alla presenza di alcuni spiriti. Lui rifiutava spiegazioni di questo tipo, era convinto che ogni numero avesse una spiegazione e preferiva semmai essere definito un «intrattenitore misterioso». «Sono solo un tipo in gamba che riesce a cavarsela», avrebbe detto Houdini secondo Teller, per cui questo suo approccio «fu una trasformazione enorme».
All’inizio anche Houdini si era mostrato curioso verso lo spiritualismo, tanto che a un certo punto promise alla moglie Beth che dopo la morte le avrebbe mandato messaggi dall’aldilà. Ciononostante, era scettico nei confronti di presunti sensitivi, che riteneva dei truffatori.
Tra il 1923 e il 1924 fece parte di una commissione composta da medici, psicologi e fisiologi che, per conto della rivista Scientific American, offriva un premio in denaro a chiunque potesse fornire prove autentiche a sostegno di presunti fenomeni paranormali. Nel 1926 testimoniò anche davanti al Congresso degli Stati Uniti in favore di una proposta di legge per regolamentare l’attività di presunti sensitivi o cartomanti. «Non ho mai incontrato un medium onesto», disse. In 35 anni secondo le sue stime smascherò centinaia di sedicenti tali.
Houdini fece di tutto per mantenere il segreto sui suoi numeri, compreso chiederne i diritti e brevettare certi attrezzi; tra le altre cose fu anche un attore, un aviatore e un imprenditore. Sempre nel 1923 diventò il presidente della Martinka & Co., la più antica azienda statunitense che si occupa di trucchi e attrezzi scenici per illusionisti.
Il fatto che in vita avesse denunciato molti medium lo rese inviso a diverse persone, circostanze che crearono teorie del complotto sulla sua morte, avvenuta il 31 ottobre del 1926 a causa di una peritonite, un’infiammazione alla membrana che riveste gli organi interni dell’addome. Secondo ipotesi mai confermate, la sua morte non sarebbe stata casuale, bensì provocata da un avvelenamento da parte di alcuni presunti medium che ce l’avevano con lui. Nel 2007 un suo pronipote, George Hardeen, cercò di ottenere il permesso di riesumare il suo cadavere per svolgere alcune analisi, sostenendo che molti avessero ragioni per assassinarlo.
In ogni caso, nonostante la fiducia nella scienza, Houdini non diede retta ai medici che poco prima della morte gli avevano suggerito di operarsi all’appendice per evitare la peritonite. Salì sul palco per il suo ultimo spettacolo, svenne, si riprese, concluse l’esibizione e alla fine fu portato in ospedale, dove morì. Aveva 52 anni. Il bidone usato per il numero del “Milk Can Escape” è conservato all’American Museum of Magic di Marshall, nel Michigan.
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